La pubblicità è morta? Il futuro incerto, raccontato dalle grandi agenzie.

La pubblicità è morta? Il futuro incerto, raccontato dalle grandi agenzie.

Questa è la domanda alla base dello studio prodotto da Fast Company che ha intervistato sei manager delle più importanti agenzie pubblicitarie a livello mondiale, per capire il destino della pubblicità, oggi in seria difficoltà.

Gli intervistati sono autorevoli:

  • Colleen DeCourcy art director di Wieden + Kennedy
  • Margaret Johnson, partner e art directos di Goodby Silverstein + Partners
  • Jaime Robinson, cofondatore e art director di JOAN Creative
  • Troy Ruhanen, CEO di TBWA Worldwide
  • David Droga, fondatore e presidente di Droga5

I loro clienti sono Nike, Google, Apple, Bmw, Android, Adidas, e potrei continuare a lungo: come avrai capito che si tratta dei Gotha della comunicazione, del marketing e della pubblicità, che hanno accettato di condividere con il mondo la loro visione.

Ognuno di loro ha partecipato integrando la propria esperienza a un’intuizione sulla quale sta lavorando e in generale tutti registrano un calo degli investimenti che porterà alla chiusura per le agenzie più piccole e fino a un 15% di licenziamenti, per le realtà più grandi.

Uno degli aspetti positivi che lo studio rileva è il passaggio al digitale che l’emergenza ha agevolato; dai chatbot alla AI, gli utenti, non potendo rivolgersi all’azienda fisica si sono abituati a fare acquisti e risolvere problemi, utilizzando questi servizi virtuali.

Le stesse agenzie hanno compreso l’importanza di fare riunioni online, senza saltare da un aereo all’altro, per brevi incontri – cosa che prima accadeva sistematicamente, con dispendio di denaro e danno per l’ambiente.

Il futuro è ancora da scrivere, i consumatori sono confusi e i loro bisogni poco rintracciabili; è certo che le marche dovranno abbandonare ogni genere di superficialità, mentre cercano strade percorribili.

Durante l’emergenza si sono sperimentate cose mai fatte prima e la creatività ora può spingersi su terreni imbattuti, come ad esempio l’entertainment: è Jaime Robinson a lanciare la provocazione, sulla base del fatto che non potendo godere di show ed eventi, le marche potrebbero produrre entertainment.

Dallo studio emergono alcune parole chiave: valore, rigore, pensiero creativo, risoluzione dei problemi e coraggio, considerando la scena attuale come quella di un far west selvaggio, dove tutto è possibile.

 Colleen DeCourcy racconta che all’inizio della sua carriera, Dan Wieden, cofondatore dell’agenzia, le ricordava spesso che il caos arriva per farti crescere, un’occasione che riguarda proprio tutti, vista la confusione nella quale siamo immersi.

La cosa più complessa sarà rintracciare i bisogni delle persone con metodi differenti: la ricerca potrebbe svolgersi utilizzando il dialogo reale, tra l'azienda e il pubblico. Anche l'esperienza digitale andrà arricchita di umanità costruendo una UX digitale molto più attenta e dialogante.

Nessuna ricetta quindi per il futuro, ma un invito alla sperimentazione, usando maggiore sensibilità e approcci differenti, oggi ancora poco percettibili.

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