La patrimoniale: fantomatico silver bullet dell'economia italiana

La patrimoniale: fantomatico silver bullet dell'economia italiana

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In tempi di Covid-19 si torna a parlare della famigerata IMPOSTA patrimoniale, come strumento salvifico per le sorti della nostra povera Italia. Già, in fondo basterebbe "attingere" all'ingente patrimonio mobiliare degli italiani per permettere alle finanze pubbliche di rimanere in ordine e superare la buriana, o magari addirittura "rilanciare" l'economia.

Iniziamo con il dire che IL PATRIMONIO degli italiani è una roba che è già stata tassata, in quanto in un certo momento del passato è sorto un reddito, su cui ha operato la tassazione (IRPEF, IRES, IRAP e regimi sostitutivi vari), e la parte non consumata è stata destinata come risparmio nelle banche/fondi/materassi dei cittadini italiani stessi. Qualcuno potrebbe obiettare che "qualcuno ha evaso sicuramente". Indubbiamente. Ma allora occorrerebbe colpire esattamente costoro, anzichè rastrellare risorse su tutta la popolazione, fatta essenzialmente di soggetti che non possono evadere (perchè dipendenti o beneficiari di trasferimenti). Non è neanche detto che sparando a raffica si becchino comunque gli evasori, i quali avranno potuto benissimo cautelarsi investendo in immobili, contanti nelle cassette di sicurezza o conti esteri.

Quindi finora una patrimoniale ci sembra molto una odiosa (doppia) tassazione del risparmio dei lavoratori.

Ma veniamo ora ai fatti riguardanti la patrimoniale in Italia. La ricchezza liquida (difficilmente possiamo pensare di aggredire immobili e strumenti finanziari) degli italiani è attorno ai 1500 miliardi, un tesoretto che fa gola a molti. Le imposte patrimoniali esistono GIA' (l'IMU, il bollo sul dossier titoli e sui conti correnti, il bollo auto, il canone RAI ed altre gabelle) ed il caso storico più significativo è stato il prelievo forzoso dello 0,6% sui conti correnti del 1992 ad opera di Amato, in un disperato e vano tentativo di salvare l'Italia dalle speculazioni finanziarie. Questo forse ci dovrebbe ricordare che le patrimoniali sono misure estreme, da "canna del gas". Ma poi, immaginando che possa circolare la notizia di una patrimoniale, non ci viene il sospetto che gli investitori un minimo accorti sposterebbero immediatamente la loro liquidità verso l'estero? E se poi la patrimoniale venisse veramente fatta, con quale fiducia nelle istituzioni italiani tornerebbero a portare i loro soldi nel Belpaese? Con quali effetti deleteri sul circuito degli investimenti e in termini di tensioni sociali, dato che la pressione fiscale italica è già tra le più alte al mondo? Non solo, che destinazione darebbe la nostra illuminata classe politico al gettito ottenuto? Ci auspicheremmo forse finalità nobili come le spese in sanità, infrastrutture digitali, ricerca e sviluppo ed istruzione. Ma le cronache della penisola ci mostrano che il più delle volte questo extragettito viene speso in spesa pubblica addizionale, fatta di trasferimenti assistenziali e altre prebende.

Immaginando ora di fare la benedetta "Robin Hood tax", ovvero una patrimoniale solo sul 5% più ricco, tanto amata dalla sinistra nostrana, quanto gettito addizionale si riuscirebbe a raccogliere? Secondo uno studio del 2019 del prof. Alessandro Santoro, "il gettito aggiuntivo effettivo dell’imposta patrimoniale applicata con l’aliquota dell’1% a questa popolazione non sarebbe superiore a € 6 miliardi, pari allo 0,3% del Prodotto interno lordo. Un gettito rilevante, certamente, ma non quella soluzione miracolistica che a volte viene sbandierata". E teniamo sempre a mente quali possono essere le conseguenze di secondo/terzo ordine di una patrimoniale del genere sugli incentivi economici a produrre ricchezza in Italia.

Per concludere, ritengo che concentrare il dibattito pubblico sul tema della patrimoniale come strumento per RILANCIARE un'economia che stagna da 25 anni sia non solo risibile, ma anche dannoso in un momento in cui occorre focalizzare gli sforzi sulle aree che richiederebbero un vero intervento di riforma e che sono il vero collo di bottiglia della crescita della produttività in Italia: giustizia lenta; burocrazia infernale; tassazione soffocante derivante da una spesa pubblica fuori controllo e sbilanciata sui trasferimenti a scapito degli investimenti in istruzione, ricerca e infrastrutture; scuole ed università mediocri; mercato del lavoro rigido e duale; mancanza di concorrenza e nanismo d'impresa.

Ma di questi temi nessuno vuol veramente parlare in Italia. Occorre diffonderne la consapevolezza, invece che cercare nemici esterni (multinazionali/Europa/agenzie di rating/...) e soluzioni facili (patrimoniale/monetizzazione/svalutazione/...).








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