It's Sanremo, b*tch!
La pagella del Festival di LaCortiTV
I numeri sono altissimi e li trovate qui. Il 72° Festival di Sanremo non è stato perfetto, nulla lo è. È stato un grande lavoro, con ampi margini di miglioramento. Perché Sanremo è Sanremo e volenti o nolenti con quel palco ci abbiamo a che fare. Vorremmo dire di no, ma certe questioni proprio perché all’Ariston diventano politiche. E se ci fosse un Ama quater (perché del professionista e dei risultati non si discute) mi piacerebbe vedere qualche passo avanti. Le mie riflessioni.
Brividi, sì. Dalla prima esibizione sono stati i vincitori. Blanco e Mahmood e la loro Brividi sono stati bravissimi, genuini, regalando una canzone emozionante, armonizzazioni perfette e una presenza scenica invidiabile. Per non parlare della loro interpretazione di Un cielo in una stanza. Ora c’è solo da tifare per loro all’Eurovision. Mi spiace, però, per il settimo posto a La rappresentante di lista: avrebbero meritato qualche gradino in più.
Scaletta. Credo che la scelta di mettere Achille Lauro come primo cantante in gara sia stata vincente. La sua esibizione, più visiva che canora (va ammesso) ha messo subito le carte in tavola: ci sarà tanta musica diversa, ci sarà spettacolo. E infatti abbiamo cantato, ballato e anche pianto. Perché Lauro, dopo tanti passaggi a Sanremo e in tv (basti pensare al Capodanno di Rai1) è una provocazione che il pubblico Rai conosce, ma allo stesso tempo sa genera attesa per la creatività che può portare. Solo certi benpensanti possono ancora spaventarsi, dai. Poi, però, quando ti arrivano due come Blanco e Mahmood sul palco capisci che gli effetti visivi non bastano. Anzi spesso non servono…
Emozioni. Tante, tante emozioni: saranno stati i due anni che abbiamo vissuto, ma si vedeva la voglia di tutti nello stare lì ed esibirsi davanti al pubblico. Il simbolo? Lo sguardo di Gianni Morandi appena chiamato sul palco. Ma non dimentichiamo il trionfo dei Maneskin: tornare per condividere un po’ di quel successo che quello stesso palco ha contribuito a crearlo non è certamente scontato.
Le cover. È la serata che da sempre regala emozioni. Le mie preferite, oltre a Il cielo in una stanza, sono state What a feeling di Elisa (Elena D’Amario splendida), il medley di Morandi e Jovanotti, Be My baby de La rappresentante di lista con Cosmo, Margherita Vicario e Ginevra, Sei bellissima di Achille Lauro e Loredana Berté (più per la lettera, che per l’esibizione. Ho infatti preferito l’interpretazione di due anni fa di Gli uomini non cambiano con Annalisa). La migliore in assoluto è stata Your Song di Matteo Romano e Malika Ayane. Semplicemente perfetti.
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Ecco, le donne. Donne, queste donne, noi donne. Come fare a riassumere tutto quello che c’è da dire? Partiamo dai fiori, che è facile facile. Ci sono volute un’edizione (2021), un Fantasanremo e 4 serate per far finalmente offrire i fiori a TUTTI i cantanti in gara. Perché i fiori sono un omaggio all’artista, non gesto di cavalleria. Si dirà, è una scemata: ecco, ma se nemmeno con le scemate ce la facciamo, come fare le altre cose? Da dove partire? Io partirei dalla scrittura. Anzi, dagli appunti.
La donna a caso. Io ormai sono giunta alla conclusione che semplicemente … non ci arrivano. Non sono cattivi, è che li disegnano così… La scelta, il ruolo e le performance delle co-conduttrici riflettono la confusione (del maschio), che ha intuito che la valletta non basta più e prova a rimediare, procedendo per tentativi (perché il maschio, appunto, non chiede direzioni). Se cerchi le co-conduttrici, non scegli “la donna a caso”. Cerchi delle professioniste che sappiano il loro mestiere, anche con il rischio che possano metterti in ombra (vi ricordate Michelle Hunziker gigante a Sanremo 2018?) e magari preparare la strada a nuove conduttrici, direttrici. Intanto mi si spieghi che senso abbia presentare le partner a gara inoltrata per poi farle sparire per un’ora. Perché devo dare un senso oltre quello che sono per giustificare il fatto che sto qua?, dice giustamente Sabrina Ferilli.
Il monologo è il pinkwashing in versione sanremese: invece di essere coinvolte nel processo decisionale, alle donne viene affidata una sola occasione per brillare. Però il palco di Sanremo non è un set cinematografico: se non sei preparata, ti fagocita. E se scegli una persona che sai non essere pronta a quel palco, la prepari. Bene. Se Lorena Cesarini avesse avuto un solido sostegno autoriale il risultato sarebbe stato diverso. E la differenza la si è vista ancora di più quando sono arrivate Drusilla Foer (immensa) e Maria Chiara Giannetta: chi conosce la scena, se la prende. Come ha fatto pure, anche se forse non del tutto elegantemente, Laura Pausini, che ha preso (anzi rubato) la parola per sponsorizzarsi e raccontarsi. Discorso a parte per Sabrina Ferilli: semplicemente messa in panchina. Dalla conferenza stampa si capiva che avrebbe “spaccato”, che sarebbe una Drusilla Foer all’ennesima potenza. E invece? Al di là del Ferilli gate, sostanzialmente non ha toccato palla. Ed è stato un peccato. Grande. Ci sarà modo per cambiare rotta? Io non lo so davvero. LaCortiTV
Quanto scritto rispecchia esclusivamente la mia opinione personale.
PS: Lasciatemi dire che a fare la figuraccia peggiore durante Sanremo sono ancora quelli che si vantano di non guardarlo e passano le giornate a scovare tutti i post e tweet sul tema per insultare e ribadire, con orgoglio, di odiarlo. Tesori, non ve lo ha prescritto il medico e se proprio vi fa schifo, alternative ce ne sono….