Facebook, Google, le app, la stupidità, l'intelligenza, la libertà

Facebook, Google, le app, la stupidità, l'intelligenza, la libertà

Stupidità, demenza, distrazione, incapacità di concentrazione stabile: sono stati mentali ineluttabili della nostra attuale, permanente e contemporanea esposizione a dispositivi mobili, app, social media e piattaforme delle reti?

Gli studi sugli abiti comportamentali dell’uomo, abbinati a tecniche sperimentate di lavaggio del cervello, generano oggi prodotti e piattaforme che creano abitudini d’uso attraverso l’azionabilità immediata degli smartphone ed esternalizzano il vissuto quotidiano attraverso la condivisone sulla Rete, in un circolo di dipendenza e attrazione che costruisce giardini isolati e prigioni dorate.

In un articolo che ho scritto per il numero 16 di «Testo e Senso», sostengo che a essere in pericolo non è però la qualità della nostra mente, esposta senza soluzione di continuità a dati, informazioni e comunicazioni, quanto la nostra libertà di pensare al di fuori di un’ideologia della tecnologia e del mercato funzionale a una monetizzazione e un’espropriazione dell’organizzazione sociale, del lavoro e della vita delle persone.

Ne propongo qui un passaggio:

Nir Eyal ha lavorato con molte aziende della Silicon Valley per le quali ha sviluppato app, servizi e giochi che inducono l’interiorizzazione di questi comportamenti e ha scritto un vero e proprio manuale in cui spiega come progettare prodotti che creano abitudini.

In un mondo commerciale post-pubblicitario, dove i consumatori sono sempre più consapevoli della presenza di messaggi pagati dagli inserzionisti e dei linguaggi per catturare l’attenzione, le aziende puntano attraverso i prodotti a formare abitudini nei clienti: se la pubblicità è sempre e comunque un’interruzione (peraltro molto costosa per chi la paga) che arriva dall’esterno (un cartellone, uno spot, un banner), l’abitudine è un comportamento interiorizzato che nasce da una spinta interna alla ripetizione di gesti, rituali, azioni. Se un prodotto entra in quei gesti, in quei rituali, in quelle azioni che ripetiamo senza pensiero cosciente, l’azienda ha acquisito un cliente a vita. Alla base della manipolazione del pensiero cosciente, Eyal descrive un ciclo di progettazione del prodotto che si divide in quattro fasi, le fasi del Gancio (The Hook): 1) trigger; 2) azione; 3) ricompensa; 4) investimento.

Prima di tutto, c’è un innesco: una scritta su un distributore di bevande, un link ipertestuale a una pagina web, una notifica di una nuova mail. Ma non sono trigger esterni come questi a determinare le azioni ricorrenti di cui parla Eyal. Gli stimoli esterni sono il primo ingaggio. L’aggancio definitivo avviene quando la tecnologia riesce a creare nell’utente l’associazione mentale automatica tra stimoli interni che derivano da sensazioni come solitudine, noia, paura e il prodotto: social network come Facebook, Instagram, Twitter instaurano questo tipo di legame, con il vantaggio algoritmico di costruire una narrazione personalizzata, basata sulle preferenze tracciate degli utenti, che consolida e rafforza tramite l’uso continuo l’efficacia di quei trigger.

Leggi Sulla Rete come i piccioni in una gabbia. I padroni di Internet e della nostra intelligenza

Gaia Mutone

Digital Content Manager | Social Media e Comunicazione presso Gruppo BCC Iccrea

8 anni

Molto interessante. Ultimamente è un argomento che sto approfondendo in vari modi. Il fatto è che, consapevoli o meno, il concetto di libertà sta conoscendo una progressiva mutazione e riformulazione. I nostri gesti e le nostre abitudini sono sempre più influenzati dai mezzi che utilizziamo. Condividiamo cose che non leggiamo, consumiamo oggetti e servizi in base al grado di viralità raggiunta, che di per sé non è una garanzia di qualità. Pensare fuori dal coro (o dall'algoritmo) sarà sempre più difficile.

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