Francisco Icaza. Me quiero ir al mar
Ha aperto in questi giorni al Museo del Palacio de Bellas Artes di Città del Messico la retrospettiva sul pittore Francisco Icaza (1930-2014), “Francisco Icaza. Me quiero ir al mar”.
Artista sicuramente poco noto in Italia, ma con un ruolo rilevantissimo in Messico in particolare negli anni Sessanta. Cosmopolita per storia familiare, ma introverso e incline al misticismo e all’idealismo utopico, fu l’anima filosofica e l’elemento coesivo degli Interioristas, gruppo appartenenente all’area della cosiddetta Nuova Figurazione, alternativa artistica che si voleva slegare dalla contrapposizione tra realismo ed astrazione in atto alla fine degli anni Cinquanta.
La sua famiglia apparteneva all’alta borghesia ed era imparentata con la nobiltà spagnola: suo nonno era un noto diplomatico, oltre che un poeta e uno studioso di Cervantes e Nietsche: un ambiente familiare molto tradizionale, che lo portò inevitabilmente a cercare una forma di ribellione che trovò nella pittura.
Nel 1948 iniziò il corso di Scienze Politiche dell’Université Catholique de Lovaine in Belgio, ma dopo pochi mesi abbandonò gli studi universitari per entrare all’Académie Royale des Beaux Arts di Bruxelles, dove rimase per circa un anno. Questo fu il suo unico periodo di formazione artistica canonica, ma furono soprattutto le visite ai musei a lasciare un segno duraturo sulla sua opera.
Il pittore Rufino Tamayo, che frequentava l’ambasciata messicana di Bruxelles, invitò il giovane artista a seguirlo a New York. Icaza lo raggiunse e si stabilì nella città per due anni, mantenendosi con un lavoro alla locale ambasciata e cominciando a studiare pubblicità. In questo periodo negli Stati Uniti dipinse molto poco, si dedicò invece alla lettura della filosofia tedesca, in particolare Schopenauer e Nietsche, e di un’ampia selezione della saggistica esistenzialista e della letteratura che avesse degli agganci con l’esistenzialismo, da Dostoevskij alla fantascienza.
Nel 1953 decise di tornare in Messico e nel 1956 tenne la sua prima personale. Negli anni successivi si fece evidente a tutti l’ascendenza stilistica nell’espressionismo nordico e nella sintesi della pittura giapponese, il critico Crespo de la Serna evidenziò una tendenza all’astrazione in cui però persisteva “il tremore umano”, oltre ad un’ossessione per la morte, in cui giocavano un ruolo fondamentale gli esempi di Goya e di Ensor.
Il 1960 fu un anno cruciale: da un lato, il 9 agosto, ci fu l’incarceramento di David Alfaro Siqueiros, il noto muralista, che provocò una forte reazione nazionale ed internazionale, dall’altro nacque l’amicizia con il pittore e muralista canadese Arnold Belkin, da anni ormai attivo in Messico.
L’opposizione all’incarceramento di Siqueiros e la comune ricerca di una nuova strada per la pittura fece sì che attorno a questi due artisti si coagulasse un gruppo che venne definito degli Interioristas o Nueva Presencia. L’interesse dei componenti del gruppo si concentrava su una figurazione che si allontanasse dai modelli del muralismo e del realismo sociale, più legata a questioni esistenziali. Probabilmente influirono in questo senso anche politiche di disimpegno sociale realizzate su scala internazionale, che vennero però a coincidere con una reazione interna ad anni di predominanza muralista che li spinse a rivolgere l’interesse ad una dimensione individuale.
La partecipazione al gruppo permise a Francisco di canalizzare le inquietudini dell’artista in un’attività politica e di gruppo che, senza la presenza di Belkin, difficilmente avrebbe intrapreso. Integrando le problematiche sociali con i preesistenti interessi filosofici e ansie esistenziali diede vita ad un’opera originale e di grande forza, in cui il coinvolgimento con l’attualità non diventava mai sterile cronaca bensì occasione di riflessione, anche formale, sulla situazione dell’uomo contemporaneo.
Nel 1962 presentò la personale Metamórfosis de un Pájaro al Salón de la Plástica Mexicana. Nella serie di dipinti esplorava le diverse fasi della trasformazione di un volatile in una creatura che si avvicinava all’uomo. La metamorfosi di queste figure ibride poteva essere considerata sotto due diversi punti di vista: da un lato un tentativo di umanizzazione, un animale che cercava di liberarsi da uno stato bestiale, dall’altro lato, la perdita di innocenza di questa stessa creatura che, nel suo avvicinarsi all’uomo, perdeva la capacità di aspirare all’empireo. La ridotta gamma cromatica di queste opere virava sempre sui colori scuri, rasentando il monocromo, e le figure, prive di spessore, si stagliavano su fondi neutri, privi di connotazioni, assurgendo a simboli di una condizione psicologica e storica.
Del 1963 è un’altra serie fondamentale nell’evoluzione di Icaza, La Peste, in cui ritraeva ossessivamente il vero protagonista del romanzo di Camus cui era ispirata: il topo portatore della piaga insanabile, metafora dei mali della società. Si trattava di un’invocazione alla responsabiltà di fronte ai delitti della società che non era più possibile ignorare.
Nel 1964, a riprova dell’accresciuto apprezzamento riscosso dalla sua opera, anche in ambito internazionale, venne selezionato per il Gugghenheim International Award. Fra questo momento e la successiva partecipazione al Salón Independiente del 1968 la sua opera si indirizzò sempre più verso l’astrazione e finì per assimilarsi al cosiddetto gruppo della Ruptura.
Il massacro di Tlatelolco, durante le olimpiadi del 1968, segnò uno spartiacque, l’artista lasciò il Messico, dove non sarebbe tornato per molti anni, e rimise in discussione i principi basilari del suo fare arte, ma non abbandonò mai la sua ricerca, dedicandosi anzi anche alla scultura ed alla scrittura, un instancanbile esploratore dell’inconscio che avrebbe continuato a lavorare assiduamente fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2014.
La mostra è aperta fino all'8 settembre: se siete da quelle parti io vi consiglio di andarla a vedere e poi fatemi sapere se l'allestimento rende giustizia a questo artista.
Profesional Independiente
5 anniPreciosos recuerdos, aquéllos en que cada fin de semana, mis tíos José Víctor Muñoz Medina y su esposa Angélica Moctezuma organizaban tertulias en su casa con literatos, políticos y artistas plásticos. Eran clases particulares de filosofía, pintura, música, etc. Recordar es vivir!.