Il mondo che cambia, visto dai libri
Come brucia il nuovo fuoco?
In principio era il fuoco, oggi è l’intelligenza artificiale. La forza che sta trasformando le nostre vite può illuminare il cammino a invenzioni rivoluzionarie, ma anche sfuggire al nostro controllo e innescare incendi difficili da sedare. O, perfino, essere brandita come un’arma capace di alimentare le fiamme di un nuovo tipo di guerra in grado di fare vacillare la democrazia. E ridurre tutto in cenere. Quel che è certo – spiegano Ben Buchanan e Andrew Imbrie - è che “Il nuovo fuoco” arde, il combustibile abbonda e la gamma dei possibili scenari è vasta. Tanto che non è un’eresia affermare che la geopolitica del futuro sarà plasmata proprio dall’intelligenza artificiale.
Accademici in congedo per prestare servizio, rispettivamente, alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato americano – Buchanan e Imbrie sono tra le menti dell’Ordine esecutivo sullo sviluppo e l’uso sicuro, protetto e affidabile dell’intelligenza artificiale, firmato lo scorso 30 ottobre dal Presidente Biden
Nell’analizzare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, gli autori introducono tre posizioni principali all’interno del dibattito pubblico: gli evangelisti, ovvero coloro che vedono soprattutto il lato positivo dei nuovi paradigmi tecnologici; i guerrieri, che utilizzano la tecnologia a fini di sicurezza nazionale e di supremazia politica; le Cassandre, che sottolineano i limiti e i pericoli dello sviluppo in corso.
Chi possiede davvero gli oggetti digitali?
Quanti conoscono la storia dell’uomo che non riesce più a spendere i “suoi” 7.000 bitcoin? Chi si ricorda di “1984” di Orwell rimosso dalle librerie Kindle? Quanti sono consapevoli degli abusi che possono essere commessi tramite gli elettrodomestici “smart”? E chi è a conoscenza dei rischi associati all’utilizzo di assistenti vocali in presenza di minori? Nell’indifferenza generale, la digitalizzazione sta cambiando il nostro rapporto con gli oggetti che fanno parte della nostra vita quotidiana, ma che oggi, sempre più, sfuggono al nostro controllo esclusivo. È l’era de “L’uomo senza proprietà” che Jacopo Franchi descrive nel suo nuovo saggio, cercando di rispondere a una domanda troppo spesso trascurata: siamo consci del prezzo pagato per un mondo sempre più comodo e servizi sempre più “accessibili”? O il momento della consapevolezza – e della reazione – deve ancora arrivare?
Grazie a conoscenze maturate sul campo e a uno studio approfondito della materia, Franchi offre una panoramica aggiornata delle conseguenze della digitalizzazione degli oggetti per la privacy, la sicurezza e il controllo degli stessi delle persone comuni e in particolare delle categorie più a rischio, come bambini, anziani, non in grado di scegliere liberamente tra le opzioni disponibili. Conseguenze difficili non tanto da comprendere di per sé, quanto da prevedere e valutare nel loro insieme visto da un lato l’alto livello di pervasività che oggetti e servizi digitali hanno raggiunto nella vita di ogni giorno, dall’altro la complessità degli ecosistemi e delle piattaforme a cui appartengono.
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Attenzione, pericolo socialwashing
Quante campagne che ci fanno sorridere o commuovere potrebbero essere rilette con occhio critico ed essere accusate di socialwashing? Molto raramente quando vediamo uno spot – o un post – ben realizzato che propone messaggi di solidarietà, inclusione, sostegno alle persone ci chiediamo se l’organizzazione che ci sta parlando metta in pratica questi principi oppure cerchi solo un modo per conquistare la nostra attenzione proponendo un’immagine più positiva di quello che è il suo impegno reale. In un mercato dove prodotti e servizi spesso sono simili per prestazioni e prezzo, d’altronde, l’adesione a nobili ideali può diventare un fattore che condiziona la scelta d’acquisto.
Ma qual è il limite da non oltrepassare? Rossella Sobrero spiega come le organizzazioni possano evitare il “pericolo socialwashing” e comunicare l’impegno sociale tra opportunità e rischi.
Superare la società della solitudine
La popolazione che invecchia, i legami che si squagliano, la solitudine che aumenta, i servizi pubblici che arrancano. Intorno a noi i segni della disgregazione sociale in atto diventano via via più evidenti e per contrastarli sembrano non bastare né gli sforzi dei singoli né quelli di istituzioni rimaste troppo ancorate a modelli passati. Eppure una strada che porti alla rigenerazione del tessuto sociale esiste. E, secondo Ezio Manzini e Michele d’Alena, passa inevitabilmente per la ridefinizione del concetto di “Pubblico”: non più uno statalismo novecentesco ma un modo diverso di “fare assieme”, basato su una nuova generazione di servizi pubblici collaborativi capaci di ricostruire un senso di comunità e innescare una molteplicità di iniziative che si levino autonome dal basso.
L’analisi di Manzini e d’Alena parte da un presupposto amaro: stiamo perdendo la capacità di collaborare. Oggi i servizi pubblici si trovano a operare in un deserto sociale in cui ci sono sempre meno reti di prossimità in grado di svolgere attività di supporto diffuse e quotidiane. A complicare il tutto, poi, il doversi confrontare con una società liquida, multiculturale, con sempre più famiglie composte da persone sole e con un aumento della popolazione anziana che necessità di cura quotidiana.
Ma se la concezione novecentesca dei servizi pubblici non può più funzionare, in quale direzione è opportuno andare?
Consulente MKT & ADV | Innovation Manager | Digital Specialist | E-commerce Specialist | eBay Account Manager | Exploring Blockchain, NFT & Web3 | Autore Romanzi YA
6 mesidavvero molto interessante!