La nuova forma della pubblicità è il giornalismo

La nuova forma della pubblicità è il giornalismo

• La nuova pubblicità è il giornalismo. Anche se ancora pochi pubblicitari lo hanno capito e pochissimi giornalisti sono disposti ad accettarlo. Le mura di Gerico che per anni hanno retto, separando l'arte della comunicazione commissionata da quella dell'informazione pura, hanno dapprima mostrato qualche crepa e infine, con l'avvento delle piattaforme sociali, sono crollate del tutto.

• Ma i pubblicitari e i giornalisti che lavorano sul campo ogni giorno ancora non sembrano essersene accorti del tutto. Eppure è esattamente questa la vera essenza della #RivoluzioneDigitale. I lettori stessi, con qualche rara eccezione, sembrano non aver sufficientemente chiaro questo passaggio: ancora ragionano come se la barricata non fosse saltata da tempo. E si ostinano a credere di vivere in una realtà immaginaria dove il giornalismo è «pura informazione» e la pubblicità «occulta persuasione». I fatti non sono solo molto differenti, ma si sono irrimediabilmente disposti sullo scacchiere dei media in modo diametralmente opposto.

• Mentre la pubblicità diventava via via più specialistica e si codificava in linguaggi e mezzi sempre più istituzionalizzati e dunque riconoscibili (il «break pubblicitario», la pagina su riviste e quotidiani, i «comunicati radiofonici» ben separati dalla programmazione dei programmi, eccetera) sul fronte del giornalismo cosa è accaduto? Dapprima sono arrivati gli innocui pubbliredazionali, dove la dicitura legale "Informazione pubblicitaria" garantiva una difesa anche ai lettori più sprovveduti. Poi è stata la volta delle colonne destre delle testate digitali, dove notizie non-notizie venivano redatte con un fine, esattamente come avviene nell'advertising: ottenere interazioni (leggi: click). Ma erano ancora note a margine, in qualche modo segnalate e separate dalle notizie-notizie. Presto però siamo passati agli articoli direttamente commissionati dalle aziende, che campeggiano opachi in tutte le testate, anche le più prestigiose: contenuti dove la necessità di fornire un'informazione e l'intenzione di pubblicizzare un prodotto sono così mescolate da rendere molto difficile individuare un confine preciso.

• Ma oggi siamo ancora oltre. Ora è il meccanismo stesso di una notizia che è intrinsecamente pubblicitario. Il ragionamento con cui viene redatta è già una pubblicità a priori, dove - in mancanza di un un committente reale - è l'autore stesso a diventare committente, brand e prodotto di sé stesso. Oggi la notizia ha sempre un fine, oltre e sopra a quello di informare: ottenere un click, generare un commento, creare un'interazione. Chi scrive notizie, chi si lancia in analisi di questo o quel fenomeno, chiunque cerchi di approfondire un argomento - già mentre scrive e a volte senza accorgersene in modo del tutto conscio - si conforma a uno schema mentale che esige l'ottenimento di un fine da quel testo, così come da manuale pubblicitario. L'informazione non è più la ragion sufficiente, non basta. Occorre che quel testo sia condiviso, commentato, susciti molte reazioni in termini quantitativi. Altrimenti - e questo è il passaggio fondamentale - non è più considerato una notizia. Quello che comporta questo spostamento di senso è che l'autore vende se stesso insieme all'informazione che scrive, diventando pubblicitario-di-sé, proprio come un David Ogilvy de noantri. Che ne sia consapevole o meno.

• Ecco perché le grandi sigle dell'adv si sgretolano. Ed ecco perché i social storici cominciano a dare chiari segni di disaffezione. La pubblicità, quando è pubblicità e sembra pubblicità, quando cioè non si mescola all'informazione, non dimostra più di avere alcuna forza di persuasione: troppo identica a sé stessa, troppo facile da riconoscere, troppo già sentita, sempre. D'altra parte i social, alfieri della comunicazione libera e democratica secondo i fautori del #CluetrainManifesto, hanno invece contribuito in modo determinante a trasformare l'informazione nella nuova pubblicità: quella sì occulta e opaca, subdola perché nascosta dietro la presunta obiettività di una informazione e ammantata dell'autorevolezza di una testata. È questa pubblicità-giornalistica oggi, quella che funziona ancora. Per poco, si spera. E lo dico da pubblicitario. Perché i pubblicitari, che i giornalisti e soprattutto i lettori lo comprendano oppure no, sono i primi a volere che le mura stiano in piedi, che i recinti siano ben delineati, che la pubblicità si comporti da pubblicità e sia riconoscibile come tale, e il giornalismo faccia il giornalismo e non comunicazione pubblicitaria mascherata da notizia.

NB Questo articolo vi è stato offerto dalla Brillantina Linetti, che mi ha pagato in centesimi di lira per il pregevole servizio svolto. Tanto sin qui non arriverà nessuno.

Daniela Fabbri

Giornalista, ghostwriter, esperta di mondo del lavoro, creo contenuti per aziende e professionisti

6 anni

Analisi lucida e condivisibile. A cui aggiungerei un tassello: in un mondo in cui i canali tradizionali di informazione (giornali, televisione, siti di news..) stanno via via perdendo il loro ruolo, perché non sono più gli strumenti principali per informarsi, la questione è che cade il ruolo di intermediazione fra l'azienda che vuole proporre contenuti (eventualmente "notiziabili") e il pubblico che fino ad ora era stato appannaggio del giornalista. Ergo, vengono meno tutte le figure a corollario di questo rapporto intermediato. E l'azienda (come già sta avvenendo) costruirà i propri materiali informativi (si spera con l'apporto di professionisti dell'informazione) per raggiungere direttamente il proprio pubblico.

Filomena Rosato

Reputation and Brandmaker. Chairman at FiloComunicazione. Assorel President

6 anni

Lucida analisi ma questo è successo perché i pubblicitari si sono fatti usare come un surrogato di informazione rinnegando la loro identità per salvare budget già contratti oltre ogni limite. E lo hanno fatto entrando a gamba tesa in una competenza propria delle PR.

Andrea Torcoli

Creative Director | dad

6 anni

Condiviso a pieno l'analisi. Sono un po' scettico sulla visione del pubblicitario ignaro e naive. Le cose accadono ma gli uomini e le donne di comunicazione si tappano occhi, orecchie e neuroni rifiutando il cambiamento anche quando ne sono responsabili. Se avessi avuto 1e per ogni volta che i miei direttori creativi mi hanno detto "fai qualcosa di notiziabile" ora sarei in pensione :)

Massimo Guastini

Consulente di Comunicazione

6 anni

Non ci credo per niente che la Linetti ti abbia pagato. Sì, sono arrivato sino in fondo ;) e condivido tutto.

Massimiliano Palumbo

Dal 2006 certifichiamo aziende che vogliono vincere sfide | Metodo GOÌSO® | Dimitto Certification Services

6 anni

Il mio post è stato pagato da Tricofilina ;-)

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate