Francesco Pellegrino "Io al Polo Sud"
Il ricercatore dell'ENEA mentre tiene una delle sua tante lezioni sulla sua missione in Antartide

Francesco Pellegrino "Io al Polo Sud"

di Pino Nano

La mia vita tra i pinguini reali dell'Antartide

“Visti dall’alto gli ammassi di neve, i ghiacciai e il pack dell’Antartide si fondono a formare quella che sembra un’infinita e uniforme distesa bianca. Solo guardando più da vicino è possibile comprendere la vera bellezza di questo continente: l’azzurro degli iceberg alla deriva sopra un mare blu, gli spruzzi di arancio sulle penne del pinguino reale, gli sfolgoranti colori dell’aurora australe che danzano nel cielo notturno. “Antartide” è un viaggio nel cuore dell’ultima grandiosa terra selvaggia del nostro pianeta, alla scoperta della maestosità e dell’ineguagliabile splendore di questa regione…”.

C’è un libro bellissimo, il titolo è “Antartide, l’ultima grandiosa terra selvaggia del pianeta”, da cui ho tratto questa premessa iniziale, e che vi consiglio di cercare se avete voglia di capire cos’è realmente quest’angolo lontano e isolato del pianeta terra.

È un libro scritto a quattro mani da David McGonigal e Lynn Woodworth e che ci aiuta a immaginare e a toccare con mano le infinite distese di ghiaccio su cui oggi vivono ancora indisturbati migliaia e migliaia di pinguini.

 Ma insieme ai pinguini, sulla calotta ghiacciata dell’Antartide, oggi ci sono anche degli uomini, sono studiosi, ricercatori, scienziati che trascorrono qui lunghi periodi dell’anno per analizzare il clima, la fauna e l’ambiente che li circonda. Io li chiamerei molto meglio “eroi moderni”, se non altro perché sono scienziati costretti a lavorare a temperature record di anche 50 gradi al di sotto dello zero, in condizioni climatiche proibitive, dove il rumore ricorrente è l’ululato delle bufere di vento che di notte sferzano le loro cabine container dove dormono, e da dove ogni mattina si muovono per le missioni predisposte dal loro programma di ricerca.

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Vite al limite del pericolo, vite dedicate alla ricerca, vite lontane dalle proprie case, dai propri paesi e dalle proprie famiglie.

Bene, nessuno lo avrebbe mai immaginato, ma su questi immensi ghiacciai, in mezzo a intere tribù e famiglie di pinguini reali, c’è anche da qualche anno a questa parte uno dei tanti figli di Calabria sparsi per il mondo. E’ una storia di eccellenza, e come tale raccontata.

Lui si chiama Francesco Pellegrino, ha 46 anni, è originario di Acri, in provincia di Cosenza, e oggi lui è uno degli uomini chiave dell’ENEA in Antartide, un giovane ingegnere cresciuto a pane e ricerca, laureatosi velocemente all’Università della Calabria, e oggi, incredibile ma vero, è il manager responsabile tecnico della famosa e leggendaria Stazione Polare “Mario Zucchelli”.

“La nostra attività di ricerca, prevalentemente- spiega- Francesco Pellegrino-, è di natura biologica, marina e climatica. Essa riguarda la glaciologia, la sismologia e la vulcanologia. I ricercatori dal Cnr e dall’Enea, insieme alla parte tecnica della mia unità, hanno il compito prevalente di gestire le infrastrutture e gli impianti, aprire la base, avviare gli impianti e la pista di atterraggio per gli arrivi dalla Nuova Zelanda. I progetti non sono comuni, ma ciascuna Università presenta, in un determinato periodo dell’anno, lo svolgimento di un progetto, affinché sia attribuibile il territorio di studio a una commissione scientifica prescelta. Noi in particolare assicuriamo al progetto di ricerca assistenza sia a livello tecnico che logistico, con la creazione di campi remoti e la possibilità di spostamenti per la ricerca sul territorio”.

Un lavoro complesso, assolutamente di nicchia ed elitario, che alla fine fa di questi nostri scienziati il fior fiore della ricerca italiana avanzata nel mondo.

Parliamo qui di una delle due stazioni scientifiche italiane in Antartide, denominata inizialmente “Baia Terra Nova”, e poi rinominata nel 2005 in ricordo dell’Ingegnere Mario Zucchelli, che per molti anni fu a capo del Progetto Antartide dell’ENEA. Una sorta di città-container, costruita sul ghiaccio, raggiungibile solo per via aerea, dove un manipolo di ricercatori per vari mesi all’anno vivono completamente isolati dal resto del mondo, a diretto contatto soltanto con i loro strumenti scientifici e i report da inviare alla case-madre in Italia.

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Alcuni mesi fa, nella sua prima intervista pubblica ad un giornale tutto calabrese, che era Parola di Vita, il magazine della Curia cosentina diretto da mons. Enzo Gabrieli, Francesco Pellegrino raccontava ad Angela Altomare la sua prima volta al Polo in questo modo: “Ho raggiunto la prima volta l’Antartide in nave. Sono partito dalla Nuova Zelanda e sono arrivato dopo 11 giorni di navigazione. Credo che sia il modo più emozionante per chi si appresta a fare questa esperienza per la prima volta. Dopo 5 giorni, ho attraversato il Circolo Polare Antartico con la sua cintura dei ghiacci. Ricordo che erano i giorni in cui una nave russa era rimasta incagliata proprio li dove stavo per passare, ma nessuna apprensione, solo tanta adrenalina. Il paesaggio era surreale. Il riverbero del sole sui ghiacciai era accecante. Si navigava in mezzo agli iceberg, le orche, le balene, i primi pinguini, insomma paesaggi indescrivibili e tanta emozione. La sensazione era quella che realmente ci si stava avvicinando ai confini del Pianeta”.

Mi torna in mente “L’ultima spedizione”, la prima traduzione integrale dei diari che Robert Falcon Scott tenne durante la sua ultima spedizione in Antartide dal 1910 al 1913, un’impresa ciclopica che doveva raggiungere per prima il polo Sud e che invece venne preceduta di appena cinque settimane dalla squadra norvegese di Amundsen. Sulla strada del ritorno Robert Falcon Scott e quattro compagni andarono incontro alla morte. Otto mesi dopo, un gruppo di ricerca trovò la tenda di Scott, i corpi di tre degli esploratori, i quaderni e la macchina fotografica che aveva immortalato la marcia. Nei sedici mesi di permanenza in Antartide Scott tenne quotidianamente una sorta di giornale di bordo che documenta l’intero sviluppo degli eventi, una registrazione accuratissima che testimonia la conquista del polo e la tragica fine a undici miglia dal deposito che forse avrebbe garantito la sopravvivenza della squadra polare.

“Ma qui in Antartide- dice con malcelato orgoglio Francesco Pellegrino- non siamo soli. L’Italia condivide oggi con la Francia un’altra base sul ‘plateau antartico, più esattamente a 2 mila metri di altitudine. I cambiamenti climatici e l’analisi degli stessi viene fatta in questo ‘punto zero’ del nostro pianeta, in un ambiente dunque perfettamente privo di effetti inquinanti, il cosiddetto ‘effetto serra, proprio per capire come il mondo civile risulti inquinato da questi fenomeni”.

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Calabria Live ha dedicato una delle sue ultime cover all'ing.Francesco Pellegrino

-Ingegnere, mi dà un esempio delle ricerche finora compiute e legate al clima?

“Non vorrei risultare noioso, ma sono anni che vado ripetendo che le temperature medie decennali sono in aumento e il processo di ‘deglaciazione’ sta vistosamente crescendo. Questo significa che si vede meno ghiaccio e ci si accorge di questo fenomeno visibilmente. Tutto questo, va detto, è un grande rischio per l’umanità, in quanto lo scioglimento porterebbe a un aumento dei livelli dei mari e alla catastrofica previsione di una parziale scomparsa di Paesi come l’Italia, per lo meno di quei comuni posti sotto i 200 metri di livellamento sul mare, nel giro di qualche secolo”.

-Non crede sia un’analisi eccessivamente pessimistica?

“Sono le preoccupazioni più ricorrenti degli scienziati che studiano questi fenomeni, preoccupazioni per altro anche fondate. Naturalmente non possiamo trarre nessuna conclusione ancora, ma di sicuro posso confermarle che questi studi andranno avanti e che i presidi scientifici come questa nostra base vanno aumentando in ogni parte del pianeta".

-Si può dire dunque che la sua base qui in Antartide è assolutamente strategica?

“Prima di tutto si può dire che la comunità scientifica internazionale è molto preoccupata e che lo è a ragion veduta. Vede, non tutti lo sanno forse, ma l’Antartide è un punto di osservazione unico e privilegiato, essendo il posto più lontano dalle attività umane e dal mondo civile. Molti studiosi vanno anche al Polo Nord, ma quella del Polo Nord è una realtà troppo vicina alla civiltà. L’Antartide, invece, è completamente disabitato dall’uomo. Qui dove siamo noi siamo lontano quasi 8 mila chilometri dalla Nuova Zelanda, che è la nazione più vicina. Non esiste dunque posto miglior di questo per gli studi sul clima e i cambiamenti in atto sul nostro pianeta. Ma non è solo il cambiamento climatico il motivo per cui siamo qui: c’è anche la ricerca applicata all’industria su microrganismi marini in uso nella farmacologia, come la ricerca dei batteri per malattie incurabili. È un discorso, insomma, correlato all’industria e all’agricoltura, anche in funzione pre-competitiva di ricerca applicata”.

-Quanto va avanti generalmente una vostra missione?

“Io copro l’intero arco della spedizione, che dura 4 mesi pieni, da ottobre a febbraio. Ho in carico la responsabilità tecnica della fase di apertura e di messa in conservazione della Stazione e tutta la gestione tecnica delle infrastrutture e degli impianti, le operazioni logistiche aeree e navali per il trasferimento di personale e cargo da e per l’Antartide e quelle di supporto ai progetti di ricerca scientifica”.

-Mi piace immaginare che sia un team di eccellenza e molto affiatato?

“Di altissima eccellenza. Il gruppo di tecnici e il gruppo logistico che io coordino è costituito da elettricisti, meccanici, impiantisti, uomini insomma che garantiscono il funzionamento della Base, e che è da immaginare come una cittadella costruita nel nulla, dove tutti i servizi, quindi energia, riscaldamento, acqua, e rifiuti, devono essere garantiti in autoproduzione. Ma anche da personale militare altamente specialistico, come guide alpine, palombari o incursori, giusto per fare qualche esempio, e che è di supporto alle attività logistiche e per la sicurezza del personale operante in Antartide”.

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-Ingegnere, qual è esattamente oggi il suo ruolo in Antartide?

“Da 6 anni sono stato incaricato Responsabile tecnico e logistico o Capo Base della Stazione italiana in Antartide intitolata alla memoria dell’ing. Mario Zucchelli. È un ruolo impegnativo e carico di responsabilità ma che mi ha dato anche tanta soddisfazione”.

-Non solo noi italiani, da queste parti, mi pare di capire?

“Da queste parti, vige il Trattato Antartico, per cui l’Antartide è un territorio di nessuno, che può essere utilizzato per soli scopi pacifici e di ricerca scientifica. In base al Trattato, i Paesi del mondo più tecnologici e avanzati hanno scelto dei punti di ricerca in un territorio avanzato più grande dell’Europa. L’Italia è presente così come il Giappone, la Corea, la Francia e la Nuova Zelanda. La base italiana, inaugurata nel 1985 e aperta nel cosiddetto ‘periodo estivo australe’, da ottobre a febbraio, opera nella Baia di Terranova, sul mare di Ros, a sud est dell’Antartide, su un mare che rimane ghiacciato fino a metà gennaio: è il periodo in cui si possono ammirare i pinguini dopo lo scioglimento dei ghiacci”.

-Ingegnere, partiamo dall’inizio. Mi dice da dove viene e dove è cresciuto?

“Sono nato a Cosenza nel 1977 e ho vissuto fino alla maggiore età ad Acri, il mio paese di origine. Poi mi sono spostato a Cosenza per intraprendere gli studi in ingegneria, all'Università della Calabria e la vicinanza mi ha consentito di continuare a frequentare il mio paese di origine con continuità per tutto il periodo degli studi. Nel senso che non ho mai lasciato il mio paese e la mia casa di famiglia. Poi, dopo le prime esperienze di lavoro da neolaureato condotte in Calabria mi sono spostato per qualche anno in Lombardia e successivamente a Roma, dove vivo dal 2012, quando naturalmente non sono in missione in Antartide”.

-Che ricordi ha del suo paese di origine

“Sono ricordi “attuali” nel senso che quando posso, cerco di trascorrere qualche giorno ad Acri dove ancora vivono i miei genitori, e molti dei miei amici di infanzia. Certamente, come tutte le persone, i ricordi legati all’infanzia sono quelli più belli e spensierati ma nel tempo anche a distanza ho cercato di mantenere quanto più vive possibile le mie radici”.

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La Base ENEA in Antartide

-Non vuole farmi credere che anche quando è in Antartide si informa di ciò che accade ad Acri?

“Assolutamente sì, e forse anche più di quanto non accada quanto sto a Roma. Sono sempre aggiornato su quello che accade a casa mia, nel mio paese, ma oggi per fortuna ci sono tanti mezzi per rimanere vicini alla propria comunità di origine. Spero di poterlo fare sempre di più in futuro. Credo che sia importante per evitare di modificare la propria natura”.

-Che famiglia ha alle spalle? Intendo dire fratelli? Sorelle? Nonni...

“Famiglia classica italiana, siamo due figli, ho una sorella. I nonni purtroppo non ci sono più da tempo, la nonna materna non l’ho mai conosciuta.

-Che infanzia è stata la sua in Calabria? 

“Infanzia molto serena. Ho trascorso anni spensierati vivendo in paese tranquillo come Acri ma allo stesso tempo che dava comunque molto opportunità di relazioni sociali soprattutto agli adolescenti avendo a disposizione quasi tutti gli indirizzi delle scuole inferiori e superiori. In quegli anni era paese molto vivo dove la gente amava incontrarsi tutti i giorni sulla piazza e sul corso principale ed ogni occasione era vissuta come un momento di aggregazione e di relazioni profonde con amici e familiari. Credo di essere stato molto fortunato a crescere in un ambiente sano, purtroppo difficilmente ritrovabile oggi, ai giorni nostri.

-Che scuole ha frequentato e dove?

“Ho frequentato il liceo scientifico, ad Acri. Mai avuto dubbi sulla scelta dell’indirizzo scientifico. Mi ha aiutato molto negli studi successivi in ingegneria. Il liceo scientifico è un connubio perfetto tra le materie scientifiche ed umanistiche come il latino e la filosofia, ti insegna a ragionare sui problemi e ad individuarne una soluzione, ti dà capacità di sintesi e di schema, elementi importanti anche nella vita. Ho incontrato professori in grado di dare un metodo di studio affidabile. La scuola è un elemento fondamentale nella crescita adolescenziale, bisognerebbe investire tanto in essa per migliorare la società

- Come nasce la sua scelta professionale?

“Ho sempre avuto una predisposizione nelle materie scientifiche e tecniche per cui la scelta di fare ingegneria è stata naturale. Ho iniziato lavorando nel privato, nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, temi che ho sempre avuto cari, poi è arrivato l’Antartide in maniera abbastanza casuale. Appena entrato in Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente mi assegnarono all’Unità tecnica Antartide che si occupa dell’organizzazione delle Spedizioni italiane in Antartide e della gestione tecnica delle infrastrutture al Polo. In pochi mesi ho superato un corso di addestramento all’ambiente antartico svolto sul Monte Bianco e le visite di idoneità medica e sono partito per la mia prima missione al Polo Sud, da lì non ho mai smesso e lo scorso anno ho completato la mia decima missione consecutiva, la sesta da Capo base della Stazione italiana Mario Zucchelli.

-Gli anni all'Unical?

“Gli anni all’Unical sono stati molto intensi. Il campus universitario è fantastico, dà l’opportunità di socializzare e di fare tante amicizie. Ho vissuto in un appartamento a Rende con altri studenti di ingegneria, ricordo tanti momenti divertenti e gioiosi ma anche tante “nottate”.  Gli studi in ingegneria meccanica hanno richiesto molto impegno e tante ore sui libri o a lezione. Il periodo degli esami, come tutti credo, lo vivevo con grande preoccupazione poi piano piano ci si abitua a quelle pressioni e gli ultimi anni fino alla laurea li ho vissuti decisamente meglio, godendomi di più anche tutto il resto. Dopo la laurea, ho continuato a frequentare l’Unical grazie ad alcune collaborazioni saltuarie con alcuni miei professori nel campo della ricerca ed ancora oggi quando mi capita ci torno con piacere.

-Che prezzi si pagano rinunciando a non vivere in Calabria

“Certamente è una rinuncia importante a cui difficilmente ci si abitua anche dopo tanti anni ed anche quando si sta bene nel nuovo posto dove si va a vivere. Credo che per ogni calabrese ci sia sempre una parte che non si è mai allontanata che non è mai andata via. È questo un bene, perché consente di continuare a vivere secondo le proprie origini e secondo le proprie tradizioni ovunque cogliendo l’arricchimento che una nuova città o regione può dare ma senza snaturarsi.

-Come vive oggi il suo ruolo lontano dalla sua terra?

“Anche quando sono in Antartide, nel luogo più lontano e recondito presente sulla Terra, cerco di essere aggiornato su tutto quello che accade in Calabria e ad Acri. Ho fatto diversi collegamenti dall’Antartide con giornalisti e scuole calabresi, raccontato la mia esperienza, l’ho fatto con orgoglio e piacere e spero di poter trasferire quanto più possibile delle attività che svolgo alla mia Regione. Magari più avanti, quando rallenterò con le attività di campo, potrò avere il tempo di dedicarmici di più rispetto a quanto fatto sinora.

-Il suo primo incarico importante?

“Sicuramente il mio primo incarico professionale espletato in Antartide è stato quello più rilevante. Nel 2013 e 2014 fui nominato Direttore Lavori per il risanamento strutturale della banchina del porticciolo presente presso la Base Italiana in Antartide che si affaccia sul Mare di Ross. Le condizioni ambientali, la formazione del ghiaccio marino e le temperature estreme avevano creato danneggiamenti rilevanti mettendo a rischio l’operatività del porticciolo e di una gru polare fondamentale per lo scarico dei container di merci e viveri che raggiungono la Base. Fu un lavoro molto complicato che ha previsto anche il supporto anche dei subacquei della Marina Militare per le lavorazioni eseguite sotto il livello del mare. È stata una bellissima esperienza.

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Antartide, La base operativa di cui Francesco Pellegrino è il Responsabile tecnico

-La sua prima esperienza professionale invece più importante?

“Tutte le prime esperienze professionali le reputo molto importanti, mi hanno dato un metodo di lavoro e la capacità di affrontare giornalmente le difficoltà del lavoro sia quelle tecniche che relazionali. Inoltre, mi hanno insegnato a lavorare in squadra o guidare un gruppo di lavoro. Ricordo le prime esperienze da ingegnere in Calabria, frequentavo i cantieri ed i Comuni giornalmente, era molto motivante. Dopo la laurea, un giovane laureato deve accettare qualsiasi offerta di lavoro, anche se non pienamente soddisfacente perché da lì si parte e si impara, per me sono state fondamentali e ringrazio tutti i miei ex datori di lavoro per l’opportunità che mi hanno concesso.

-Le è mai capitato in giro per l'Italia di "vergognarsi" di essere figlio della Calabria?

“Assolutamente mai. Ho incontrato tanti calabresi in giro per l’Italia e fuori che si fanno rispettare per capacità, educazione e stile. Abbiamo grandi potenzialità, dobbiamo avere forse solo maggiore consapevolezza e curare il nostro essere “calabrese” a casa nostra avendo maggiore rispetto per la nostra terra. Per il resto, quando ci confrontiamo fuori non siamo secondi a nessuno, anzi…

-Qual è stata la vera arma del suo successo?

“Anche con le esperienze professionali degli ultimi anni che sono state abbastanza esposte da un punto di vista mediatico non sento di aver raggiunto il successo…sento sempre l’esigenza di dover migliorare e di mettermi in discussione, fare nuove esperienze, probabilmente se esiste un’arma è questa

-Che futuro immagina ora per la sua vita?

“Mi piacerebbe continuare a viaggiare per lavoro e vivere esperienze all’estero ancora per un po' poi magari verrà il momento di rimanere più tranquillo. Ho fatto 10 mesi missioni in Antartide negli ultimi 10 anni, questa esperienza mi ha dato tantissimo ma ha anche sottratto parecchio tempo alla cura della propria vita e dei propri affetti…in futuro potrei rallentare un po' per potermi dedicare anche ad altro, la voglia di mettersi in discussione in nuovi progetti di lavoro non mi mancano. La Calabria è sempre nel mio cuore, mi piacerebbe mettere a frutto le esperienze fatte e potermi dedicare anche alla mia terra. Da Responsabile del servizio ingegneria dell’Unità tecnica Antartide di Enea tuttavia la mia attuale attività continuerà senz’altro a impegnarmi molto, ci sono diversi progetti di ammodernamento delle infrastrutture e delle facilities che stiamo portando avanti visto che la Base italiana ha quasi 40 anni e necessita di una ristrutturazione profonda. Spero di riuscire a conciliare tutti i progetti e le idee in mente.#pinonano 

 

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