Da Montezuma a Massimiliano e ritorno.
Oggi che è normale consuetudine valutare a che titolo i musei possiedono i pezzi da loro esposti e che si parla sempre più di frequente, a ragione o meno, di restituzione dei tesori rubati in epoche coloniali, vale la pena rispolverare la storia di antiche restituzioni di opere. Ancora per pochi giorni al Museo Nacional de Historia Castillo de Chapultpec sarà possibile vedere l’esposizione Chimalli. Tesoro de Moctezuma en Chapultepec incentrata sul cuexyo chimalli (scudo huasteco) o chimalli di Chapultepec, uno dei pochi scudi cerimoniali precolombiani oggi esistenti. Realizzato con pelli ed oltre 26.000 piume di diverse specie di volatili fu portato in Europa intorno al 1524, uno fra i molti reperti che dovevano fungere da testimonianza delle ricchezze e meraviglie del Nuovo Mondo, oltre che da doni diplomatici. Il chimalli entrò a far parte delle proprietà degli Asburgo e nel tempo trovò la sua collocazione a Vienna come il più noto pennacchio di Montezuma. Quando nel 1864 Massimiliano d’Asburgo, fratello minore dell’imperatore Francesco Giuseppe, assunse il ruolo di imperatore del Messico sotto l’egida francese, uno dei compiti che si assunse durante il suo effimero governo fu quello di dare un concreto sostegno allo sviluppo di arti e scienze, anche tramite la creazione di accademie e musei, e proprio per il Museo Nacional Mexicano volle far tornare in patria l’antico scudo. In qualche modo Massimiliano volle riconnettere la sua figura tanto all’antenato Carlo V, nel cui nome Cortés conquistò il Messico, quanto all’antica cultura azteca di Montezuma II che lo scudo rappresenta. Se questo gesto non poteva in alcun modo cambiare le sorti del suo effimero impero, risulta oggi però il motore di una riscoperta delle radici culturali messicani, ricordando, come ha detto il direttore generale dell’INAH che recuperare le vicende della Conquista permette di ripensare la condizione del Messico quale paese multiculturale fondato nelle culture delle popolazioni autoctone a cui però non si può dimenticare di incorporare le componenti europee, asiatiche e africane.
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