La linea sottile del cambiamento
Solitamente, vediamo il cambiamento come qualcosa di travolgente, come una rottura netta col passato e questo non può non suscitare un certo disagio interiore o perfino paura. In realtà, però, il cambiamento ci chiede di percorrere una linea molto sottile.
Questo post non intende soffermarsi sull'importanza o sull'inevitabilità del cambiamento, né sui benefici o sulle opportunità di cui è indiscutibilmente latore. Molto è già stato detto in proposito e c'è in effetti ben poco da aggiungere. Il cambiamento è un elemento essenziale ed ineludibile della realtà, ma sul come affrontarlo c'è forse ancora qualcosa da dire, poiché l'atteggiamento che si ha verso il cambiamento è fondamentale.
Il seguente schema mostra come la maggior parte di noi si pone nei confronti del cambiamento. Come puoi vedere, sono due gli elementi da considerare: il primo è l'importanza del cambiamento, cioè l'entità dell'impatto sullo status quo; il secondo è il grado di controllo, cioè quanto controllo si ha effettivamente su quel cambiamento. Evidentemente, più il cambiamento è voluto e promosso da noi, maggiore sarà il controllo che abbiamo e viceversa. D'altro canto, tanto più è importante il cambiamento ai fini dell'impatto che esso ha sullo status quo, tanto meno sarà il grado di controllo percepito, anche se voluto e promosso da noi.
Questo stato di cose porta a due diverse situazioni che, seppur concettualmente ed "emotivamente" opposte fra loro, determinano entrambe un potenziale rischio per un sano sviluppo dell'ambito in cui si sta operando (lavoro, coppia, famiglia, sociale, ecc.). Infatti, se il grado di controllo che si ha sul cambiamento è basso rispetto all'importanza del cambiamento stesso, ci si ritroverà in una cosiddetta area di panico; diversamente, se, rispetto all'entità del cambiamento, il grado di controllo è alto, quindi si sta operando all'interno di una certa area di comfort, si tenderà a sguazzare all'interno di una cosiddetta area di stagnazione.
Vengono utilizzati termini piuttosto forti, come panico e stagnazione, ma questi stati emozionali sono in realtà rappresentativi di una miriade di stati mentali che variano in funzione della loro collocazione all'interno dell'area a cui si riferiscono. Ad esempio, all'interno dell'area di panico non si proverà sempre "panico" (ci mancherebbe!), quanto piuttosto stati emozionali che vanno dal disagio allo stress, dalla preoccupazione al timore, dall'ansia alla paura e, nei casi estremi, al panico vero e proprio. Allo stesso modo, nell'area di stagnazione si proveranno stati emozionali che vanno dall'autocompiacimento alla rilassatezza, dalla tranquillità all'agiatezza, per arrivare infine alla stagnazione.
La domanda più cretina che potrei farti è: in quale delle due aree preferiresti trovarti? Salvo rari casi, è certamente l'area di stagnazione quella in cui vorremmo operare. Tuttavia, tale scelta sarebbe basata sulla ricerca di uno stato di tranquillità che è una delle condizioni in cui vorremmo trovarci, ma sta di fatto che entrambe queste condizioni ci allontanano da quello che dovrebbe essere l'obiettivo di fondo in tutto ciò che facciamo più o meno consapevolmente: crescere.
Sia l'area di panico che di stagnazione portano ad una sostanziale stasi, che è una condizione del tutto antisistemica e, quindi, controproducente nel medio e lungo periodo. Nel primo caso, il panico induce ad una immobilità causata dal non sapere come affrontare la situazione che si viene a creare. Per fare un esempio attuale, prendiamo l'afflusso di immigrati. Questa situazione, che determina un cambiamento rispetto al passato (prima dell'inizio di questo fenomeno), è una in cui gli stati interessati, tra cui l'Italia, hanno un grado di controllo relativamente basso e, quindi, a parte qualche misura estemporanea, si trovano a gestire la situazione in modo raffazzonato senza peraltro individuare strategie efficaci nel lungo periodo. Questa è l'area di panico.
D'altro canto, altri paesi (ma anche qui da noi) cercano di aumentare il controllo "artificialmente" limitandosi ad impedire l'accesso agli immigrati, inserendosi nell'area di stagnazione. In nessuno dei due casi è possibile parlare di crescita, che è ciò a cui dovrebbe condurre una crisi, ed il problema viene perpetuamente spostato in avanti.
Ciò a cui dovremmo mirare, invece, è inserirci in quella sottile linea che si trova a cavallo tra le due aree (linea blu tratteggiata nel grafico), dove rispetto all'importanza del cambiamento il nostro grado di controllo non è né insufficiente né eccessivo, ma è tale da consentirci da una parte di toglierci dall'area di panico, affrontando la situazione attingendo a risorse mai o poco sfruttate ed a strategie innovative; dall'altra, di schiodarci dall'area di stagnazione aggiungendo "pepe" alla situazione e proponendo nuove sfide ed inediti orizzonti. Il grafico illustra in verità una linea molto sottile, ma è solo una rappresentazione visiva. In realtà, la linea è un po' più larga, ma non più di tanto, poiché la crescita avviene proprio in quella continua tensione tra ansia (panico) e tranquillità (stagnazione).
L'ideale, in qualsiasi situazione, sarebbe proprio quella di inserirci in questa linea o fascia, ma il più delle volte non è affatto agevole perché in ogni situazione potremmo ritrovarci in una di due condizioni: la prima è quella in cui abbiamo un discreto grado di controllo e l'altra in cui ne abbiamo proprio poco.
Sul lavoro, ad esempio, se siamo i titolari o comunque amministratori di un'attività, il nostro grado di controllo è certamente medio-alto. Al contrario, se siamo subalterni, tale controllo sarà piuttosto esiguo. Nel primo caso, la tendenza sarà quella di scivolare nell'area di stagnazione, ma se si è consapevoli delle dinamiche qui spiegate, è sempre possibile alzare la posta ed aumentare volontariamente il grado di rischio, affrontando così la situazione con maggiore piglio e spirito di iniziativa. Nel secondo caso, invece, si tenderà maggiormente verso l'area di panico perché si subiscono in qualche modo i cambiamenti "imposti" dall'alto. E' importante, in questo caso, assumere maggiore controllo chiedendo alla direzione non tanto di partecipare alla fase decisionale (cosa piuttosto improbabile), ma almeno a quella esecutiva, dov'è possibile acquisire un certo grado di autonomia nella scelta dell'impiego delle risorse e delle strategie.
Il cambiamento è sempre legato ad una crisi, poco importa se si presenta prima l'uno o l'altra, e poiché lo scopo di un cambiamento o di una crisi è sempre quello di spingerci verso un percorso di crescita, è importante saperli gestire consapevolmente, cioè imparando a proporre e promuovere il cambiamento senza aspettare che ci colga impreparati, ma al tempo stesso mantenendo sufficientemente alto il tenore di tensione al fine di tenere sempre affilate le nostre armi.
Plant Manager presso CORAM Group
3 anniHo trovato solo ora questo articolo pubblicato anni fa ormai che in tutta la sua interezza riesce a spiegare le dinamiche aziendali in un contesto di cambiamento. Mi ritrovo assolutamente nella parte dove si consiglia di toglierci dall'area di panico e di schiodarci dall'area di stagnazione poiché la crescita vera in azienda avviene proprio in quella continua tensione tra ansia e tranquillità con la volontà di non accettare lo status quo.
ARCHITECTURE - PROJECT MANAGER
9 anniRiflessione intensa in cui ho ritrovato gli stati d'animo alla base di ogni importante cambiamento: Paura e forza di riuscire, strategia e senso di sfida con se stessi. "iniziare un nuovo cammino ci spaventa, ma dopo ogni passo ci rendiamo conto di quanto fosse pericoloso rimanere fermi." Roberto Benigni
Con la nostra rivoluzionaria soluzione, MARK UP, trasformiamo dinosauri in gazzelle SMART, portando l'era della carta e delle cartelle a una nuova epoca di collaborazione digitale| AD GlobalComm
9 anniCaro Alessandro sono completamente d'accordo con te. Ma se ci guardiamo attorno il vero dramma è che poi non ci si decide mai di cambiare per migliorare e puntiamo a rimanere per una vita nell'area di stagnazione e non prendere mai il largo alla ricerca di nuove strade. Quindi è sempre il panico (o quasi) a vincere, con tutte le conseguenze, in un Mondo che cambia così velocemente, che ben conosciamo. Manca il punto di azione concreto, mi sa