Le imprese del futuro secondo Sam Altman
Prompt Immagina/ ...volume 2#
Ho guardato con attenzione questa straordinaria intervista a Sam Altman, founder di Open AI e padre di Chat Gpt. Ci sono alcune osservazioni illuminanti. La prima riguarda la critica alle corporate che puntano su strategie di prodotto mordi e fuggi. Nella dinamica dell’hype che, raggiunto il picco, prima o poi crolla e va fuori dal mercato c’è il senso della debolezza della speculazione.
La frase di Altman è molto precisa e solida: …la tecnologia è un fattore abilitante, ma quello che devi fare è costruire un’azienda che abbia un vantaggio competitivo a lungo termine. Parla un imprenditore che ha lavorato 7 anni maniacalmente per mettere a punto la strategia di lancio di Chat GPT, un professionista attento al dettaglio che opera nell’idea di lasciare un’impronta più che saccheggiare mercati.
La seconda cosa che ho notato - e mi è piaciuta moltissimo - è la sdrammatizzazione del mondo geek startupparo. Alla domanda di David Blundin, l’intervistatore che chiedeva lumi sulla possibilità o meno di rendere più sofisticati i modelli algoritmici, Altman risponde: non è solo questione di parametri o calcoli o altro. Il modello in questo momento lo fa il contesto, lo fanno le persone che indirizzano la tecnologia nel modo che gli è più utile ed efficace. E chiude con un sonoro: non stiamo qua per farci le seghe sui parametri…
Che dire? Altman sa seriamente non prendersi sul serio.
Da questo voglio tirare fuori alcune osservazioni. Prima di tutto, mi sembra importante soffermarmi su questa cosa della progettualità a lungo termine. In una parola, la visione. Mi sembra importante perché ci costringe a sviluppare una maggiore sensibilità al tema dei bisogni e delle reali necessità delle persone.
Altman non sa ancora come l’A.I. impatterà sul nostro modo di vivere, ma sa che è uno strumento necessario a fare un passo avanti.
Se dovessimo calare questo ragionamento nel nostro quotidiano professionale, ecco che tutto cambia segno: se mi occupo di formazione non so bene cosa potrà succedere da qui ai prossimi 10 anni, ma devo chiedermelo, studiare, capire che stiamo vivendo una trasformazione, che le persone hanno nuove necessità di apprendimento, che i linguaggi sono cambiati, che gli strumenti sono diversi e, proprio per questo, dobbiamo puntare su nuove conoscenze, competenze, strumenti,ecc.
Se mi occupo di comunicazione non posso più limitarmi al giochino del marketing digitale o dei social. Devo capire la portata che certe espressioni, linguaggi, format stanno avendo sul sistema. Devo mettere a fuoco in che modo il dibattito culturale sta aprendo la porta a nuovi modi di creare, produrre, distribuire contenuti. E perché avviene.
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Il discorso del lungo termine è importante anche perché ci ammonisce sull’importanza di assecondare i tempi e costruire processi con attenzione, cura e passione. Far crescere team affidabili e competenti in grado di sostenersi l'un l'altro e, insieme, fare la differenza. Abbracciare il nuovo senza la paura di provare strade inesplorate.
C’è un passaggio nell’intervista in cui David Blundin fa notare quanto le persone stiano rincorrendo il treno di Open AI. Alla domanda di cosa ne pensi, Altman (dopo aver rifiutato di rendere pubblici i dati dell’investimento su Chat GPT) risponde: forse siamo solo degli stupidi che si illudono di avere una grande idea per le mani, e magari non è neppure così complesso e costoso come sembra. Arriverà qualcun altro e ci renderà obsoleti con un’altra innovazione, e questo sarebbe un bene per il mondo.
Qui c’è tutto il senso della cultura collaborativa. L’idea fondamentale è che è il progresso del generale a garantire il progresso del singolo, quasi mai avviene il contrario.
Le mie conclusioni
Siamo chiamati a una nuova era. Il tempo della risposta a bisogni più grandi di noi, bisogni che vanno molto al di là dello schema letterario della Piramide di Manslow. Non è più una questione di letteratura nel campo della psicologia, qui stiamo cercando di pianificare nuove strategie di lettura del caos e interazione con ciò che ci circonda e cambia a velocità pazzesche.
Le imprese di cui abbiamo bisogno non raschiano il fondo del barile, non giocano al fatturato facile cercando la next big thing dei prossimi sei mesi. Le imprese di cui abbiamo bisogno sono strutture che nascono dalla convergenza dei modelli di ricerca con le competenze aziendali, con la trasformazione dei trend socio-culturali, con la sensibilità ai temi del sociale, del welfare e del benessere (ambientale, personale, professionale), con le potenzialità della tecnologia nel suo ormai fondamentale dialogo con altre sezioni della scienza.
Partiamo, quindi, dal fare squadra. Cerchiamoci per affinità, per volontà di cambiamento, per empatia. Cerchiamo di superare il male della frammentazione sociale e dell’esasperazione professionale per aprire a nuove alleanze.
Io mi occupo di strategie di contenuto con finalità culturali ed educative per organizzazioni e imprese che hanno bisogno di agire nel difficile contesto del mondo contemporaneo. Voi?