DELOCALIZZO PER COMPETERE E POI ….RESHORING?
Ogni sistema economico è un sistema sociale. Il suo ambiente è costituito da tutti gli altri sistemi sociali quali la politica, i mass media, il sistema giuridico. L’ambiente intorno all’impresa non è statico, ma evolve sotto la spinta di tutti i sistemi che lo compongono. (F.Zanotti).
Nel momento in cui le imprese vengono investite in pieno dalla competizione internazionale invece di reagire investendo in nuovi prodotti di senso radicalmente diversi da quelli del passato, decidono (non tutte) di adottare strategie deboli come quella di delocalizzare le produzioni e di cimentarsi in una guerra al prezzo più basso.
Tutti ossessionati dalla ricerca di luoghi nel mondo in cui sostanzialmente sfruttare arretratezze sistemico sociali per avere un vantaggio su tassazione e/o costo dei fattori produttivi. L’idea di fondo è quella di poter produrre beni e servizi a minor costo e quindi di poterli rivendere nuovamente nel mercato ad un prezzo competitivo più basso o di massimizzare il profitto.
Questo ragionamento sembra non fare una piega, ad una prima analisi molto superficiale, ma se approfondiamo, possiamo intravedere che questa strategia è solo un rimandare l’inevitabile perchè qualsiasi vantaggio competitivo è sempre momentaneo, poi viene sempre annullato dai competitors che si organizzano e rispondono.
La competizione su qualità o efficienza - detta con una metafora - assomiglia ad una bella giornata passata seduti allo stadio guardando dalle tribune la propria squadra che gioca, dove ad una certo punto, le persone sedute nelle file davanti a noi decidono di fare una mossa competitiva: si alzano in piedi, quanto può durare questo loro vantaggio? Pochi secondi il tempo che anche noi, a questo punto, ci alziamo in piedi con la differenza che adesso siamo tutti un po’ più scomodi. Ecco la competizione su qualità ed efficienza è questa una riduzione dei margini di contribuzione dove alla fine non vince nessuno, anzi predispone le condizioni affinché la prossima mossa competitiva sia ancora più dura, un crescendo Rossiniano di guai a cui nessuno sfugge.
Quando un’impresa delocalizza, in termini tecnici fa efficienza, non può impedire che altri suoi concorrenti facciano la stessa cosa e che magari riescano a fare efficienza ancora meglio annullando ogni vantaggio competitivo. Inoltre, i costi di logistica, ed i tempi di approvvigionamento possono rendere molto più complesso il lavoro.
Allora che succede oggi?
Semplice, come ha ben esposto il Dott. Valerio De Molli Managing Partner, The
European House – Ambrosetti che afferma “l’Italia è al 2° posto al mondo dopo USA per il fenomeno di rientro delle produzioni (reshoring) precedentemente spostate all’estero e il settore maggiormente interessato dal reshoring è quello dell’abbigliamento e calzature” FONTE: Sintesi del secondo AdvisoryBoard WPP/ THE EUROPEAN HOUSE – AMBROSETTI 8 giugno 2016, Milano. Quindi reshoring, ovvero rientro delle produzioni spostate all’estero, qui però mi sorgono delle domande, ma se le imprese hanno spostato le produzioni all’estero per conseguire vantaggi sui costi di produzione significava che negli anni novanta o duemila i costi dei fattori produttivi in Italia erano troppo alti.
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Ma a distanza di più di quindici anni l’Italia è diventata così attrattiva?
Non lo penso, difficile pensare che a distanza di quindici anni il costo della vita in Italia ed i salari siano diminuiti ai livelli di Romania, Cina, Polonia ecc. Allora per quale motivo queste produzioni rientrano? La risposta che troviamo nel rapporto Ambrosetti è la seguente:
“nonostante questo fermento il fenomeno di valorizzazione dell’Italia sembra trainato più dall’iniziativa di singoli imprenditori che credono nel Made in Italy che da iniziative strutturate di comunicazione e attrazione da parte delle Istituzioni”.
…ma come, le produzioni rientrano per avere il marchio… made in Italy?
Perché negli anni novanta o duemila, un qualsiasi produttore Italiano di tessuti che produceva in Italia che.... tipo di marchio aveva?
La verità, è nella incapacità di molte imprese, di affrontare strategie di sviluppo imprenditoriali vere, in un ambiente in profonda evoluzione, gli atteggiamenti strategici che le imprese possono adottare sono due:
Delocalizzare (apparentemente) è molto più semplice che impegnarsi in una strategia imprenditoriale vera che richiede tempo, fatica, impegno e nuove risorse cognitive.
Per chi decide di seguire questa strada, di inconsapevole conservazione, per differenziarsi agli occhi del cliente non gli rimane che ridurre il prezzo più dei concorrenti.
Per riuscirci, occorre diventare più efficienti di loro. Inizia, allora, una battaglia di efficienza, combattuta a colpi di rivisitazione dei processi interni con una spiccata focalizzazione sul taglio dei costi che costringe l’attenzione dell’impresa sempre più all’interno, ma anche i tagli hanno un limite inferiore che non è possibile oltrepassare pena la disintegrazione dell’impresa stessa a questo punto ogni aumento di efficienza è conseguibile solamente con una battaglia di prezzo (basso) che non é più sostenuta da recuperi di efficienza, ma avviene a scapito della redditività, abbassamento dei margini di contribuzione.
Una battaglia di prezzo che nessuno riesce più a controllare. Il risultato di tutto questo è una lenta e lunga asfissia che ha il volto della tensione finanziaria e poi con l’instaurarsi anche della competizione finanziaria sui termini di pagamento diventa fatale. Sostenere tempi di pagamento medio lunghi con basse redditività, alla fine, diventa una miscela mortale impossibile da sostenere.
Imprenditore | Founder&Ceo LEBA1974 srl | Co founder Nalucoat® srl Soc. Benefit | Autore del libro Design ecosostenibile 🌱♻️
1 annoRiflessione profonda, completa e attualissima. Bravo Marco 👏