Le dimenticate virtù della formazione lenta

Le dimenticate virtù della formazione lenta

(Questo è l'Editoriale che apre il numero 141, novembre 2019, di Persone & Conoscenze, rivista che ho fondato e dirigo).

“Perché si fa formazione? Per confermare o per trasgredire l’esistente? Si agisce per mettere formare un mondo nuovo o per conformare quello esistente ai regimi di verità riconosciuti?” Si domandano Emanuela Fellin e Ugo Morelli nell'articolo che introduce l'argomento chiave di questo numero della nostra rivista.

Una formazione che si limiti a rassicurare, tranquillizzare, confermare lo stato delle cose, non serve a nessuno. Il cambiamento, i possibili, necessari, miglioramenti organizzativi, e anche e soprattutto i migliori risultati di business nascono dal prender coscienza della distanza tra ciò che si fa e ciò che si potrebbe fare, tra il come siamo e il come potremmo essere. Questa distanza è, in fondo, la misura dell’energia aggiuntiva che le persone si dichiarano disposte a mettere in campo.

La formazione, affermano infatti Fellin e Morelli, “è tanto più efficace, quanto più alimenta l’immaginazione”. “La formazione, quando riesce a sostenere apprendimenti efficaci, crea un salto dal possibile all’impossibile”. Potremmo dire meglio: dal possibile all'impossibile, e ritorno. Immaginato l'impossibile, è possibile renderlo accessibile.

La formazione è speranza di miglioramento. Accade in ogni azienda che le persone, al ritorno da una attività formativa, notino la distanza tra ciò che il percorso formativo ha portato a pensare e la situazione presente dell’organizzazione in cui si lavora. Spesso il confronto è frustrante. La formazione sprigiona energie. Affinché la formazione non generi ulteriore delusione, nuova depressione, è necessario che l'organizzazione sia in grado di accogliere e valorizzare le energie attivate dalla formazione.

Per questo è necessario un impegno comune. Il committente saprà che le persone torneranno dal percorso formativo ricche di nuova motivazione, ma anche di nuove aspettative. I formatori dovranno conoscere la cultura aziendale tanto da saper dosare la loro azione in modo da non generare aspettative eccessive.

Purtroppo l'attenzione per tutto questo sembra scemare. Più facile contentarsi di una formazione magari spettacolare, ma easy&fast.

Nei linguaggi dell’easy&fast training, notano Fellin e Morelli, si rischia pericolosamente di restare in superficie. Accade che si creda sempre meno nella azione trasformatrice incisiva, della formazione. Accade che il formatore assecondi troppo passivamente il committente. Accade che si finisca per mantenersi su temi ed obiettivi generici, slegati dalla cultura aziendale e dalla reale situazione delle persone e dell'organizzazione: “le performance sono sempre eccellenti; la qualità è sempre totale; le decisioni sono sempre ottimali e certe; le strategie sono sempre di successo; la leadership è sempre partecipativa e circolante; le persone sono sempre resilienti...”

Il tempo per la progettazione è sempre più scarso. La giornata di formazione si riduce a mezza. Di recente sono stato chiamato a partecipare a un progetto di formazione erogata sotto forma di 'pillole'. Ho avuto modo di osservare come il budget a disposizione sia stato speso in gran parte per pagare una sala di ripresa, uno sceneggiatore ed un regista. Di conseguenza si è ridotto il compenso del formatore, ma non è questo in punto. Il progetto prevedeva che ogni formatore mettesse per scritto quello che avrebbe altrimenti detto in aula. Lo script doveva poi essere rivisto dallo sceneggiatore. A valle di questa stesura, il ruolo del formatore si risolveva nel leggere il testo sul gobbo, durante la ripresa - fingendo per quanto possibile spontaneità. Il formatore diventa così un locutore, o meglio: un avatar digitale di sé stesso.

Accade anche che il formatore stesso preferisca cambiar nome, e passare a chiamarsi Learning Experience Designer.

Una figura derivata da quella dell'User Experience Designer. Disegnatore di interfacce di app. C'è qui una pretesa politicamente pericolosa: disegnare in anticipo, cioè subordinare a regole previamente definite, il modo in cui gli esseri umani, i cittadini, i lavoratori, i manager possono fare esperienza.

Cito ancora Fellin e Morelli: “la formazione che è andata di moda, da un certo momento in poi, è stata quella che ha promesso -e tuttora promette- soluzioni automatiche a problemi complessi, con proposte deterministiche e normative”.

Certo, vediamo segni che portano a pensare che si preferisca oggi coltivare illusioni passeggere.

Ma Fellin e Morelli ci invitano a continuare a credere nella formazione che interroga e richiede impegno. E con loro Francesco Perillo, che nella sua rubrica ricorda che “Non ci sono scorciatoie tecnologiche o surrogati che possano sostituire Socrate in aula”. E Giovanna Garuti, che ricorda l'importanza della compresenza personale, fisica, on solo virtuale, perché “la memoria del corpo aiuta il pensiero”.

Angelo Carnemolla

Leading Expert in Peak-Performance, Sport Psychologist, Leadership Trainer for individuals or groups, Mental Health and Emotional Wellbeing Specialist, Integrative Psychotherapist.

5 anni

Caro Francesco, qualche giorno fa ci eravamo confrontati sul tema easy&fast, l'editoriale riassume benissimo quello che penso da tempo. La formazione si sta sempre più spettacolarizzando, digitalizzando, semplificando (tutto questo di per sé non è negativo), il problema nasce nel momento in cui ti chiedi: "Alla fine di questo momento, quali nuovi apprendimenti hanno fatto? Quali nuove consapevolezze? Domani cosa faranno di diverso? ...e non hai la risposta!! Come consulente, non puoi non farti queste domande. In ballo c'è anche una questione etica.

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