Il Web 3.0: Visione e Paradosso di una Rete Decentralizzata
Chi fra noi non hai mai sentito parlare di web 3?
Una delle buzzwords dell'ultimo decennio assieme a blockchain, AI e metaverso, ma questa è un'altra storia o forse no?
Network costruiti su Internet che usano meccanismi di consenso come la blockchain e permettono di impiegare le criptovalute per incentivare la collaborazione di tutti i membri della rete.
Questa è la definizione di Web 3.0 riportata sulla rivista OneZero, e credo che riesca a raccogliere tutti gli aspetti della tanto discussa terza versione del Web, quella che promette di ridistribuire il potere dalle grandi aziende della Silicon Valley agli utenti, esatto, in una sorta di Robin Hood digitale.
Facciamo un po' di ordine e di chiarezza, prima di tutto partiamo dalle precedenti versioni (sicuramente in modo non esaustivo).
Web 1.0
Il World Wide Web, o web statico, rappresentava il primo stadio del web, diffusosi a partire dagli anni '90 e ancora ampiamente utilizzato oggi. Gli utenti accedevano alle pagine tramite collegamenti ipertestuali, ma non potevano interagire direttamente con esse. In pratica, gli utenti potevano solo navigare e sfogliare una serie di contenuti senza la possibilità di interagire, almeno non senza ricorrere a sistemi canonici come telefono o fax.
I siti web fornivano informazioni agli utenti in modo quasi del tutto unidirezionale, Social media e piattaforme collaborative erano una chimera, la generazione dei contenuti era gestita da pochi eletti e le informazioni erano difficili da trovare.
Ah, i bei vecchi tempi in cui qualsivoglia idiota poteva commentare l'ultima notizia di cronaca solo al bar!
Web 2.0
Nei primi anni 2000 inizia a farsi largo il Web 2.0, termine coniato dalla web designer Darcy DiNucci e poi reso popolare dal guru della Silicon Valley Tim O'Reilly. Evoluzione della precedente generazione, questa fornisce all'utente i mezzi per creare e condividere contenuti online in modo semplice e immediato.
Il Web2 poggia su tre pilastri: interazione, condivisione e partecipazione. L’interazione offre a ciascun individuo la possibilità di usufruire dei contenuti e di condividerli con gli altri utenti. La comunicazione diventa partecipativa, consentendo a chiunque di contribuire alla creazione e alla diffusione dei contenuti, rendendoli accessibili a tutti.
Tutto questo raggiunge il suo apice con i social network come Facebook, Twitter (oggi X), Instagram, e gli altri. Da un certo punto di vista, essi rappresentano il culmine del Web 2.0, permettendo infatti una partecipazione attiva e lo scambio di contenuti nel modo più semplice e immediato possibile.
Tuttavia, contemporaneamente, i social network ci rinchiudono all'interno dei loro "walled garden", giardini recintati nei quali restiamo intrappolati. Questi siti raccolgono una vasta quantità di dati privati su di noi e poi ci bombardano di pubblicità mirate basate su tali informazioni. In estrema sintesi, nel contesto del Web 2.0, possiamo leggere, scrivere e condividere, ma siamo fondamentalmente considerati prodotti venduti dai giganti della Silicon Valley ai loro inserzionisti.
Questa è la realtà di Internet come la conosciamo oggi.
Web 3.0
Per incontrare per la prima volta il concetto "Web 3.0", dobbiamo attendere fino al 2014, anno in cui Gavin Wood fondatore di Polkadot (una piattaforma Blockchain progettata per supportare e collegare altre Blockchain operanti all’interno dello stesso ecosistema) e co-fondatore di Ethereum, lo utilizzò per descrivere a un ecosistema online decentralizzato basato sulla blockchain.
Wood pubblica due post sul blog "Insights into a Modern World", in cui teorizzava sulla creazione di un web decentralizzato e criticava la centralizzazione delle informazioni personali nelle mani delle grandi aziende che gestiscono e offrono servizi online. Inoltre, Wood sottolineò che qualsiasi entità è naturalmente motivata a raccogliere e utilizzare il maggior numero possibile di dati sugli utenti che navigano in rete.
Il Web 3.0 promette di sfruttare la blockchain e le criptovalute per creare un ecosistema di piattaforme in cui non solo possiamo fare tutto ciò a cui siamo abituati con il Web 2.0, ma anche possedere quote di queste piattaforme.
Per fare un esempio, prendiamo Dropbox: potremmo considerare il caso Filecoin, una sorta Dropbox della blockchain. Filecoin consente a tutti di archiviare contenuti nel cloud, esattamente come Dropbox, ma anziché utilizzare i data center proprietari di un grande colosso, lo fa utilizzando gli hard disk di tutti i computer collegati alla blockchain.
Come ha sottolineato Wood, invece di centralizzare le proprie fotografie e i file nelle mani di una grande azienda, possiamo sfruttare la memoria libera dei computer collegati alla blockchain di Filecoin. Attraverso questo sistema, è sempre possibile controllare su quali hard disk sono archiviati i nostri dati, monitorarne gli spostamenti e, non meno importante, reclamare tutto ciò che ci appartiene.
Non da meno, chi mette a disposizione lo spazio disponibile sull'hard disk del proprio computer tramite Filecoin, riceve una quantità proporzionale della criptovaluta associata, chiamata FIL. Poiché FIL è una criptovaluta, può essere scambiata su tradizionali piattaforme di compravendita di criptovalute. In questo modo, ogni utente che partecipa all'attività di Filecoin ha l'opportunità di guadagnare, condividendo una porzione del proprio hard disk.
Un altro aspetto cruciale di alcune realtà del Web 3.0 è quello di garantire agli utenti il diritto di voto sulle decisioni riguardanti la gestione della piattaforma stessa. Di solito, questo avviene con un peso proporzionale all'attività svolta o ai token posseduti, ovvero criptovalute legate a uno specifico progetto. Questo concetto è noto come governance decentralizzata, e un esempio è quello sperimentato da una realtà importante come Reddit.
Come spiegato su Slate, Reddit aveva cominciato a esplorare il concetto del Web 3.0, pensando di utilizzare i token per permettere agli utenti di possedere parti delle comunità presenti sul sito. L'idea di base era che gli utenti avrebbero utilizzato delle monete, chiamate Community Points, guadagnate in base al numero di post pubblicati e al numero di voti positivi o negativi ricevuti. Queste monete avrebbero conferito un diritto di voto proporzionale, consentendo agli utenti che avevano contribuito di più di avere un ruolo nella gestione della comunità.
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Un altro esempio di Web 3.0 è la cosiddetta GameFi, una combinazione delle parole “gioco” e “finanza”. I giocatori di questi giochi possono ottenere ricompense in-game completando compiti e avanzando nei vari livelli di gioco. A differenza dei giochi tradizionali, queste ricompense hanno un valore misurabile al di fuori dell'ecosistema di gioco.
Ad esempio, gli oggetti di gioco sono assegnati sotto forma di NFT o di token, e i risultati ottenuti possono essere scambiati su marketplace NFT e su piattaforme di scambio di criptovalute, il che ha portato all'appellativo "play-to-earn" per questo settore.
Tra i migliori giochi GameFi secondo Cryptonomist, troviamo Axie Infinity, , un gioco che permette di collezionare, allevare, addestrare e far combattere creature simili a Pokémon. Tuttavia, per possedere degli Axie, è necessario acquistarli utilizzando monete digitali. Inoltre, è possibile acquistare accessori o potenziamenti per renderli più forti. Axie Infinity rappresenta anche una forma di investimento, poiché chi vince le battaglie può ricevere premi in apposite criptovalute. Inoltre, è possibile rivendere i propri personaggi o affittarli ad altri giocatori che non dispongono del capitale iniziale necessario, guadagnando una percentuale dei premi ottenuti da questi ultimi, e molto altro ancora.
Per quanto sia affascinante immaginare una rete in cui la governance delle piattaforme è nelle mani della comunità e, in cui tutti gli utenti partecipanti ne traggono vantaggi economici, ritengo sia impossibile, o almeno molto difficile, immaginare che la maggior parte degli utenti di Internet sia interessata a collaborare allo sviluppo di questo ecosistema.
L'utente medio di Internet, considerando che più della metà della popolazione mondiale è connessa alla rete, difficilmente sarà interessato a una collaborazione così attiva. Questo tipo di coinvolgimento richiederebbe competenze tecniche specifiche e una volontà di impegnarsi direttamente nella gestione di una piattaforma, senza trascurare la predisposizione a investire economicamente tramite criptovalute, nonostante la loro instabilità. A titolo di esempio, è notizia consolidata che Reddit abbia chiuso i Community Points a causa di problemi legati alla scalabilità, il che ha portato a una significativa diminuzione del prezzo di MOON, pari a circa il 90%.
Sebbene la decentralizzazione offra sicuramente potenzialità innovative, è importante considerare i grandi vantaggi legati alla centralizzazione della rete come la conosciamo oggi:
È importante riconoscere che ciò che potrebbero sembrare vantaggi irrinunciabili per una nicchia di appassionati di criptovalute, potrebbero essere percepiti dalla maggior parte degli utenti come possibili seccature e inutili complicazioni nell'utilizzo di Internet.
Come riassunto dal fondatore di Signal, Moxie Marlinspike, in una sua critica al Web 3.0:
le persone non vogliono essere un nodo della blockchain, non vogliono prendere parte alla governance di una piattaforma, non vogliono gestire un servizio di cloud storage...
In poche parole, la centralizzazione è comoda, rapida ed efficiente. L'incentivo economico delle criptovalute non è sufficiente per convincere le persone a partecipare al Web 3.0.
Detto ciò, il Web 3.0 potrebbe non sostituire il Web 2.0, ma piuttosto coesistere con esso, offrendo nuove funzionalità e opportunità a coloro che desiderano diventare parte attiva di questo ecosistema, mentre permette agli altri di continuare tranquillamente a utilizzare piattaforme come Facebook, Spotify, Dropbox...
Marlinspike continua con fermezza la sua critica al Web 3.0, spiegando come questo ecosistema basato su piattaforme decentralizzate stia già oggi rapidamente ricreando quelle stesse dinamiche che avrebbe teoricamente dovuto sovvertire.
Lo stesso Marlinspike spiega che blockchain sono progettate per essere una rete tra pari, ma non sono configurate in modo tale da permettere a uno smartphone o a un browser di partecipare a questa rete. In tal caso, come possono gli utenti comuni partecipare alla compravendita di criptovalute e utilizzare gli altri strumenti basati sulla blockchain?
Ovviamente, attraverso piattaforme centralizzate come Coinbase per le criptovalute o OpenSea per gli NFT. Queste piattaforme agiscono da intermediari e, per il loro servizio, applicano una commissione.
In altre parole, sono realtà centralizzate che hanno successo proprio perché, a causa delle limitazioni tecniche delle blockchain, svolgono il lavoro che sarebbe troppo complesso per gli utenti normali.
Stephen Diehl scrive sul suo blog che la blockchain è una tecnologia sempre pronta all'orizzonte, in cerca di un problema futuro per giustificare un investimento presente.
Stephen Diehl ha un'idea ben precisa di cosa sia il Web 3.0, le criptovalute e la blockchain; rimando al suo blog perché è molto interessante.
Nel corso del 2021, nel mondo del Web 3.0, sono stati investiti oltre 30 miliardi di dollari, provenienti da storiche realtà finanziarie della Silicon Valley.
Da qui il primo paradosso del Web 3.0, ovvero che i sostenitori del web decentralizzato accettano investimenti colossali per finanziare i loro progetti, garantendosi così un futuro in cui questi progetti non saranno più decentralizzati.
Un altro paradosso sta nel fatto che se il Web 3.0 vuole diffondersi oltre la nicchia di appassionati di blockchain, deve abbandonare l'aspetto della decentralizzazione per cui è nato.
Ora, tralasciando i paradossi legati a quella che è l'essenza dichiarata alla base del Web 3.0, a questo punto ci potremmo chiedere: che cosa c'è di male se partecipare a un social network permette di conquistare dei token che aumentano di valore se la piattaforma ha successo?
Non sarebbe un gran bel passo in avanti rispetto al "lavoro gratuito" che svolgiamo oggi su tutti i social? Se sempre più piattaforme offrono opportunità di guadagno, non è meglio per tutti?
Da un certo punto di vista, molto probabilmente sì, ma dall'altro è importante sottolineare che ad avvantaggiarsi davvero di tutto ciò è una fascia di popolazione molto più ridotta di quanto si potrebbe pensare.
Basta considerare che l'economia delle criptovalute è ancora più concentrata di quella tradizionale, uno studio del 2021 riporta che lo 0,01% dei proprietari di Bitcoin controlla il 27% dei 19 milioni di tutte le monete attualmente in circolazione.
Ma non solo, l'assenza di regolamentazione espone la gente comune a truffe di ogni tipo, senza considerare le fluttuazioni della criptospeculazione che generano bolle economiche continue, dalle quali traggono beneficio solo gli insider del settore.
In conclusione, il Web 3.0, come afferma Diehl, è l'apoteosi di un capitalismo in cui il mercato assegna un token finanziario a qualsiasi cosa; è l'iperfinanzializzazione di tutta l'esistenza umana. Pertanto, se e quando il Web 3.0 prenderà forma, non porterà alla decentralizzazione e alla democratizzazione della rete, ma solo ed esclusivamente alla sua finanziarizzazione.
Bibliografia