Finanza comportamentale:
Introduzione
La finanza comportamentale ( behavioral finance) può definirsi come una branca della finanza che unisce in sé aspetti di psicologia cognitiva definita come lo studio dei processi di acquisizione ed elaborazione delle informazioni da parte del sistema cognitivo, a teorie finanziarie in senso stretto. (Ulric Neisser 1967). Essa identifica i principali ostacoli psicologici che si frappongono ad un comportamento orientato alla massimizzazione del valore, oltre ad identificare le tecniche di cui i manager possono servirsi per attenuare gli effetti di tali ostacoli.
Quest’approccio, rispetto a quello tradizionale, non considera gli attori economici come agenti perfettamente razionali e onniscienti, bensì come individui che non agiscono sempre razionalmente e non hanno a disposizione tutte le informazioni disponibili.
In finanza siamo abituati a pensare alle aziende come soggetti astratti, “persone giuridiche” dotate di una propria volontà e capacità decisionale. Il fatto è che queste persone giuridiche sono in realtà composte da persone fisiche, fatte di carne, ossa e cervello. Sappiamo che il cervello umano si è sviluppato nel corso dei secoli adattandosi alla realtà circostante, sviluppando regole empiriche, dette euristiche (A. Plebe, P. Emanuele, 1991), che ci aiutano nella soluzione dei problemi quotidiani.
Tuttavia, se queste euristiche possono andar bene nella vita di tutti i giorni, in ambito finanziario possono portare ad errori ( cd. bias) anche molti costosi.
Analizzando i comportamenti dei manager, ad esempio, si è notato che, troppo spesso, essi si definiscono ottimisti e sicuri di se. Ciò tuttavia, non sempre è un bene…esistono, infatti, particolari fenomeni psicologici ( cd. trappole comportamentali ) che spingono i manager a prendere decisioni sbagliate, che possono rivelarsi dannose per gli interessi dell’azienda e degli azionisti. Lo scopo della finanza comportamentale è proprio quello di portare alla luce queste trappole comportamentali e cercare di disinnescarle, attraverso l’addestramento e le procedure.
I pionieri della finanza comportamentale sono George A. Akerlof e Robert J. Shiller. Insieme hanno scritto il libro più interessante del XX secolo, proprio sulla finanza comportamentale, intitolato: “Spiriti animali: Come la natura umana può salvare l’economia”. Gli autori sostengono che per comprendere come funzionano le economie e come possiamo gestirle e farle prosperare, dobbiamo porre l’attenzione agli schemi di pensiero che animano le idee e i sentimenti delle persone.
Non comprenderemo mai davvero i principali eventi economici se non ci rendiamo conto che le loro cause son in gran parte di natura mentale. È un peccato che la maggior parte degli economisti e di chi scrive di economia non sembra comprendere questo punto, e che quindi spesso fornisca interpretazioni artificiale e inutilmente complesse degli eventi economici, dando per scontato che le differenze di sensazioni, impressioni e passioni individuali siano irrilevanti nell’insieme, e che gli eventi economici siano guidati da imperscrutabili fattori tecnici o da decisioni governative incoerenti.
Spiriti animali: Come la natura umana può salvare l’economia
Dopo la Grande Depressione, gli economisti iniziarono a offrire ai politici suggerimenti espliciti circa i miglioramenti da apportare al sistema economico, per evitare che il mondo cadesse di nuovo nelle fauci di una crisi economica mondiale. Tra quest’ultimi annoveriamo, John Maynar Keynes che pubblicò la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta.
La sua idea sul ruolo del governo nell’economia era molto simile a ciò che ci dicono i manuali per genitori: da un lato, quei libri ci suggeriscono di non essere troppo autoritari, altrimenti i bambini saranno superficialmente ubbidienti, ma una volta giunti all’adolescenza si ribelleranno; dall’altro canto, ci esortano a non essere troppo permissivi, altrimenti non insegneranno ai bambini a darsi autonomamente dei limiti appropriati. Il compito del genitore è fissare i limiti, affinché il bambino non sia abbandoni completamente ai suoi spiriti animali (Angell, Jonas e Per Lundborg 1990); ma quei limiti devono anche lasciare al bambino l’indipendenza necessaria per apprendere e per sviluppare la creatività. Il ruolo del genitore è quello di creare una famiglia felice, in cui il bambino gode di libertà ma è anche protetto dai propri spiriti animali.
Negli anni Settanta sorse una nuova generazione di economisti, l’economia neoclassica, secondo cui i pochi spiriti animali rimasti nel pensiero keynesiano erano troppo insignificanti per avere una qualche rilevanza nell’economia. La loro idea, che oggi è il fulcro della macroeconomia, è che gli economisti non debbano tener conto degli spiriti animali. Questa visione neoclassica del comportamento dell’economia passò dagli economisti alle élite politiche, agli intellettuali più esposti e infine ai mass media. Divenne un mantra politico:<< Io credo nel libero mercato>>.
Questa idea del governo come “genitore permissivo” ha rimpiazzato la “famiglia felice” keynesiana, e solo ora ci stiamo accorgendo degli effetti devastanti che quell’idea ha generato! (Akerlof, George A., e William T. Dicken 2007).
Decisioni finanziarie aziendali: approccio comportamentale
I metodi tradizionali circa le decisioni aziendali sostengono l’esistenza di strumenti finanziari in grado di massimizzare il valore delle loro imprese. Tuttavia esistono delle trappole psicologiche che impediscono l’utilizzo corretto di tali strumenti. Gran parte di esse sono state identificate dagli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky.
Lo studio della finanza comportamentale riveste un ruolo cruciale nella definizione delle scelte aziendali, in quanto decisioni sbagliate, determinano una diminuzione del valore dell’impresa.
Sono dieci i fenomeni che portano i manager a commettere errori che possono costare cari. Essi si dividono in tre grandi gruppi:
- bias;
- euristiche;
- effetti di framing
- Bias
Un bias è un errore sistematico dovuto:
- all’eccessivo ottimismo;
- all’overconfidence;
- al bias di conferma;
- all’illusione di controllo
Eccessivo ottimismo
Questo fenomeno consiste nel fatto che i manager sovrastimano la frequenza i risultati favorevoli e sottostimano quella di risultati sfavorevoli.
Esempio illustrativo: Scott McNealy e Sun Microsystems
Scott McNealy è l’amministratore delegato dell’impresa high-tech Sun Microsystems. La Sun è conosciuta come una delle principali produttrici di server e per aver ideato il linguaggio di programmazione Java.
Scott MeNealy,secondo la rivista BusinessWeek, è una persona intelligente, mordace, arrogante, combattivo.
Nel corso degli anni ottanta, contro il parere dei sui dirigenti, decise di sostituire i microprocessori prodotti dalla Sun con quelli della Motorola. Tale decisione si rivelò positiva per la Sun.
Nel corso degli anni novanta, i concorrenti della Sun iniziarono a produrre server che utilizzano i sistemi operativi Windows di Microsoft, mentre McNealy scelse di investire in server che utilizzano il software Solari, sviluppato dalla stessa Sun. Anche tale decisione si rivelò positiva per la Sun in quanto Solaris venne ben presto apprezzato per la sua rapidità, affidabilità e sicurezza.
Le sorti della Sun iniziarono a cambiare con la recessione del 2001.
Gli analisti finanziari di Wall Street evidenziarono la necessità per la Sun di tagliare i costi, ma McNealy, era ottimista, poiché riteneva che la recessione sarebbe stata di breve durata.
Il periodo di recessione economica fu molto più lungo di quanto McNealy avesse previsto e nei tre anni successivi, la Sun perse un terzo della sua quota di mercato, vendite calarono del 48% e il prezzo del titolo si ridusse da 64 dollari nel 2000 a circa 5 nel 2004.
L’evidenza suggerisce che le persone che dichiarano che le condizioni economiche miglioreranno sono due volte più ottimiste di quanti invece riferiscono che le condizioni economiche rimarranno uguali o peggioreranno (Manju Puri e David Robinson 2005).
Cosa è possibile dedurre? Non vi è nulla nei dati storici che suggerisca che i periodi di recessione possono essere di breve durata; dunque la conclusione più ragionevole è che le previsioni di Scott McNealy fossero distorte e ottimistiche e che proprio tale ottimismo lo abbia indotto a un rinvio del taglio dei costi, con una conseguente distruzione dl valore della sua impresa (Jeremy Siegel 2001).
Overconfidence
Per overconfidence intendiamo l’eccessiva fiducia nelle proprie abilità e conoscenze.
(Larrick, RP, Burson, KA, e Soll, J. 2007).Tali individui sono troppo sicuri del proprio livello di conoscenze e ritengono di sapere più di quanto in realtà sanno.
In genere l’overconfidence sulle proprie abilità consiste nell’essere eccessivamente sicuri dei risultati raggiunti; mentre quella sulle proprie conoscenze consiste nell’essere overconfident sulle conoscenze acquisite grazie a esperienze passate (Simon Gervais e Terrence Odean 2001).
Bias di conferma
Il bias di conferma è un errore cognitivo che consiste un atteggiamento assunto da parte dei manager nell’ignorare le informazioni contrastanti con le loro vedute in favore di quelle che invece le confermano (Schacter D. L. 2007). In pratica essi impiegano troppo poco tempo nella ricerca di ragioni in grado di supportare il motivo per cui le loro opinioni sono giuste e troppo poco nella ricerca di ragioni che potrebbero portarli a concludere che le loro opinioni sono sbagliate.
Un altro tipo di bias cognitivo è lo hindsight bias, che consiste nell'errore del giudizio retrospettivo. Lo hindsight bias è la tendenza delle persone a credere, erroneamente, che sarebbero state in grado di prevedere un evento correttamente, una volta che l'evento è ormai noto. Il processo si può sintetizzare nell'espressione: "Ve l'avevo detto io!”
Illusione di controllo
L’illusione di controllo è la credenza di avere la capacità di influenzare esiti che sono determinati in buona parte dal caso.
Sono stati effettuati diversi esperimenti per studiare il rapporto fra potere e illusione di controllo. In tutti gli esperimenti, sia che il partecipante fosse forte di un'esperienza di gestione del potere, sia che fosse stato assegnato casualmente in base alle regole al ruolo di manager, finiva per percepire un controllo sugli esiti che andava oltre il suo ambito di possibilità. Inoltre, l'idea di essere capaci di controllare un risultato “casuale” portava a un ottimismo irrealistico e a un'autostima “gonfiata".
In un esperimento, per esempio, al “detentore del potere” veniva presentata una coppia di dadi, e offerta una ricompensa per prevedere gli esiti di un lancio, chiedendogli anche se voleva lanciare lui i dadi o scegliere qualcuno che lo facesse. Tutti i partecipanti del gruppo di potere più alto sceglievamo di lanciarli in prima persona, contro una percentuale inferiore al 70 per cento nei gruppi di potere minore o in quelli neutri di controllo, suffragando l'ipotesi che la semplice esperienza del potere possa portare una persona a sovrastimare notevolmente le proprie abilità, in questo caso, influenzando l'esito di una mano lanciando personalmente i dadi.
Che si tratti di leader politici o capitani d'industria, chi detiene il potere tende a sottostimare regolarmente i costi in tempo, denaro, mezzi e vite umane che sono necessari per raggiungere un certo obiettivo (giornale La Repubblica 2009).
2. Eurisitche
La maggior parte dei manager basa le proprie decisioni su euristiche, ossia regole empiriche. I bias cognitivi più comuni che derivano dal fare affidamento su particolari euristiche sono:
- Rappresentatività;
- Disponibilità;
- Ancoraggio;
- Affetto.
- Rappresentatività
I manager valutano le probabilità che un oggetto appartenga a un certo insieme sulla base di alcune caratteristiche appariscenti, come analogie e stereotipi, e non di un’analisi dettagliata, spesso ignorando persino elementari calcoli della probabilità.
- Disponibilità
In generale, i manager, utilizzano l’euristica della disponibilità ricorrendo a informazioni che sono maggiormente disponibili rispetto ad altre che lo sono meno. In questo modo le loro opinioni si predispongono al bias.
- Ancoraggio
Spesso i manager fanno rapide stime basandosi su un valore iniziale di riferimento, con cui hanno familiarità, per poi ritoccare tale valore in modo da rispecchiare nuove informazioni o circostanze. Proprio come un’ancora impedisce a una barca di andare alla deriva, il valore iniziale sui cui si basano i manager può fare da ancora ai loro giudizi (Baruch Fischhoff 1982).
A mio modesto parere, questo fenomeno potrebbe anche non rappresentare un comportamento errato, se non fosse per il fatto che le persone una volta “ancorati” a determinati valori iniziali, non hanno la capacità di rivederli e discostarsi adeguatamente.
- Euristica dell’affetto
Gli psicologi utilizzano il termine tecnico euristica dell’affetto per descrivere il comportamento che attribuisce una grande importanza all’intuizione o all’istinto e, come altre euristiche, anche quella dell’affetto implica scorciatoie mentali che possono predisporre i manager a bias (Bank of America Roundtable 2000).
I pratica i manager che si affidano a questo tipo di euristica non basano le proprie decisioni esclusivamente sulla analisi finanziarie, ma anche sul fatto che tali decisioni li facciano sentire bene da un punto di vista emozionale.
3. Effetti framing
Per effetto framing s’intende effetto “incorniciamento”: i manager, infatti, sono vulnerabili a un effetto di framing quando le loro decisioni sono facilmente influenzate dal modo in cui i loro problemi decisionali sono stati incorniciati. ( Shefrin 2000).
Il framing è un aspetto critico della teoria del prospetto (prospect theory),l’approccio che Kahneman e Tversky svilupparono per descrivere il modo in cui gli individui prendono decisioni che coinvolgono rischio e incertezza (Kahneman e Tversky 1981).
Il premio Nobel fu attribuito a Kahneman proprio per teoria del prospetto la quale presenta due importanti fenomeni di framing definiti:
- Avversione alla perdita;
- Avversione alla perdita certa.
A) Avversione alla perdita:
spinge le persona a comportarsi in modo avverso al rischio di fronte ad alternative che presentano sia possibilità di guadagno sia di perdita.
I pratica molti individui, in presenza di alternative rischiose, operano scelte mettendo sul piatto della bilancio potenziali guadagni e perdite, in modo che la bilancia penda dalla parte dei guadagni.
In altre parole, in una situazione di gioco rischioso del tipo 50 e 50 ( come ad esempio nel lancio di una moneta con testa o croce) ci sono le stesse probabilità di guadagno e di perdita. Di conseguenza, chi rifiuta di giocare al 50% delle possibilità è un individuo che attribuisce maggiore importanza a una perdita di X euro piuttosto che a un guadagno della stessa entità.
In media, si è scoperto che, in un gioco rischioso, gli individui che non amano la scommessa (sono cioè avversi alle perdite) hanno una percezione due volte e mezzo più acuta della perdita rispetto al guadagno.
Altre persone, invece, considerano i rischi ripetuti nel tempo alla stessa stregua di situazioni una tantum, comportandosi quindi in modo eccessivamente conservativo.
È stato constatato, infine, che l’avversione alla perdita può causare un’avversione a contrarre debiti, anche quando emettere debiti maggiori potrebbe produrre effetti collaterali finanziari positivi per l’azienda. Da un punto di vista psicologico, infatti, le perdite potenziali derivanti da difficoltà finanziarie possono sembrare più pesanti rispetto ai potenziali guadagni derivanti dai risparmi fiscali, ottenuti attraverso la riduzione delle imposte societarie (cd. Scudo fiscale).
B) Avversione alla perdita certa:
Un individuo, in un gioco rischioso, sceglie l’alternativa rischiosa nonostante, a livello statistico, la perdita attesa derivante dal gioco rischioso risulta maggiore di quella certa. In pratica, la scelta di correre il rischio è fatta nella speranza di battere la probabilità di perdita certa, o almeno di pareggiare.
Esempio: supponiamo che in individuo abbia perso in un gioco rischioso 79 euro e sia posto dinanzi ad una scelta: accettare la perdita e pagare i 79 euro o affrontare una nuova scommessa più rischiosa. Scegliendo l’alternativa rischiosa, l’individuo ha l’80% di probabilità di dover sopportare una perdita di 100 euro e il 20% di probabilità di non dover soffrire alcuna perdita.
Quale sarà la scelta? La perdita cerca di 79 euro o il rischio di una nuova scommessa?
Ebbene secondo diversi studi, è stato appurato che la maggioranza delle persone sceglierebbe l’alternativa rischiosa sebbene la perdita attesa di 100 euro (con una probabilità di verificarsi molto, pari all’80 %) sia maggiore di quella certa, pari a 79 euro.
Se ne deduce che gli individui che si considerano esposti a perdite sono propensi a correre dei rischi rispetto a quelle che ritengono di poter ottenere profitti.
Possibile antidoto: Debiasing
Una presunta cura per i bias cognitivi è rappresentata dal debiasing, ovvero la correzione degli stessi attraverso il riconoscimento dei nostri errori e dei nostri bias (Anna Wild Mathewa e Barbara Martins 2004).
Tale compito si rivela più difficile in determinate situazioni piuttosto che in altre. Situazioni in cui gli individui ricevono rapidi e chiari feedback sui risultati delle loro azioni sono più favorevoli rispetto ad altre in cui i feedback sono lenti e l’esito delle azioni è condizionato da vari fattori. Purtroppo molte operazioni di finanza aziendale sono caratterizzate da intervalli piuttosto lunghi tra il momento in cui le decisioni vengono prese e quello in cui si verificano le conseguenze di tali decisioni, altre che da fonti di rischio che possono offuscare i bias sottostanti.