Imprese di famiglia e numeri
Quante volte leggiamo dei numeri e il dato giustifica le nostre tesi.
Io sono convinto che le imprese di famiglia rappresentino molto bene il nostro tessuto imprenditoriale e siano una risorsa indispensabile di coesione e sviluppo.
Conoscendone molte e lavorando spesso con gli imprenditori e i manager che lavorano in esse, per me è abbastanza facile riconoscerne pregi e virtù e non stancarmi di proporre soluzioni di miglioramento.
Per questo quando trovo una ricerca che riepiloga in maniera oggettiva grazie a numeri ed evidenze quantitative caratteristiche che ritrovo spesso nel mio girovagare professionale non posso che acquisire le informazioni e arricchire il mio bagaglio di convinzioni con evidenze oggettive.
Le imprese familiari hanno tratti specifici, con importanti riflessi sulle loro performance economico-finanziarie. Data la difficoltà di individuare i legami familiari tra gli azionisti, non esistono dati puntuali sulla loro presenza nel tessuto economico italiano.
Grazie all’applicazione della tecnologia dei grafi ai dati ufficiali del Registro delle Imprese, nel Rapporto Cerved PMI 2018 è stato ricostruito il ruolo delle famiglie in 150 mila PMI (10-250 addetti e 2-50 milioni di euro di fatturato) e 4 mila grandi società di capitali italiane (>250 addetti e >50 milioni). L’analisi ha confermato che le società familiari costituiscono l’ossatura della nostra economia e che queste imprese hanno caratteristiche ben definite che le differenziano dalle altre aziende.
Intanto è interessante partire dalla numerosità ovvero comprendere quante sono le imprese di famiglia in Italia.
Sono state individuate circa 154 mila imprese :
- 101 mila PMI familiari (103 mila considerando anche le grandi): società in cui una famiglia ha almeno il 50% +1 dei diritti di voto;
- 47 mila PMI non familiari (50 mila considerando anche le grandi): società in cui nessuna famiglia ha più del 50% +1 dei diritti di voto;
- 971 PMI con investitori istituzionali nel capitale sociale (1.353 considerando anche le grandi): aziende quotate o nel portafogli di fondi di private equity.
Uno degli aspetti più rilevati per la crescita e lo sviluppo è rappresentato dalla managerializzazione delle imprese di famiglia e colpisce che la presenza di amministratori e AD esterni alla famiglia che esercitano il controllo cresce al crescere della dimensione aziendale e del numero dei componenti del board e che solo il 23,4% delle piccole società hanno un membro esterno alla famiglia nel Cda, contro il 37,8% delle medie imprese e il 61,8% delle grandi società; la quota di AD esterni scende al 13,3% nel caso delle piccole imprese,al 17,2% tra le medie e al 24,4% tra le grandi.
I bilanci confermano che la proprietà e il governo familiare si associano a una minor crescita dimensionale dell’azienda.
Le non familiari hanno anche un margine operativo lordo maggiore, mentre le imprese familiari evidenziano tassi di profitto più elevati in termini di margini lordi su fatturato. La piccola dimensione media e i più alti tassi di profitto sono indicazioni di una scala produttiva inefficientemente ridotta: le imprese familiari non sfruttano appieno le opportunità di crescita.
Lo studio che allego è uno spaccato e conferma che un grande lavoro deve e può essere fatto per la crescita di queste imprese che sono l'ossatura del nostro sistema imprenditoriale.
In sintesi mi piacerebbe che le riflessioni che ciascuno può fare portassero a considerare i manager esterni come una risorsa per la crescita. Certo avere una esperienza manageriale alle spalle non autorizza a considerare qualsiasi manager pronto e adatto a una impresa familiare.
Certamente crediamo che leadership, competenze e attenzione ai risultati siano le abilità da cui partire per aiutare le nostre imprese a migliorarsi e guardare al futuro con maggior consapevolezza.
Davide Merigliano - Senior Partner - Modulo Group