Il tassello mancante
Tutto è partito una decina di giorni fa.
L'Italia si trovava nel bel mezzo di una difficilissima e vitale trattativa con gli altri 26 stati membri dell'Unione Europea per chiedere gli aiuti necessari a fronteggiare l'emergenza sanitaria che ha travolto in pieno il Belpaese e non solo.
Aiuti da mettere in campo per il rilancio economico delle tante nazioni dell'Eurogruppo che si trovano falcidiate da questo treno lanciato a tutta velocità che non accenna a diminuire la sua corsa.
Una destra poco collaborativa, cala la carta MES. Non MES inteso come Fondo salva stati, ma come parola d'ordine (sarebbe potuta essere qualunque altra) scelta per impaurire il popolo e farlo scatenare contro governanti, poteri forti, banche tedesche e chi più ne ha più ne metta.
Ma andiamo con ordine.
Succede che dopo estenuanti trattative, con non poche resistenze da parte dell'ala più conservatrice e sovranista dell'UE, viene trovato un accordo da 1000 miliardi per il rilancio economico del vecchio continente. Una cifra che in precedenza non era mai stata mossa.
È stato inoltre proposto un fondo per un piano di ripresa da 500 miliardi di euro finanziato a debito comune.
A questi, vanno pure aggiunti 100 miliardi di euro per la cassa integrazione europea e 200 miliardi di euro di garanzia da parte della Banca Europea per gli investimenti.
Un accordo che non prevede il ricorso al MES da parte dell’Italia.
Vale la pena precisare che questo spaventoso acronimo esiste dal 2012, votato dal Parlamento italiano nel 2011, con un governo di centro-destra in carica e Giorgia Meloni nel ruolo di Ministro della Gioventù.
Il nuovo accordo europeo, prevede peraltro che il Fondo salva stati non abbia più alcuna condizionalità sulle spese sanitarie.
Da non economista, non so se questo accordo sia stato il migliore possibile per l'Italia, ma mi sento di dire che se il nostro governo fosse stato di impronta sovranista, probabilmente non ne avremmo cavato un ragno dal buco, compromettendo rapporti già di per sé tesi con le istituzioni europee.
Cosa è successo un secondo dopo l'accordo
"Al mio segnale, scatenate l'inferno". E quel segnale, è la parolina MES.
Questo è stato il pensiero del duo Salvini - Meloni, che immediatamente dopo la fine degli euro-meeting si è scatenato sui social parlando di tradimento e di "MES firmato".
Apriti cielo. Orde di commentatori colmi d'ira bersagliano in pochi secondi pagine e profili di Conte e dei Ministri italiani, senza ovviamente essersi prima informati a dovere.
Una fake news dalla immediata digeribilità e ben confezionata dai due leader dell'opposizione, non nuovi a questo modus operandi.
Peccato però che la presunta firma del MES venga ripresa seduta stante anche da diversi organi di informazione, evidentemente poco attenti e frettolosi nel dare la notizia prima di un'attenta e doverosa verifica.
Ed eccolo qui, il tassello mancante. Ovvero, la corretta informazione.
Su un tema così complesso ed epocale, affrontato nel momento storico più complesso dall'Europa dal secondo dopoguerra, i media avrebbero dovuto a maggior ragione fare da argine tra una notizia falsa (con conseguente panico generale) e l'effetto domino che questa avrebbe inevitabilmente scaturito.
"L'effetto domino è una reazione a catena lineare che si verifica quando un piccolo cambiamento è in grado di produrre a sua volta un altro cambiamento analogo, dando origine ad una sequenza lineare" (Lo dice Wikipedia, sarà vero? In ogni caso, ci siamo capiti).
Un gioco al massacro al quale Giuseppe Conte non ha voluto partecipare. Nell'arco dell'ormai nota conferenza stampa del 10 aprile scorso, facendo nomi e cognomi, il Primo Ministro ha smontato le bordate lanciate da Salvini e Meloni, sottolineando a gran voce la contrarietà del proprio esecutivo alla sottoscrizione del "diabolico" MES.
Reazione e controreazione
La prima controreazione arriva dai sopracitati Salvini e Meloni, che toccati nell'orgoglio e smontati delle loro (deboli) certezze, fanno addirittura riferimento alla Corea del Nord in quanto il Presidente del Consiglio a loro dire non potrebbe attaccare l'opposizione in diretta tv e in onda su più reti.
Una considerazione alla quale bisogna però aggiungere dati in base ai quali (fonte: Repubblica) sarebbe proprio Salvini a dominare la scena in quanto ore spese davanti allo schermo in diretta. Certo, non è la stessa cosa farlo da Premier, ma se pensiamo alle tante volte in cui lui e Meloni si sono trovati in talk show accomodanti senza (o con scarso) contraddittorio sparsi su tutti i network italiani, le loro affermazioni fanno quantomeno sorridere.
Ed è proprio in uno di questi talk show (Porta a Porta) che Giorgia Meloni ieri sera, giovedì 16 aprile, ha finalmente ammesso che il voto sul MES in Parlamento fosse passato mentre al governo c'era ancora il centro-destra, prima dell'arrivo di Mario Monti e dei tecnici.
A criticare fortemente Giuseppe Conte c'è anche Enrico Mentana, il re delle maratone, che tuona: "se avessimo saputo che Conte avrebbe fatto nomi e cognomi, non avremmo trasmesso la conferenza stampa in diretta".
Ma da quando il giornalista dovrebbe censurare? Mentana avrebbe potuto semplicemente criticare, a suo modo di vedere, le azioni del premier ma senza alludere a una censura preventiva.
Da qui, la contro-controreazione di Palazzo Chigi che ha risposto con un comunicato stampa facendo riferimento, neanche troppo velatamente, alle parole di Mentana, nel frattempo diventato idolo della frangia degli haters che, svestiti del camice di virologi e immunologi per qualche istante, si erano calati nei panni dei fini economisti per assediare i social di Conte.
A questo punto, il colpo di grazia. Mentana, ferito nell'orgoglio, dedica un monologo di 6 minuti della successiva edizione del TG de La7 alla difesa della sua posizione.
Se è vero che il direttore può aver fatto ragionamenti condivisibili, su tutti quello del "possibile precedente" creato dal premier, è altrettanto vero che il tutto si sarebbe potuto evitare se buona parte dei media avessero smontato fin da subito i post privi di fondamento dei due leader della destra italiana.
Da qui, Conte che si traveste da fact-checker e debunker (parole che personalmente detesto, ma ormai si usa così) per rimettere dietro la lavagna gli alunni che non hanno fatto i compiti e per colmare il vuoto lasciato da quei tasselli mancanti di cui la nostra società avrebbe così tanto bisogno per saper distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è.