Le buone intenzioni e le cattive tensioni della giustizia riparativa

Le buone intenzioni e le cattive tensioni della giustizia riparativa

All’indomani dell’entrata in vigore della riforma Cartabia gli avvocati, quelli che devono fare i conti con il freddo ambulatoriale delle aule, si sono trovati a confrontarsi con un inestricabile quesito.

Se sono certi i vantaggi di una scelta processuale in favore di un percorso di giustizia riparativa, cosa si perde, cosa facciamo perdere, all'assistito in termini di diritti e di garanzie con quella scelta?

Si tratta di interrogativo che, per chi crede fermamente nel processo, è grave.

Si tratta di interrogativo che per chi crede ciecamente nelle magnifiche sorti e progressive del nuovo istituto, è greve.

L’adesione dell’avvocatura allo slittamento sul piano dei principi in favore di un indistinto efficientismo giudiziario non può che essere ponderato e ragionato.

E non si parla, in questo caso, del meritorio apporto dello strumento in parola alla ricucitura del trauma (sociale o individuale) verificatosi a seguito del reato, ma del fatto che già intuitivamente si scorge che questa ricucitura, questa pacificazione, può avvenire solo a condizione che si sia già cristallizzato l'accertamento dell’addebito nei confronti dell' autore del reato.

Il tema risulta ancor più spinoso allorchè si osservi che, per quanto si ritenga generalmente che il sistema della giustizia riparativa si caratterizzi per una assenza di coercizione, per una adesione volontaria e consensuale all’istituto, gli operatori del diritto sanno perfettamente che chi è sottoposto ad un procedimento penale subisce, eccome, una coercizione o, quanto meno, un condizionamento, nella scelta di percorsi che gli consentono di uscire in fretta da quel tritacarne psicologico che è il processo. Gli consentano di vivere il meno possibile l’angoscia dell’aula di giustiza.

E’ interessante notare come i propugnatori di questo magnifico sistema siano inclini poi a magnificare l’aspetto del riconoscimento reciproco tra autore del reato e vittima, dando per scontato che si possa legittimamanete attribuire il fatto contestato, in tutte le sue componenti, al soggetto sottoposto al sospetto inquisitorio, soggetto, quindi, che di buon cuore si offrirebbe al marchingegno pedagogico costruito dallo Stato.

Viene da ripensare all’Abate Vella di Sciascia che, infine, realizza di aver sempre accettato la ferocia delle leggi e delle procedure come se fossero inevitabili correttivi della natura al pari della potatura delle viti (cfr. Ispezioni della terribilità, pag. 26, editore Olscki).

Ma in un'ottica di ponderazione dei rischi e dei benefici l'esca lanciata non può che comportare una pesca ricca. Toccherà quindi abboccare all'amo e accondiscendere ad un sistema che pensa male e che, ahimè, sotto questo profilo spesso ci azzeca. Sotto il profilo dell’economicità della scelta e della genuflessione all'efficientismo, intendo dire.



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