Investimenti ESG: una battuta d'arresto o è il tempo di cambiare?
I cieli degli investimenti ESG che nel 2020 erano azzurrissimi, ultimamente si sono parecchio rannuvolati.
Un’idea, quella degli ESG, partorita nel 2004 dall’ONU e da una ventina di grandi nomi della finanza mondiale, inclusi Goldman Sachs, Morgan Stanley e UBS, e diventata mainstream in poco meno di vent’anni.
La sua avanzata trionfale, fotografata da J.P Morgan a fine 2020 (45 trilioni di euro il totale degli asset under management, il doppio del valore registrato nel 2016) e da Bloomberg nel febbraio del 2021 (con gli ESG proiettati a 53 trilioni di dollari nel giro di un quadriennio), si è trasformata in una ritirata strategica.
Il pendolo ha invertito la direzione dopo la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, a Glasgow, quando la finanza verde era stata celebrata come uno degli strumenti-chiave nella lotta contro il cambiamento climatico e la domanda di fondi sostenibili aveva toccato il suo picco a 21,5 miliardi di dollari del Q1 2021.
Certo, il contesto macro-economico non aiuta, ma i numeri sono eloquenti. Nel 2022 iI flusso netto annuale nei fondi istituzionali e negli ETF “green” è calato, a livello globale, del 76%. Un fenomeno che colpisce anche l’Europa più o meno nella stessa misura.
Il flusso verso i fondi sostenibili USA è sceso a 3,1 miliardi di dollari nel 2022, il livello più basso in sette anni, a fronte di 370 miliardi di dollari in prelievi: l’anno solare si è chiuso in negativo per la prima volta da quando Morningstar ha iniziato a monitorare il settore quasi 30 anni fa. Erano i tempi in cui gli ESG si chiamavano “investimento etico” e il loro mantra più gettonato era “non si fanno affari con il Sud Africa finchè c’è l’apartheid”.
Anche sul fronte dei rendimenti, le cose non sono andate bene nel 2022. I fondi ESG, strutturalmente energy-light, non hanno ovviamente tratto beneficio dal + 66% messo a segno dal settore, quello oil&gas, che è andato meglio nello S&P 500 e Morningstar ha registrato un arretramento di quasi il 20% del fondo ESG azionario medio a grande capitalizzazione, circa 2,4 punti percentuali peggio del calo dell'indice S&P 500, dividendi inclusi.
Al di là dei numeri, però, quello che fa discutere in America sono le crepe profonde che la visione ESG ha aperto nelle fondamenta del’idea di capitalismo. Fino a poco tempo fa, due leggi ferree governavano il mondo degli investimenti. Una, resa popolare da Milton Friedman, postulava che la responsabilità fondamentale di una società fosse quella di fornire rendimenti ai propri azionisti. La seconda, formulata da Jack Bogle, fondatore di Vanguard e gran sacerdote dell’investimento passivo, sosteneva che l’investitore intelligente dovesse basare la sua strategia su indici low cost per costruire portafogli diversificati, minimizzando al massimo le commissioni per la gestione patrimoniale. “Invece di cercare l’ago nel pagliaio, compra tutto il pagliaio”, è una delle sue citazioni più famose.
Il boom degli investimenti ESG ha spostato il baricentro del sistema dagli shareholder agli stakelholder, ma ha anche finito per azzoppare il principio delle commissioni al ribasso.
I fondi ESG, insomma, hanno di solito delle fee più alte proprio perché hanno un’agenda politico-sociale e fanno attivismo. Scrivere a 150 aziende giapponesi che non garantiscono la gender equality nei loro consigli di amministrazione costa. Serve manpower per lanciare una campagna Investors for Livable Wages per spingere le aziende quotate a eliminare il sub-minimum wage, che permette al datore di lavoro di pagare meno del salario minimo il lavoratore se percepisce almeno 30 dollari di mancia al mese.
Anche le star di Wall Street si sono pronunciate e per un Warren Buffett piuttosto scettico sugli investimenti ESG (nella sua lettera del 2020 agli azionisti di Berkshire Hathaway, aveva scritto di ritenere che alcune strategie di investimento incentrate sui criteri ESG possano andare a scapito dei rendimenti finanziari), ci sono un Ray Dalio di Bridgewater Associates o un Paul Tudor Jones di Tudor Investment Corporation che invece sono dei sostenitori appassionati degli investimenti sostenibili e responsabili.
Il notoriamente pacato Elon Musk, invece, non ha esitato a definire tutta la industry “una truffa”, “usata come arma da finti guerrieri della giustizia sociale”, dopo che S&P Global aveva osato togliere Tesla dal suo ESG Index per le accuse di discriminazione razziali e maltrattamenti assortiti sull’ambiente di lavoro.
Di tutt’altro avviso, Larry Fink, fondatore di BlackRock, tra i primi a salire a bordo del treno ESG: 4 anni fa aveva solennemente chiesto ai CEO di Corporate America di contribuire, con le loro aziende, allo sviluppo sociale del Paese. “Per prosperare nel tempo, le aziende devono non solo garantire la performance finanziaria, ma anche far vedere come offrono un contributo positivo alla società”. Molte Blue Chip gli avevano dato retta e si erano affrettate ad annunciare piani per diventare carbon neutral.
Lo scontro tra le due diverse visioni del capitalismo e del ruolo degli investitori, in altre parole, permane e si intensifica, visto che si è trasferito sul terreno politico.
L’antefatto è noto: Trump ed Eugene Scalia, a capo del Labor Department, figlio dell’ultraconservatore Antonin, giudice della Corte Suprema, erano riusciti a escludere l’ammissibilità dei criteri ESG nelle decisioni di investimento prese da un fondo pensionistico pubblico. Biden ha dovuto mettere il veto per bloccare una proposta repubblicana per ripristinare questa esclusione, cancellata dal Labor Department a trazione democratica.
Nel 2020 i petrolieri texani si sono accorti che le banche come JP Morgan non prestavano più i soldi. Il Texas e altri Red States, per ritorsione, hanno cominciato a disinvestire da BlackRock per miliardi di dollari. Gli ESG, è stato il ragionamento, sono contrari alla legge che richiede “che vi sia un solo focus, quello sui ritorni finanziari per i beneficiari dei fondi-pensione”.
L’opposizione agli investimenti responsabili dei Repubblicani è così diventata una crociata: attaccano il “woke capitalism“ sintonizzato sulle istanze sociali e attaccano “la svolta a sinistra di Wall Street”. Di più, vedono negli ESG un progetto di ingegneria sociale ordito da BlackRock che minaccia la American way of life e, soprattutto, hanno fatto passare la narrativa secondo cui gli ESG servono solo a bruciare i soldi delle pensioni degli Americani che lavorano duro. Nel dubbio, hanno anche riscritto l’acronimo come Energy indipendence, Safe streets and Good Governance.
I distinguo di chi crede negli ESG sono sin qui caduti nel vuoto: nella sua lettera agli azionisti del 2022, Fink ha giurato che “lo Stakeholder Capitalism non riguarda la politica. Non è woke. E’ capitalismo. Noi siamo per la sostenibilità non perché siamo ambientalisti, ma perché siamo capitalisti e fiduciari dei nostri clienti”.
Come accade in ogni rivoluzione che si rispetti, però, anche per l’investimento ESG è arrivato il momento in cui la determinazione di chi è nella stanza dei bottoni viene considerata insufficiente. E’ così che BlackRock e i suoi fratelli, Vanguard e altri gestori patrimoniali, sono stati accusati di annacquare i loro impegni ESG.
BlackRock, in particolare, ha votato per meno di un quarto delle proposte degli azionisti su questioni ambientali e sociali durante la stagione dei bilanci, affermando che tali proposte stavano diventando troppo prescrittive "con poco riguardo per l'interruzione causata alle prestazioni finanziarie delle società".
Vanguard, a sua volta, è uscito dall'iniziativa Net Zero Asset Managers, il più grande gruppo finanziario climatico al mondo, alla quale si era aggregata nel 2021, per divergenze di opinione sui rischi, in particolare quelli legati al clima.
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Il tema della coerenza non tocca solo quei cattivoni di Black Rock: uno studio di Greenpeace del 2021 ha rilevato che i fondi ESG in Lussemburgo e Svizzera hanno reindirizzato solo una piccola parte di capitale in più verso attività sostenibili rispetto ai fondi convenzionali, mentre uno studio di quest'anno di Reclaim Finance ha rilevato che 30 importanti gestori patrimoniali – 25 dei quali erano membri dell'iniziativa Net Zero Asset Managers all'epoca – detengono ancora un totale di 550 miliardi di dollari in carbone, petrolio e gas, dentro a compagnie con nuovi progetti pianificati.
La SEC si è fatta sentire (ed era ora), mettendo sotto la lente d’ingrandimento Goldman Sachs, sospettata di dare la patente di ESG a fondi che non la meritavano, intensificando la repressione del greenwashing e proponendo di imporre alle società quotate di rendere pubblico e rispondere del loro impatto ambientale lungo tutta la catena del valore.
Il risultato è stato che le aziende che prima suonavano la grancassa sui loro obiettivi di sostenibilità, nell’ultimo trimestre del 2022 hanno cominciato a fare “greenhushing”, ovvero cercano di restare sottotraccia e mantenere un certo riserbo sulle loro attività “verdi”. Insomma, il “go green” è diventato un “go dark” per un quarto di un campione di 1200 aziende analizzate dalla svizzera South Pole.
La proliferazione incontrollata dei criteri di valutazione, spesso in conflitto, e la diffusione del greenwashing, la pratica che consiste nel fare affermazioni false o fuorvianti sulla sostenibilità ambientale o sulla responsabilità sociale di un prodotto, servizio o azienda per attirare consumatori attenti all'ambiente, hanno minato la credibilità dell’investimento ESG.
Sustainanalitics, Dow Jones Sustainability Index, MSCI e altre agenzie di rating, secondo il MIT e l'Università di Zurigo, non fanno mostra di grande coerenza nelle loro valutazioni, rendendo difficile valutare la performance ESG di società, fondi e portafogli.
Le divergenze dei rating hanno disincentivato le società a investire per migliorare le loro prestazioni ESG, diluito l'effetto green sui prezzi dei titoli e reso quasi impossibile collegare in modo razionale la retribuzione dei CEO alla performance ESG.
Gli esempi di questi cortocircuiti non mancano: migliorare il rating di McDonald perché ha diminuito il packaging o gestisce meglio i rifiuti non ha molto senso se le operations e la supply chain di quello che è uno dei più grandi buyers di carne di manzo hanno aumentato le emissioni del 16% nel quinquennio.
Per contro, e con tutte le cautele del caso, probabilmente viviamo già in un mondo green senza saperlo se il 90% dei titoli dello S&P 500 si ritrova anche in un fondo ESG costruito coi ratings di MSCI. Così come è difficile sostenere che BP ed Exxon, Coca-Cola e Pepsi, Alphabet e Meta, abbiano la coscienza pulita su disinformazione e istigazione all’odio sui social.
Sul fronte del greenwashing, in Europa, ha fatto scalpore il caso DWS, la controllata ESG di Deutsche Bank che aveva investito cinque miliardi di dollari nelle società di combustibili fossili e poco meno di 200 milioni di dollari nelle rinnovabili, con tanto di raid delle autorità di controllo tedesche negli uffici della società a metà del 2022 e dimissioni dell’amministratore delegato.
Resta da vedere se la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) dell’Unione Europea verrà a capo di questi problemi, permettendo di rendere più facile per gli investitori distinguere e confrontare tra i diversi prodotti di investimento sostenibile nella UE.
Ma alla fine, l’investimento ESG rende o no? Il dilemma resta: ricerche della Harvard Business School, nel 2014, della società di rating MSCI, nel 2017, e di RobecoSAM, nel 2019, hanno passato al setaccio grandi società americane, oltre a migliaia di società a livello globale, e sono giunte alla conclusione che le società con una forte performance ESG hanno fatto meglio dei loro concorrenti in termini di prezzo delle azioni e redditività nel lungo periodo, oltre ad avere un costo del capitale inferiore.
Al contrario il Journal of Banking & Finance, nel 2019, non ha trovato alcuna relazione significativa tra performance ESG e performance finanziarie di 364 banche statunitensi lungo un periodo di 15 anni, mentre il Journal of Investing study, nel 2018, ha preso il polso ai fondi comuni di investimento socialmente responsabili (SRI) negli Stati Uniti e ha scoperto che, nel lungo termine, tendevano a sottoperformare le loro controparti non SRI. Addirittura il Journal of Corporate Finance, nel 2020, ha rilevato che le società con bassi rating ESG tendevano ad avere rendimenti azionari futuri più elevati rispetto a quelle con rating ESG elevati.
Insomma, le ricerche dicono tutto e il contrario di tutto perché sono context-dependent e i loro risultati non si possono applicare a tutte le società o a tutte le strategie di investimento.
Ovviamente anche l’Intelligenza Artificiale è scesa in campo: Arabesque S-Ray, BlackRock Aladdin, Truvalue Labs e LendInvest utilizzano algoritmi di apprendimento automatico per analizzare i dati ESG di oltre migliaia di aziende in tutto il mondo, assegnando a ciascuna un punteggio basato su fattori come emissioni di carbonio, standard lavorativi e diversity del consiglio di amministrazione. Su questo punteggio costruiscono portafogli di investimento che privilegiano i titoli con una solida performance ESG.
Una previsione diffusa è che l'acronimo ESG possa non sopravvivere, e che possano invece emergere invece strategie di investimento differenziate incentrate su "E", "S" o "G". Una riprova drammatica è venuta con l’aggressione russa all’Ucraina, che ha contrapposto chi non vuole investire nelle aziende che fabbricano armi a chi invece ritiene sia più etico mettere più armi nelle mani degli Ucraini perché possano difendersi. L'Europa si è trovata a fare affidamento sui combustibili fossili a breve termine per ridurre la dipendenza dal gas russo e raggiungere la sicurezza energetica nel medio e lungo termine. Insomma, è meglio fare affari con gli inquinatori invece che disinvestire completamente da un settore ed è meglio aggiungere le fonti di energie transitorie, come il gas naturale, alla lista delle fonti considerate rinnovabili.
Nella dialettica tra sostenibilità come mezzo per ottenere risultati finanziari e sostenibilità come fine per creare un cambiamento sociale, un punto di vista olistico è arrivato
da una ricerca del Wall Street Journal, che ha analizzato i rendimenti, negli ultimi due anni e mezzo, delle società dello S&P 500 a media ed elevata capitalizzazione.
Il punto per il WSJ è che si può condividere o meno che le società possano portare avanti un'agenda politica con l’obiettivo di migliorare anche i profitti e i rendimenti degli azionisti. Ma profitti e rendimenti si possono misurare. E i risultati della ricerca sono chiari: a fronte di uno S&P 500 sceso complessivamente dell'1,8%, i fondi ESG hanno fatto registrare perdite comprese tra il 2,5% e il 6,3%, mentre un indice composto solo da società neutrali ha guadagnato il 2,9%. E lo stesso è stato rilevato con il benchmark degli ultimi 10 anni: il rendimento cumulativo del portafoglio neutrale (334%) ha superato il mercato (230%).
“Il problema, continua il WSJ, è che mentre i singoli investitori sono liberi di sostenere qualsiasi causa desiderino con i loro dollari, coloro che investono il denaro di altre persone hanno il dovere fiduciario di concentrarsi esclusivamente sugli interessi finanziari dei clienti.
La conclusione della Bibbia del Capitalismo è lapidaria: “i dati indicano che, come suggerirebbe il buon senso, le aziende che si concentrano sui profitti sovraperformano le aziende che non lo fanno. Quando il business degli affari non è più business, potrebbe non essere chiaro chi vince, ma è chiaro che gli azionisti perdono”.