Deriva
Respirava. Respirava potente, plumbeo e muscoloso, e ad ogni colpo di tosse faceva sobbalzare la chiglia bianca e leggera.
Le onde formavano delle colline increspate che sembravano plasmate nel bronzo, e ogni volta che le risaliva, per poi beccheggiare nel vuoto, il cuore gli regalava una scarica di piacere misto a paura, un senso di grandezza e di abissale inadeguatezza, allo stesso tempo.
Cazzava la scotta con forza, si bilanciava e doveva usare tutto l’avambraccio lungo lo stick perché la barchetta timonasse tra invisibili sentieri serpeggiando tra le creste.
Ma era soprattutto attento, aveva accelerato il battito per rallentare il mondo; era come se il pianeta gli stesse svelando, spiegando, come stanno le cose. E lui rapito, come uno scolaretto, registrava tutto. Era un privilegio sedere al banco di un tale maestro, terribile, antico, un purosangue bizzoso, dal largo abbraccio d’aquila, dalla zampata felina; severo esaminatore della sua condizione di uomo.
Solo il giorno avanti gli bisbigliava piano, in una bava impercettibile di vento, come raccogliere una carezza di spinta nello smeraldo piatto del mare immobile, e doveva tendere l’orecchio per capire, immergere il dito nell’acqua per cogliere quel leggero scivolare in avanti, per imparare la pazienza che occorre a bordeggiare tra due punti poco distanti, irraggiungibili.
Ora invece gli stava insegnando l’urgenza, la freddezza nel decidere, la distanza dalle cose troppo vicine.
E la chiglia sbandata correva, la vela rasentava orizzontale le onde come una mano sull’acqua. Si rese conto che in questo urlo e fruscio dei sensi, nell’onda reale che lo aveva preso alle spalle, nella paura trasformata in piacere, nella miseria minuta della sua grandezza che lo faceva in ogni caso avanzare, nell’intensità del suo ascolto c’era la sua capacità, la sua volontà, la sua ineluttabile disposizione. Ad essere questo sasso scuro e bagnato, ad essere questa materia, ad ammirare il miracolo prepotente della bellezza, ad amare. Amare lei, come quel vento salato che avrebbe potuto rovesciarlo con una risata, ma gli infilava tenero le dita tra i capelli.
Claudio Monnini 9 settembre 2010