DODICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -  Riconoscere Cristo e essere riconosciuti da Lui

DODICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Riconoscere Cristo e essere riconosciuti da Lui

“Gesù disse ai suoi discepoli: Non temete gli uomini, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il poter di far perire e l’anima e il corpo nella Geena.

Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri.

Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”( Mt. 10,26-33).

  Il brano di Vangelo di questa domenica è parte del secondo grande discorso di Gesù, quello detto missionario che soprattutto invita al coraggio: “non temete coloro che uccidono il corpo ma non hanno il potere di uccidere l’anima…; perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non temete: voi valete di più di molti passeri”.

Gesù ci chiede inoltre di non vergognarci di Lui, di non essere dei cristiani timidi, paurosi e nascosti, dei cristiani di un ora sola alla settimana.  Ricordava S. Agostino nell’ opera “La Città di Dio” che il discepolo “deve proseguire il suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”.

La paura che accompagna tanti aspetti e momenti della nostra vita, in un contesto di fede è inutile perché, rammenta S. Paolo: “Se Dio è con noi chi è contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutto ciò, noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm: 8,31-32)

Ma insieme alle incitazioni al coraggio ne troviamo una particolare che ci deve spronare: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”.

Dobbiamo combattere tutti quegli atteggiamenti che fanno nascere dentro di noi l’indifferenza religiosa e che ci portano a negare, anche solo passivamente, il Signore Gesù.

Su questi due temi fermeremo la nostra attenzione.

 1.L’indifferenza religiosa

         Questa non è l’odio o la ripugnanza verso la fede e il cristianesimo ma è il vivere come se Dio non ci fosse, e si esprime nell’avere delle preoccupazioni solo terrene come se la dimensione temporale della vita fosse l’unica; per cui non si instaurano rapporti con Dio, non ci si interessa dello spirituale e non si pensa al destino eterno.

         Rimaniamo così “fermi” sia nella maturazione umana che cristiana; in altre parole, non sfruttiamo adeguatamente i talenti che Dio ci ha donato.

Ciò rende la nostra vita sempre più problematica, un qualcosa di drammatico che si accentua in tutte le sfere della nostra personalità con il passare degli anni; non si riesce proprio a trovare un senso e una risposta ai grandi interrogativi esistenziali.

Anche a livello sociale l’esistenza diventa sempre più dilaniante portandoci ad approvando atteggiamenti morali ed etici non assolutamente condivisibili quali l’omicidio legale dell’aborto o la pratica dell’eutanasia, gli scandali dilaganti, la pornografia e le permessività di ogni genere sempre più diffuse.

L’indifferenza religiosa nasce quando non recitiamo più le preghiere del mattino e della sera, quando per sentimentalismo, per emotività o per indolenza tralasciamo di partecipare alla Messa domenicale, quando non avvertiamo più il bisogno di confessare a Dio le proprie colpe attraverso il sacramento della riconciliazione.

Allora, dice Gesù: “Non vi riconoscerò davanti al Padre mio”; e questo come logica conseguenza delle nostre azioni.

Nella sua vita il cristiano deve agire rettamente per trovare serenità e giungere alla vita eterna che si manifesta nella piena comunione con Dio. Quindi, se Dio è importante per me, e questo lo dimostro nella pratica sarò riconosciuto da Lui. Se nonostante tutte le occasioni offertemi per convertirmi, per cambiare, per capire questo non sarò da Lui riconosciuto unicamente a seguito di una mia scelta.

Riconoscere Cristo significa vincere l’indifferenza, il rispetto umano, la mediocrità dei comportamenti e il compromesso. Significa vivere nelle relazioni nelle nostre comunità, nel sociali, nell’ambiente di lavoro… l’onestà, la purezza dei costumi, il distacco dal denaro, la partecipazione alle gioie e sofferenze degli altri.

Domandiamoci, con sincerità, se il Signore, in questo momento della nostra vita ci riconoscerebbe oppure no.

 2.Dalla paura al coraggio

La vita di ogni uomo è spesso accompagnata dalla paura che possiamo riassumere genericamente nella paura del futuro e della morte.

La paura nasce dalla constatazione di eventi pericolosi o minacciosi in atto, dalla previsione, realistica o erronea, di pericoli futuri e possibili e provoca sempre una notevole sofferenza psicologica e spirituale.

Particolari situazioni provocano maggiore paura; prendiamo l’esempio del sofferente: il sofferente è una persona che ha paura delle minacce che comporta la patologia, del dolore, del dubbio, del futuro… E la paura cresce soprattutto nelle ore vuote di incontri e di fronte all’incertezza che nasce spesso da una comunicazione precipitosa, inaffidabile o evasiva.

Ogni processo emotivo che provoca la paura è diverso da soggetto a soggetto e dalla paura, spesso non espressa, dallo stato di incertezza prolungato nascono ansia e angoscia.

La paura si evidenzia anche di fronte al dovere di testimonianza cui è tenuto ogni cristiano. Spesso, di fronte alle esigenze delle norme morali, agli obblighi di giustizia e del perseguimento del bene, alla rettitudine di coscienza e ci conformiamo passivamente alla mentalità e alla moda corrente.

Ma Gesù ci dice di non temere, di superare la paura perché, ricorda san Paolo: “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm. 8,18).

La paura, si vince con il coraggio. E il coraggio, ricordava il filosofo Victor Jankelevitch è “la gioia di tutte le virtù, è l’elemento di trionfo virtuale che c’è in ogni virtù, che rende le altre virtù efficaci e operanti” rimarcando quello che già affermava Aristotele: “Le persone veramente coraggiose agiscono solo per amore del bene”. Ebbene, ogni virtù, è infatti espressione di coraggio!

L’uomo coraggioso, è dunque libero, sincero e leale e sa nella quotidianità creare una perfetta armonia tra intenzioni, progetti, azioni, gesti e parole e fonda questo atteggiamento sulla fiducia e sulla sicurezza che gli vengono da Dio quali doni dello Spirito Spirito.

Il primo luogo dove si deve manifestare il coraggio è l’ambito pubblico attraverso una ferma difesa delle verità evangeliche; un altro è quello ecclesiale nella relazione tra i credenti mediante una veritiera interpretazione della Parola; il terzo è quello personale o relazionale instaurando rapporti franchi ed onesti.

Tutto questo sull’esempio di Gesù che non ha avuto timore delle minacce portategli da un ambiente e da una autorità politica ostili, ma reinterpretando le leggi e le usanze religiose, seppe intessere rapporti interpersonali autentici basati sulla verità e sulla franchezza.

Il coraggio non è solo l’eroismo delle grandi azioni, ma anche quello delle scelte del quotidiano, quello di tutti i giorni e di tutta la vita che si mostra e si propaga con l’esempio e la perseveranza.

 

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