Le domande aperte: la chiave per esplorare gli interessi in campo
L’uomo è per sua natura egoriferito: per un principio di autoconservazione tende, cioè, ad anteporre la sua salvaguardia, sebbene la socialità e l’empatia bilancino in parte questa tendenza.
Tale attitudine si scontra con il fatto che l’individuo di oggi, per perseguire i suoi obiettivi, necessita di relazionarsi con altre persone. Ecco, quindi, che la capacità di collaborare con l’altro ascoltando il suo punto di vista e accogliendo i suoi bisogni diventa determinante. Per fare ciò, esiste uno strumento tanto semplice quanto potente: la domanda.
Porre domande consente di valorizzare il proprio interlocutore abbandonando una dinamica comunicativa egoriferita e possibilmente soggetta a bias cognitivi. Domandare è un’azione tutt’altro che automatica: le persone sono abituate a osservare l’interlocutore e il contesto, a formulare delle ipotesi e ad agire senza prima verificarle. Questo atteggiamento genera spesso conflitti e incomprensioni che, se perpetrate nel tempo, rischiano di compromettere la relazione. È una dinamica incredibilmente frequente nei contesti professionali, che può essere in parte gestita educando le persone a domandare.
Una volta appurata l’utilità della domanda vorrei soffermarmi sul come domandare, dal momento che formulazioni linguistiche diverse portano a risultati altrettanto diversi. Con questo articolo apro, dunque, un ciclo di newsletter dedicato alle tipologie di domanda. Ogni pubblicazione sarà dedicata a una delle tre categorie di interrogativi: le domande aperte, a opzione e chiuse.
Cominciamo quindi ad analizzare le domande aperte, che rappresentano la forma più strategica poiché favoriscono la relazione dando spazio all’interlocutore. Questa apertura non solo fa sì che la persona si senta valorizzata, ma consente anche di raccogliere preziose informazioni che altrimenti rischierebbero di rimanere latenti.
Per tale ragione sono ideali da porre all’inizio di un dialogo, in modo da portare la conversazione fin da subito verso il punto nevralgico. Al contrario, spesso si tende a cominciare con domande chiuse volte a confermare una propria ipotesi iniziale. Un esempio aiuterà a comprendere meglio.
Un collaboratore comunica le proprie dimissioni al suo responsabile che, colto di sorpresa, inizia a ipotizzare una serie di motivi che potrebbero aver portato il collaboratore a prendere questa decisione e inizia a formulare una serie di domande chiuse: “Sei stato contattato da un’azienda più prestigiosa della nostra?”, “Ti hanno offerto un salario più alto?”, “Non ti piace il nostro ambiente di lavoro?”. Ogni domanda rappresenta un vano tentativo che determina un allungamento del processo di comprensione del pensiero dell’altro, oltre a generare una situazione di stress in chi deve rispondere, poiché non si sente libero di sviluppare un pensiero completo.
Una domanda aperta consentirebbe di comprendere rapidamente le ragioni del licenziamento, giungendo in maniera puntuale al nocciolo del problema e senza avere ripercussioni sul piano relazionale.
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Per rendere questo approccio sempre più una forma mentis occorre allenare una sincera curiosità verso l’altro, avendo a cuore di comprendere i suoi pensieri, le sue preoccupazioni e i suoi interessi prima di presentare qualunque tipo di soluzione.
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