COP 28: Molte Parole, Qualche Impegno, Nessun Compromesso

COP 28: Molte Parole, Qualche Impegno, Nessun Compromesso

L'elefante nella stanza è stato finalmente riconosciuto. Ci sono voluti quasi trent’anni di colloqui sul clima perché la Conferenza delle Parti (COP) invitasse le nazioni ad abbandonare i combustibili fossili in un modo giusto, ordinato ed equo per potere così raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050. È quindi un motivo per riconoscere la risoluzione approvata a Dubai, un vertice sul clima ospitato dall’agenzia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti,  una delle maggiori compagnie petrolifere del mondo, e a cui hanno partecipato almeno 2.456 lobbisti del petrolio. Non sorprende che il risultato – il Consenso degli Emirati Arabi Uniti – sebbene migliore di quanto temuto, sia molto inferiore a quanto necessario in questo momento critico. Inoltre, l’accordo raggiunto rimane vulnerabile ai capricci della diplomazia internazionale, come è prassi dei vertici delle varie COP, ben ventotto in questi ultimi ventott’anni. In assenza di impegni vincolanti, non è improbabile che le nazioni che si sono impegnate a fare concessioni – come il ritiro dai combustibili fossili – facciano marcia indietro sui loro impegni verdi dopo, in un secondo momento. Le misure accordate nella CoP-28 – triplicare la capacità rinnovabile e raddoppiare il tasso di efficienza energetica – potrebbero, infatti, limitare il riscaldamento di circa 1,5°C. Ma ciò dipenderà in larga misura da un equo accordo sul finanziamento del clima per i paesi emergenti e in via di sviluppo, il Sud Globale. Su questa questione chiave, la risoluzione della CoP-28 aveva poco da dire e infatti non ha detto niente. Secondo le Nazioni Unite, i paesi emergenti e in via di sviluppo, ad eccezione della Cina, avrebbero bisogno di $2,4 trilioni per anno per raggiungere i propri obiettivi. I paesi sviluppati, tuttavia, hanno una lunga storia di non spendere soldi per quello che si impegnano a fare nelle CoP. Infatti, hanno già rinnegato un precedente impegno di mobilitare $100 miliardi (un decimo di trilioni) in finanziamenti per il clima entro il 2030. Ciò non fa ben sperare per la tanto pubblicizzata perdita di $650 milioni per il Fondo Perdite e Danni concordato nella CoP-28, soprattutto perché i contributi a questo fondo sono volontari. Significativamente, il fondo è stato vincolato al suo disaccoppiamento dalla controversa questione di assumersi la responsabilità storica delle emissioni. Inoltre, l’importo impegnato è una piccola frazione di ciò che è necessario per riabilitare le persone minacciate da condizioni meteorologiche avverse e dall’innalzamento del livello del mare: alcune stime suggeriscono che i costi dei danni legati al clima sono circa $400 miliardi di dollari all’anno per i paesi emergenti e in via di sviluppo. Gli interessi nazionali a breve termine hanno frequentemente prevalso sulla salute a lungo termine – la sopravvivenza – del pianeta. La fraternità globale riuscirebbe a trovare la determinazione necessaria per prendere decisioni che influenzerebbero negativamente le lobby pro-combustibili fossili che esercitano un’enorme influenza politica? Tutti i segnali suggeriscono il contrario. Il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, in corsa per la rielezione, ha annunciato all’inizio di quest’anno l’allentamento di alcuni precedenti impegni sul clima. Negli Stati Uniti d’America – il paese più ricco del mondo e il secondo peggior inquinatore del pianeta – un presidente che solo pochi anni fa ha tirato fuori il paese dall’accordo sul clima di Parigi del 2015 potrebbe tornare al potere l’anno prossimo. Anche l’India, che ha il quarto miglior risultato climatico al mondo ed è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di Parigi, si è fortemente opposta ad un obiettivo definito per l’eliminazione graduale dell’uso del carbone. E l’Italia si è impegnata a contribuire con $100 milioni (un decimo di un miliardo) al fondo Perdite e Danni. Gli imperativi della crescita, per quanto ostili all’ambiente, e la riluttanza a condividere la responsabilità collettiva delle azioni di mitigazione continuano a minare il futuro del pianeta e delle sue specie. La CoP-28, proprio come molti altri vertici sul clima, ha diviso i capelli sulla semantica associata al cambiamento climatico, anche se il tempo per tradurre le parole in fatti è quasi scaduto.

 

 

 

 

 

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