La sfida dell'intelligenza artificiale contro la storia vincente: un'analisi empirica sul caso Milan
Lo dico in premessa: sono milanista da quando ho memoria, seguo con estrema passione i colori rossoneri e ho passato anni malinconici a cavallo dell’ultima fase Berlusconi e del carneade Li Yonghong, per cui non posso che aver accolto con favore l’ingresso dei fondi. I risultati sono a dimostrare che il percorso per portare il Milan dove la propria storia lo ha collocato (è la seconda squadra in Europa per Champions vinte, dopo il Real Madrid): un Campionato vinto e una semifinale di Champions, la collocano ancora al 29esimo posto nel ranking UEFA, a dimostrazione del fatto che serviranno una serie di anni positivi per scalare le posizioni di rilievo.
Ma torniamo al tema dibattuto sui media i mesi passati: l’interruzione della collaborazione con Maldini, storico capitano rossonero, figlio di una leggenda come Cesare Maldini, unica famiglia in cui padre e figlio hanno alzato la “coppa dalle grandi orecchie”.
Sui giornali si è scritto molto.
Repubblica “Il Milan sostituisce Maldini con l’intelligenza artificiale”
Leonardo, l’unica persona che nella storia del Milan ha coperto tutti i principali ruoli – giocatore, allenatore e dirigente rossonero - attraverso le colonne del Corriere della Sera, ha commentato la scelta di dire addio allo storico capitano, non risparmiando il proprio disappunto.
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Ecco le parole del brasiliano: “Come ha detto anche Carlo Ancelotti, il suo licenziamento è mancanza di cultura e di rispetto anche verso i valori dello sport. – prosegue – Per chi è milanista è una mancanza di rispetto verso sé stessi, perché Maldini è il Milan. Questa è una decisione che crea disamore“.
Alessandro Giudice sul Corriere dello Sport cerca di fare un po' di chiarezza: "Molti credono che Moneyball consista nel selezionare al computer giocatori sconosciuti sperando che si trasformino in campioni. Qualcuno si aspettava giocatori mai sentiti dai nomi impronunciabili: nulla di più errato. Moneyball significa utilizzare grandi quantità di dati tecnici per scegliere profili appropriati a ciascun ruolo: posizione, passaggi, verticalizzazioni, mobilità, uso dei piedi, dribbling, interdizioni, recuperi. Tutto può servire. Importanti sono pure i parametri economici: puntare giocatori a un anno dalla scadenza, per esempio, ottimizza il costo del cartellino consentendo di acquistare più giocatori, a parità di budget, massimizzando il rendimento di ogni euro di capitale impiegato dal club, quindi dagli azionisti".
Del tempo è passato, si sono susseguiti mesi migliori (fino a ottobre) e altri meno entusiasmanti (novembre e aprile), a un certo punto è scomparsa – nel prepartita dei match casalinghi – la musica di Sinclair con il pubblico che incitava “Pioli in on Fire” ed eccoci ad oggi, un derby (il sesto) perso, trecentomila interisti in Piazza Duomo a festeggiare.
Le vicende cui stiamo assistendo in queste settimane, il percorso di scelta del nuovo allenatore, la VoF (Voice of Fans) i trend social quali #Nopetegui – e ancor prima #Pioli OUT- stanno a significare che, pur se immersi nell’era dei Big Data, le organizzazioni devono continuare a fronteggiare un’annosa sfida: coniugare coerenza con le linee di indirizzo strategico e “sentimento generale” dei propri clienti, così come la gestione delle figure ‘iconiche’, lette come elementi di (presunta) resistenza a percorsi di trasformazione competitiva.
Ovviamente parlo da persona esterna ad un’organizzazione, ma il caso citato mi proietta nei contesi organizzativi aziendali, in cui spesso i dipendenti - pur essendo interni alle stesse – le “leggono” da soggetti esterni (in quanto sono a conoscenza di parte delle dinamiche) generando, al tempo stesso, un impatto materiale a livello di ‘mood’. Tutto fa #Corporate_Engagement: handle with care!
P.S. tolgo i commenti solo perché so che gli amici interisti potrebbero infierire