La stretta di mano: brevi cenni di un antichissimo saluto universale
L’emergenza sanitaria da SARS-CoV-2 ha bandito un gesto semplice, antico e molto diffuso: la stretta di mano.
Forma di saluto usata per presentarsi e dare il benvenuto ma anche per esprimere ringraziamento, siglare un accordo, congratularsi od esprimere vicinanza.
Pratica pressoché universalmente interpretabile in civiltà e culture molto diverse e distanti tra loro, pur con differenze nella modalità in cui viene effettuata; nei Paesi arabi il saluto prevede, nella sua versione completa, che la mano tocchi in successione torace, labbra e parte centrale della fronte, per poi prolungare il gesto in avanti accompagnandolo con un inchino. In altri popoli del Nord Africa la mano libera viene appoggiata sul petto mentre l’altra stringe quella dell’interlocutore. Tra il popolo Masai gli uomini si limitano a sfiorare la mano con un leggero tocco di palmo.
La sua origine risale ad oltre 5.000 anni fa, come testimoniano alcuni geroglifici egizi che raffigurano patti tra uomini e déi che si stringono la mano in segno di accordo.
Reperti archeologici risalenti al tempo dell’antica Babilonia mostrano un altorilievo in cui a darsi la mano in segno di alleanza sono il Re assiro Shalmaneser III (859–824 a.C.) ed il Re babilonese Marduk-zakir-shumi I (855-819 a.C.).
Raffigurazioni, racconti e resoconti di strette di mano si trovano anche nella Grecia antica: la stretta di mano veniva definita come “δεξίωσις – dexiōsis” o “δεξιόομαι”, che significava “dare la destra”.
Nei poemi omerici Iliade ed Odissea la stretta di mano viene descritta più volte come segno di fiducia e se ne ritrovano esempi anche nell’arte funeraria. Mutano le circostanze rimanendo tuttavia le strette di mano simbolo di una condizione di fiducia e mutualità.
In Occidente, testimonianza è la stele del V secolo a.C. , iscritta in rilievo, che raffigura due Dee che si cingono la mano in segno di rinnovato accordo: Era ed Atena, rispettivamente le dee protettrici di Samo e Atene, con il popolo Ateniese che onora quello di Samo perché gli è rimasto fedele alleato nonostante la sconfitta della flotta ateniese ad Agios Potamoi, da parte degli Spartani.
Singolare è tuttavia ricordare che la pratica della stretta di mano origina probabilmente come un’iniziale diffidenza tra persone: porgere la propria mano destra (quella con cui nella maggior parte dei casi si impugnava un’arma) dimostrava che non si avevano cattive intenzioni. E stringere la mano destra di qualcun altro – stringendone addirittura l’avambraccio, oltre che la mano – dipanava il dubbio che l’altro nascondesse, magari sotto la manica, qualche piccolo pugnale.
L’antico gesto sopravvive anche per tutto il Medioevo: ai tempi dell’epidemia di peste si racconta che furono vietati i baci ma non le strette di mano. Ai tempi delle Signorie era simbolo di non belligeranza.
Nel XVII secolo sembra passare di moda; alcuni storici ritengono che fu grazie ai Quaccheri, gli appartenenti al movimento religioso interno al puritanesimo, che tornò ad essere popolare. Nel loro rifiuto delle gerarchie e classificazioni sociali consideravano infatti la stretta di mano una forma di saluto più semplice e democratica rispetto al comune inchino od al sollevare il cappello.
Nel 1800, superando le resistenze di alcuni appartenenti all’aristocrazia europea, la stretta di mano inizia ad essere codificata nei manuali di etichetta, che spesso includevano indicazioni per una corretta tecnica del gesto. Una guida del 1877, pubblicata in piena età vittoriana, consigliava ai suoi lettori che “un gentiluomo che preme brutalmente la mano che gli offre il saluto, o che la scuote con troppa violenza, non dovrebbe mai avere l’opportunità di ripetere la sua offesa“.
Si narra che Abraham Lincoln, presidente statunitense dal 1861 al 1865, fosse un grande stringitore di mani e che, sempre in quegli anni, a Teano, in Campania, si fossero stretti la mano Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II.
Nel Novecento le strette di mano continuano a conquistare terreno e, anche grazie alla fotografia, diventano rappresentazioni molto efficaci dell’intesa tra due persone.
E’ interessante riportare quanto emerso da uno studio del 2015 condotto in Israele, secondo cui potrebbe esserci una spiegazione scientifica alla base di questa pratica: alcuni ricercatori, dopo aver filmato la stretta di mano tra centinaia di sconosciuti, notarono che circa un quarto dei partecipanti si annusava la mano subito dopo. La stretta di mano poteva quindi venire usata inconsciamente per percepire segnali chimici, come fanno altri animali annusandosi.
Così venne definita la stretta di mano da Henry Siddons nel manuale del 1807, scritto per gli attori inglesi, “Practical Illustrations of Rhetorical Gesture and Action”: un’azione che “unisce tra loro due estremità del corpo umano“, “un’espressione tipica di amicizia, benevolenza e saluto”, un gesto “ricco di significati, perché la mano è la lingua in cui esprimiamo cordialità e buone intenzioni”.
La crisi sanitaria globale e la richiesta di “evitare le strette di mano” hanno messo in discussione il ruolo del contatto fisico nei gesti di saluto, accordo ed amicizia delle culture di tutto il mondo.
Quanto mai attuali i versi di Trilussa
La stretta de mano
Quella de dà la mano a chicchessia,
nun è certo un’usanza troppo bella:
te pò succede ch’hai da strigne quella
d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.
Deppiù la mano, asciutta o sudarella,
quann’ha toccato quarche porcheria,
contiè er bacillo d’una malatia,
che t’entra in bocca e va ne le budella.
Invece a salutà romanamente,
ce se guadambia un tanto co l’iggiene,
eppoi nun c’è pericolo de gnente.
Perché la mossa te viè a dì in sostanza:
“Semo amiconi … se volemo bene …
ma restamo a ‘na debbita distanza”.
Luisa Tessore