«La situazione di TIM, i mercati e il bisogno di voltare pagina»
Ho letto negli ultimi tempi numerosi articoli sul tema della cessione della rete fissa di TIM, ad eccezione di questo giornale, che ritengo molto approssimativi. Tendenzialmente si confonde un tema di sostenibilità industriale del settore con la strategia dei singoli operatori telefonici, e in particolare della nostra Azienda, fino ad arrivare a valutazioni economiche e finanziarie sull’operazione che abbiamo recentemente finalizzato con KKR. Tutto ciò obbliga a fare chiarezza.
Il settore delle Telco è sostenibile?
Prima di tutto c’è un problema di industria in Europa e ancor più in Italia. Non mi sembra di aver letto, oggi o negli anni passati, articoli in merito alla politica industriale in essere imposta dall’Europa e su come si stia distruggendo questo settore, mettendo a rischio la digitalizzazione in Europa e nel nostro Paese.
Bisogna ricordare innanzitutto che parliamo del problema di un’intera industria e non sono il solo a dirlo: basta leggere la recente lettera congiunta delle Telco europee inviate alla Commissione Europea con una esplicita richiesta di cambio delle regole. Ritengo che sia significativa la scelta di 20 amministratori delegati dei principali operatori europei di prendere carta e penna per spiegare come, con la cornice normativa attuale, gli investimenti futuri siano a rischio e come siano necessarie azioni regolatorie per garantire che siano sostenibili. D’altra parte, la situazione anche nel resto d’Europa è complicata per gli ex incumbent: Telefonica e Vodafone stanno vendendo diversi asset e razionalizzando le proprie attività in giro per il mondo, Deutsche Telekom resiste in Germania grazie ai proventi che le arrivano dagli Usa dove è proprietaria TMobile, BT ha già separato la propria rete fissa ed oggi il 25% è stato acquistato dagli indiani di Barthi, e in diversi Paesi si moltiplicano le joint venture con investitori finanziari per accelerare gli investimenti nella fibra e così via.
Italia, mercato saturo
In Italia il mercato è saturo e nessuno va bene. Vodafone Italia è stata venduta a Fastweb (Swisscom), Iliad chiede di poter fare un’acquisizione per fare massa critica e sopravvivere e Wind stava provando a separare la rete mobile ma poi l’operazione è saltata. La situazione è difficile sia nel mercato Retail delle Tlc che in quello Wholesale: si veda Open Fiber che ha appena attraversato una complicata rinegoziazione del proprio debito o ad altri modelli di business che non decollano: l’ex Linkem è stata acquisita da Wind ed Eolo ha ceduto da qualche anno la maggioranza a un fondo svizzero.
Da questa rapida lettura, mi sembra chiaro che ci sia un problema di settore che è riflesso anche negli andamenti borsistici e le Telco ormai sono un ambito in cui gli investitori sono molto cauti per usare un eufemismo. Non è un caso che gli analisti, pur apprezzando i progressi che le società europee stanno facendo, si concentrino molto sull’incertezza del settore, guardando positivamente alle ipotesi di consolidamento, evidenziando però che con le ultime due Commissioni Europee ci sia stato un disallineamento fra politiche industriali e concorrenziali. Per questo anche loro suggeriscono di investire su aziende con una forte esposizione a mercati extra-europei o attive in mercati ben strutturati, come Olanda e Finlandia, dove di fatto ci sono tre operatori per Paese. Per alcuni analisti l’Italia sarebbe il Paese che avrebbe maggiori vantaggi da una nuova fase di politiche industriali e concorrenziali che porti a mercati nazionali meno frammentati.
Di fronte a questo scenario non mi sembra di aver letto analisi accurate di come l’industria si stesse progressivamente deteriorando, mettendo a rischio la costruzione delle infrastrutture necessarie per la digitalizzazione del Paese.
La situazione di TIM
Senza entrare nel merito di come sia nato il debito di TIM (su questo in molti si sono espressi), vale la pena ricordare i numeri della nostra Azienda a fine 2021, in un contesto di mercato già asfittico e sovraffollato e precedente alle crisi che conosciamo oggi: l’Ebitda si attestava sotto i 4 miliardi di euro, gli investimenti (Capex) a 3,3 miliardi all’anno e oltre 1,2 miliardi di interessi sul debito con un trend che è peggiorato a causa delle condizioni macro-economiche oltre alla necessità di dover pagare quasi 2 miliardi di euro per le frequenze 5G.
La conseguenza evidente a tutto questo è che, senza un sostanziale abbattimento del debito, TIM non avrebbe avuto prospettive e rischiava un deterioramento pericoloso della propria situazione. Infatti è sufficiente ricordare che soltanto 10 anni fa l’Ebitda valeva più del doppio e con questo trend il risultato finale è facile da prevedere. In questo contesto dalla lettura di alcuni articoli, veniva prospettata un’ipotesi, non so quanto fondata e alquanto irrealistica a mio modo di vedere, di nazionalizzare nuovamente il nostro Gruppo.
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Il mercato e la realtà sono però differenti e tornando alle opzioni industriali, per abbattere il debito erano possibili solo due strade: un aumento di capitale o la vendita di asset. Il percorso che abbiamo perseguito, come sapete, è stato il secondo, con la vendita della rete.
Veniamo ora ai numeri che ho letto sull’operazione, spesso riportati da autorevoli firme, ma che a volte hanno manifestato un’eccessiva superficialità nei loro commenti e giudizi che mi hanno davvero preoccupato.
Quanto paga TIM a KKR per l’uso della rete fissa?
Si fa gran rumore su questa ricostruzione suggestiva che noi paghiamo 2 miliardi di euro l’anno a KKR e che in 10 anni loro si ripagheranno l’investimento fatto. È bene spiegare come si compongono questi 2 fantomatici miliardi: circa 700 milioni sono costi che avremmo pagato a terze parti anche se avessimo mantenuto la rete, come quelli per l’energia elettrica o quelli di real estate per l’affitto dei siti industriali. Si tratta quindi per KKR di un mero pass-through, ovvero di un incasso che a loro volta girano direttamente a terze parti. Su queste basi il reale costo per l’affitto della rete scende a 1,3 miliardi di euro. Ma se vogliamo essere più precisi dobbiamo ricordare che per effetto della cessione avremo anche un miliardo di costi del personale in meno, oltre a una riduzione di 800 milioni euro di interessi sul debito e a meno costi di leasing.
A questo punto conviene fare un’ultima osservazione: se avessimo tenuto la rete quanto avremmo dovuto investire?
Sempre sulla base di quanto letto nelle recenti analisi, nessuno ha fatto notare come la rete venduta sia prevalentemente in rame, il che vuol dire 10 miliardi di euro di investimenti da realizzare nei prossimi 5 anni per trasformarla in fibra. Se non venissero fatti questi investimenti, la rete perderebbe qualunque tipo di valore. Peccato però che questo tipo di Capex per noi non sarebbero stati remunerativi visto che i ricavi derivanti dai clienti in rame sono già presenti nel conto economico. In altre parole, avremmo investito per mantenere gli stessi ricavi, con l’onere però di rifinanziare il debito ai tassi attuali, che si aggirano intorno al 7,5 per cento.
Non aggiungo altro e chiudo dicendo che forse è arrivata l’ora di voltare pagina, lasciandoci alle spalle polemiche sterili e di pensare al futuro del nostro settore, della digitalizzazione del Paese e della nostra Azienda.
Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2024 da Il Sole 24ore
Digital Transformation Senior Advisor
3 mesiWell deserved. Fully agree: no distractions, stay focused on [core] business. Back to the future!
Global Technology and Communication Practice Co-Leader @ Egon Zehnder
4 mesiAvanti tutta, Pietro, e buon lavoro!
Alla ricerca attiva di un impiego e di una nuova vita (professionale).
4 mesiTIM non esiste più.
Direttore Commerciale clienti privati
4 mesiUn’analisi eccellente, spero che il mercato e soprattutto la politica la capisca. Ad maiora Pietro Labriola
Business analyst, Process Designer, Project manager, Program manager
4 mesiInteressante analisi. Ma io vedo un libero mercato selvaggio che paga il prezzo del proprio rifiuto assoluto della partecipazione statale. Come se la parola Stato debba necessariamente essere sinonimo di incapacità manageriale.