Il marketing va a caccia di selfie, lo scatto che rivela tutto di noi

Il marketing va a caccia di selfie, lo scatto che rivela tutto di noi

Dai vestiti alle bevande: le immagini sui social network usate per studiare i consumatori. Ed è polemica

LA CACCIA ai selfie da parte delle aziende è cominciata. Perché in un autoscatto, come in una semplice fotografia postata sui social network, possono nascondersi informazioni preziosissime per grandi e piccoli marchi. Indicazioni sotto traccia che raccontano il comportamento dei consumatori e che, una volta ripescate attraverso l'analisi delle immagini, possono dettare nuove strategie aziendali o indirizzare le major su specifiche campagne pubblicitarie. Per questo motivo, sempre più spesso, le aziende si rivolgono a società che si occupano di analizzare i profili social pubblici alla ricerca di loghi e brand che appaiono sulle nostre fotografie. Come? Attraverso l'uso di software di "image recognition" - simili a quelli che Facebook usa per il riconoscimento dei volti quando ci suggerisce di taggare una foto - che sono in grado di riconoscere la presenza di un marchio in uno scatto anche se questo non è accompagnato da riferimenti testuali diretti, come citazioni nel post o hashtag.

Società come le americane Ditto Labs e Piqora hanno fatto di questa tecnologia un business, concentrandosi soprattutto sui social network che prediligono l'uso delle immagini come Instagram, Pinterest e Tumblr. E riuscendo a conquistarsi clienti "pesanti" come Coca Cola, Adidas, Cadillac e Kraft. Scandagliando la valanga di fotografie che quotidianamente vengono pubblicate sui profili social (è stato calcolato che siano all'incirca 1,8 miliardi al giorno), riescono a fare indagini di mercato molto dettagliate. Un'"arma" che, nell'era in cui a dominare il web sono le immagini, fa gola a qualsiasi direttore di un ufficio marketing. "Uno degli aspetti più interessanti è che questi dati possono essere incrociati", spiega Gaia Rubera professore associato di marketing all'università Bocconi, "così le aziende possono ricavare moltissime informazioni, come l'orario in cui la foto è stata scattata, se l'autore era in compagnia o da solo e se il marchio è associato a un preciso stato d'animo. Non solo: analizzando i selfie, ad esempio, Adidas ha scoperto che il 13 per cento dei propri clienti è anche un fan di Justin Bieber, Heineken che i fan dei Metallica preferiscono la propria birra, mentre i fan di Beyoncé sono gran bevitori di Smirnoff Ice".

Un caso pratico di come le aziende sfruttino queste informazioni è quello dell'americana Chobani, produttrice di yogurt. Quando hanno scoperto che molte persone negli Stati Uniti pubblicano selfie mentre sono in macchina e mangiano yogurt, hanno deciso di creare una linea di confezioni pensata apposta per essere consumata in automobile. Oppure il caso di una major statunitense di bevande gassate che ha assoldato Ditto Labs per scoprire come gli adolescenti interagiscono con il loro marchio: una ricerca che ha portato a un radicale cambio di strategia nelle sponsorizzazioni e nel design delle bottiglie.

Anche in Italia si comincia a esplorare questa nuova frontiera del marketing. "Abbiamo ricevuto molte richieste da parte di marchi italiani", spiega Benjamin Shannon di Ditto Labs, "e l'attenzione per la nostra tecnologia è forte da voi. In Italia i più interessati sono i brand del lusso che hanno uffici marketing molto esperti e che vogliono sfruttare le foto per avere vantaggi sulla concorrenza". Perché se da una parte questa tecnologia può essere usata per conoscere meglio i propri clienti, dall'altra può essere sfruttata anche per "studiare" gli avversari.

A far discutere sono gli aspetti legati alla privacy che hanno già sollevato polemiche. Perché a molti l'idea che le aziende scavino nelle immagini di vita quotidiana alla ricerca di informazioni commerciali non va giù. L'accusa rivolta a queste società è quella di sfruttare i selfie a fini commerciali, senza chiedere alcun tipo di autorizzazione agli utenti.

Ditto Labs ha però spiegato che si tratta di analisi che vengono svolte esclusivamente su profili pubblici e che da anni si fanno ricerche di mercato utilizzando le informazioni che tutti i giorni pubblichiamo sui social. "La reazione immediata è quella di sentirsi controllati in tutto, anche nella sfera privata", aggiunge la Rubera, "ma la scelta, alla fine, è sempre del consumatore: anche nel momento in cui pubblichiamo una foto online, dobbiamo assumerci la responsabilità di quello che facciamo".

quindi cuginetto, mettiamo caso che se mi faccio un selfie in mutande (cosa molto complicata, visto che l'obiettivo non avrà tanta prospettiva) ai successivi collegamenti mi propongono di cambiare l'intimo.. ma in questo caso, non è che si intasa il server per spam di chirurgia plastica ? :D

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