Il coefficente Texas ratio, un indicatore per i crediti deteriorati delle banche.

Il coefficente Texas ratio, un indicatore per i crediti deteriorati delle banche.

Le banche italiane non hanno ancora risolto il problema delle sofferenze che negli anni si sono accumulate e la Bce ha individuato nel Texas ratio l’indicatore sintetico in grado di stabilire se una banca è in grado di coprire con le sue risorse il rischio di credito: se è a 100 o superiore la situazione della banca è divenuta rischiosa. Infatti questo parametro mette in relazione i crediti non performanti con il patrimonio netto tangibile. Se il rapporto è superiore a 100 significa che le perdite potenziali di questi crediti sarebbero in grado di erodere l'intero capitale, in altre parole la capacità di coprire con le proprie risorse (reddito e patrimonio) il rischio di credito, tenendo allineato il valore di bilancio dei prestiti non performanti a quello di mercato.

Il coefficiente Texas è più facile da calcolare rispetto ai requisiti patrimoniali di Basilea, si tratta di mettere in rapporto l’ammontare dei crediti deteriorati con il valore del Patrimonio dell’impresa, (patrimonio tangibile netto). Il coefficiente Texas va messo in relazione anche all'andamento degli NPL, Non Performing Loan, in percentuale dei crediti totali. La Bce ha rilevato che l'Italia è davanti soltanto a Cipro e alla Grecia.

Quanto più il Texas ratio è superiore a 100, tanto più sono alte le probabilità di default della banca con il rischio di perdita per azioni, obbligazioni e depositi oltre la soglia di 100.000 euro. Quindi se la vostra banca ha un Texas ratio superiore a 100 la situazione diventa critica, aumentano i rischi per i suoi creditori e le possibilità di default della banca, mentre diminuiscono di contro le probabilità di attirare nuovi investitori.

In queste situazioni, anzi con largo anticipo, prima che il panico si impadronisca dei mercati, sarebbe opportuno prepararsi spostando i depositi verso una banca in condizioni migliori. Ovviamente il consiglio è quello di tenersi alla larga da obbligazioni bancarie, anche se oggi promettono interessi allettanti (più sono alti e più è pericolosa la banca) e alle azioni.

Se guardiamo alla situazione italiana delle banche, il Sole24Ore a febbraio, in un articolo di Antonella Olivieri, tirava così le somme: di "191 banche - il 46,1% del totale - passano il test a pieni voti; 87 (21%) sono rimandate in una materia; 35 (8,5%) in due; 63 (15,2%) in tre e 38 sono “bocciate” su tutti e quattro i fattori di rischio (9,2%)." Nello specifico queste 38 banche avevano una media di Texas ratio del 128,3%. Tra queste figuravano Carige, ricapitalizzata a fine 2017, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, “salvate” l'anno scorso da Intesa-SanPaolo, poi Banca Etruria, Banca delle Marche e CariChieti. La somma delle sofferenze nette solo delle prime 10 banche ordinate per importo, alla fine del 2017 era pari a 47,7 miliardi di €, come si evince dalla prima immagine, una cifra pari a 3 manovre finanziarie, questo per dare una idea dell'impatto di questi numeri.

Già a febbraio 2018 la situazione sembrava migliorare leggermente i dati di fine 2017, infatti, sempre secondo il Sole24Ore, erano 6 su 11 le banche che evidenziavano un Texas ratio superiore al 100%: Creval (127,2%), Banco Bpm (116,6%), Mps (111,1%), Bper (104,9%) e Ubi 100,7%, Credem 49,9%, Unicredit 61,5%, Intesa 74%, mentre Popolare di Sondrio in controtendenza saliva al 90,6%. Le stesse sei banche con Texas ratio superiore al 100% hanno crediti deteriorati netti superiori al Cet1. Sembra scontato che la situazione delle banche italiane che hanno un Texas ratio superiore a 200 sia veramente preoccupante, sono tante e soprattutto locali. Qui sopra una fotografia del 2015, in cui figurano anche banche poi fallite o salvate in extremis attraverso entrata nel capitale di altra banca.

A fronte di questi dati, che fotografano la situazione agli inizi del 2018, dobbiamo fare un paio di considerazioni. La prima riguarda la massiccia presenza di titoli di stato italiani nel capitale delle banche, che ha subìto una sensibile svalutazione. Questa svalutazione, perdurando questo livello di spread fino al 31 dicembre del 2018, dovrà essere iscritta necessariamente a bilancio. Questo comporterà per molte banche una rivisitazione dei parametri qui illustrati, poiché il patrimonio netto costituisce il denominatore di questo rapporto. La situazione di fine 2017 appare abbastanza diversa da quella attuale e questo sicuramente modificherà i risultati finali. Infatti prendendo ad esempio il dato di Banca Intesa che dall'inizio dell'anno ha perso in borsa il 34% del suo valore di mercato, risulta ovvio che questo inciderà anche sul suo Texas ratio.

La seconda considerazione è che la perdurante situazione potrebbe incidere anche in maniera combinata con la fuga degli investitori da queste banche, infatti più scendono i patrimoni delle banche, più si deteriora il rapporto tra crediti non performanti e patrimonio netto tangibile, più gli investitori saranno tentati di disfarsi di questi titoli, che di conseguenza continueranno a bruciare capitale.


Paolo Rivelli Financial Advisor

#RivelliAdvisory

Fonte : il Sole24Ore, Citiwire

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