Il diritto all'obiezione di coscienza ed il bando riservato ai medici non-obiettori
La questione se le ASL e gli enti ospedalieri pubblici possano indire bandi per l'assunzione riservati a medici non-obiettori di coscienza - che quindi si impegnino per la durata dell'incarico a praticare le interruzioni di gravidanza - porta alla luce un contrasto tra interessi di rilievo costituzionale contrapposti.
Da un lato, il diritto all'obiezione di coscienza del singolo medico, che vieterebbe la possibilità di una discriminazione strettamente correlata all'adesione ad una determinata religione o filosofia.Dall'altro, il diritto della gestante di abortire e l'obbligo\necessità dell'apparato pubblico di fornire il servizio di interruzione della gravidanza riconosciuto dalla Legge 194.L'impegno a fornire il servizio per l'intera durata dell'incarico può costituire ragione oggettiva che legittima la restrizione dell'accesso all'impiego?Si aggiungono ulteriori fattori che rendono oltremodo problematico il bilanciamento tra i valori in gioco: cosa succede se, in corso di incarico, il medico decide di esercitare il diritto all'obiezione di coscienza? L'esercizio del diritto può costituire giustificato motivo oggettivo per il recesso dell'azienda sanitaria pubblica dal rapporto? La "minaccia" del recesso non produce essa stessa un effetto dissuasivo rispetto all'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza, e quindi non si traduce nella compressione del diritto stesso?