Il thauma e l'avvenire. Piccole riflessioni sul mondo che verrà.

Il thauma e l'avvenire. Piccole riflessioni sul mondo che verrà.

Il 27 Marzo sul suo account Twitter, il filosofo e sociologo Edgar Morin scrive così: « le virus est philosophe: il nous oblige à nous interroger ». Il virus è un filosofo e ci costringe ad interrogarci. Nessuno di noi ha una sfera di cristallo, non sappiamo che mondo vivremo dopo la pandemia eppure, ci sono messaggi ed interrogativi che non possono essere lasciati in sospeso.

L'isolamento forzato, il distanziamento sociale, la crisi sanitaria globale e gli echi di una sempre più roboante crisi economica e sociale ci portano a riflettere su quella che sarà la nostra normalità. La nostra nuova normalità, perché quella vecchia, che credevamo invulnerabile, è stata all'improvviso messa in crisi da infido e silenzioso microrganismo invisibile all'occhio umano.

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Guardiamo al mondo dei consumi. Già dopo due settimane di quarantena le ricerche legate agli shop online sono cresciute di oltre il 1000%. È vero, il fenomeno dell'e-commerce non è affatto recente, ma nuove fasce della popolazione stanno sperimentando gli acquisti digitali spingendo anche il mondo del commercio tradizionale ad adeguarsi a logiche mai sperimentate. Ci sarà una propulsione verso i servizi dedicati alla persona: assistenza dedicata, consegna a domicilio, personalizzazione del prodotto. Il tutto sotto una nuova luce: la cura e la creazione di un rapporto sempre più intimo fra brand e consumatore. Giampalo Colletti - giornalista e storyteller - nel suo articolo "L'arte di vendere in lockdown" sul Sole24 del 28 Marzo ha proprio messo in luce come le marche, dalle multinazionali alle microimprese, siano scese in campo per colmare il bisogno di relazioni. Un esempio? Regalando servizi in streaming, organizzando concerti virtuali o videochat di gruppo, creando iniziative solidali e lavorando sulla informazione.

La campagna "together" di Chipotle

A proposito di rapporti, cambieranno anche quelli interpersonali? Negli ultimi vent'anni tanto più è cresciuta la nostra interdipendenza tecnologica, tanto più abbiamo intaccato il nostro tessuto sociale. I social network ci hanno sì connesso in una fitta rete di conoscenze, ma esponendoci al pericolo di un monadismo fisico e digitale.

È arrivato il momento della maturità. Il mondo non è mai stato interconnesso come oggi e non grazie alla fitta rete di cavi che ci permette di comunicare in tempo reale con l'altra parte del mondo, ma perché abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che "siamo tutti sulla stessa barca". La coscienza di un destino comune non è mai stata così forte, neanche di fronte allo spauracchio del degrado della biosfera o delle catastrofi nucleari. Il coronavirus ci ha "stretti a coorte" e ha risvegliato il senso della solidarietà e della responsabilità. Ha unito - seppur forzatamente - famiglie e vicini, ha creato un nuovo senso di comunità.

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Perché maturità? Perché andremo incontro ad un uso sempre più responsabile del digitale e del virtuale. Instagram, Facebook, Tik Tok saranno sempre il luogo dell'intrattenimento e dello sfogo dell'individualità; vedremo ancora gatti e cani che ballano con i loro padroni e beceri commenti su notizie più o meno verificate, ma costruiremo relazioni e community sempre più virtuose. Abbiamo sotto gli occhi l'esempio di come una influencer - Chiara Ferragni - sia riuscita a raccogliere, tramite crowdfunding, più di 3 milioni di euro per creare nuovi posti di terapia intensiva all'ospedale San Raffaele di Milano. Qualche mese prima c'era stata l'esperienza del Fridays for Future che aveva ridato vigore a suon di hashtag all'attivismo giovanile nella lotta contro i cambiamenti climatici. In un'altra epoca e con altre modalità, tutto ciò sarebbe stato impossibile.

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I social con la loro semplicità comunicativa e la loro rapidità, si sono dimostrati essenziali per informare e veicolare messaggi complessi. Tutorial, animazioni, infografiche, sketch comici e meme sono stati più reattivi ed efficaci di alcuni messaggi istituzionali e, spesso, le stesse istituzioni sono scese a compromessi con gli strumenti forniti dai social stessi: dirette e stories su tutti. Certo, non sono mancati isterismi e complottismi vari, ma "gli anticorpi della rete" - cioè noi stessi in quanto cittadini e naviganti del mare digitale - si sono dimostrati efficaci a neutralizzare alcune derive.

Forse, e dico forse, vedremo un barlume nella cecità verso sé stessi e verso gli altri. Nella primavera post-pandemia ci saranno sempre egoismo, invidia, risentimento, disprezzo, collera e odio, ma sotto la cenere lasciata dal virus ritroveremo amore, amicizia, solidarietà, comunione, gioco e poesia. Ritroveremo valori come la lentezza e l'attaccamento alla terra e là dove continueremo a coltivare skills che vanno nella direzione dell'innovazione, della digitalizzazione, della competenza specifica, ci tornerà utile immergerci nella morale, nella conoscenza della complessità e in tutti quegli approcci che ci spingeranno nella formulazione di un nuovo umanesimo: meditazione, rilassamento, riflessione, comprensione.

Tutto ciò in cui si può sperare non è il migliore dei mondi, ma un mondo migliore che passi attraverso alcune trasformazioni di cui oggi possiamo solo intravedere un preambolo.

Concludo con una citazione quanto mai attuale:

"Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva"
Friedrich Hölderlin

Là dove cresce la disperazione, cresce anche la speranza e con essa la strategia per attuare l'avvenire.



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