L’azienda intelligente? Quella che connette persone e algoritmi
I dati sono il nuovo petrolio?
Interrogativo che ricorre da tempo sul tavolo e nei pensieri di chi fa impresa. Non c’è dubbio che i dati, una volta trasformati in informazioni funzionali all’attività di business, siano una risorsa oggi irrinunciabile nelle mani di manager, consulenti e imprenditori. Credo però sia importante fare un passo indietro e approfondire l’importanza della combinazione dei due fattori che stanno alla base del valore generato dai dati, e cioè il capitale umano e la tecnologia.
Molti, fra coloro che guidano le aziende, sono oggi focalizzati sui temi dell’intelligenza artificiale, delle tecnologie di machine learning e dei tool di business analytics (tutti strumenti che possiamo genericamente riassumere nel concetto di “Data Science”) e sono portati erroneamente a pensare che gli algoritmi possano essere la soluzione a qualsiasi problema: l’inefficienza di alcuni processi, l’imperativo di migliorare la relazione con clienti e/o fornitori e di ridurre i costi di gestione, l’esigenza di velocizzare le procedure e di aumentare la produttività.
È un concetto che trova concreta applicazione ma non è del tutto vero, perché prima degli algoritmi ci sono le persone e le persone sono per loro natura irrazionali (o lo sono almeno in parte) e di conseguenza non (sempre) prendono decisioni in funzione della logica dettata dai dati. Prima di conoscere i possibili vantaggi che derivano dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dagli strumenti di “data science” è quindi utile comprendere meglio le persone e capire come e perché connettere questi due mondi: human (le persone) da una parte e tech (gli algoritmi) dall’altra.
Occorre quindi porsi una domanda: perché le persone prendono decisioni sbagliate anche quando i dati indicano diverse opzioni da seguire? Perché, in altre parole, si fanno scelte illogiche e irrazionali anche quando i numeri dimostrano che sono tali?
Il cervello ingegnere e il cervello poeta
Il cervello è certamente l'organo più complesso e affascinante del corpo umano, la struttura biologica che maggiormente ci differenzia dagli animali. La cosa più straordinaria del cervello è che non si tratta di un organo statico, ma di qualcosa che muta ed evolve grazie agli stimoli e alle esperienze a cui è sottoposto. Per questa ragione è possibile parlare di cervello "plastico", da intendersi come una struttura dinamica, così come lo dovrebbe essere un’azienda che vuole essere veloce, resiliente e flessibile per rispondere alle fluttuazioni del mercato in cui opera. In una parola sola “INTELLIGENTE”, in grado cioè di affrontare il cambiamento e di cogliere le opportunità di crescita e di trasformazione massimizzando il valore delle proprie competenze e della propria visione innovativa.
Diversi studi dimostrano come i due emisferi cerebrali presentino differenti specializzazioni, ognuna delle quali fondamentali nella realizzazione dei processi cognitivi e nella costruzione del pensiero in senso lato. In generale si può affermare che l'emisfero sinistro sia “l'ingegnere” dedito ai processi linguistici e sequenziali e alla gestione degli eventi che si susseguono nel tempo. In altri termini, il “cervello ingegnere” è lo specialista nella percezione analitica della realtà. L'emisfero destro, invece, è il "poeta", focalizzato sull'elaborazione visiva, sull’organizzazione spaziale delle immagini e sull'interpretazione emotiva delle stesse. Al “cervello poeta”, in estrema sintesi, spetta il complito di elaborare la percezione globale e complessiva degli stimoli.
Sebbene un emisfero diventi dominante sull'altro quando svolge processi e funzioni che l'emisfero opposto non è in grado di gestire in modo altrettanto competente, è sbagliato considerare il nostro cervello come un’entità divisa in due parti. La componente “ingegnere” e la componente “poeta” sono strettamente connesse fra di loro, vivono di un continuo scambio di informazioni e mettono al servizio del cervello le rispettive specializzazioni. E poco importa che una stessa “feature” mentale possa essere di competenza di uno o dell’altro emisfero in funzione dell’obiettivo o del risultato che si vuole ottenere.
Questa breve divagazione scientifica vuole semplicemente dimostrare come sia del tutto normale prendere decisioni che appaiono illogiche e irrazionali: fa parte della nostra natura e (spesso) è anche una questione di sopravvivenza.
La crisi di impresa: un’evidenza empirica
“Diverse analisi effettuate sui bilanci di aziende entrate in crisi dimostrano che molti fallimenti potrebbero essere evitati se affrontati con due anni anticipo”. Le aziende italiane si trovano ad operare da inizio 2020 in un prolungato scenario di incertezza e il commento riportato dall’inserto Affari & Finanza del quotidiano La Repubblica (lo scorso 14 novembre) e attribuito a Unioncamere induce a un’attenta e approfondita riflessione.
Una domanda, in particolare, viene subito spontanea: se è vero che dall’analisi degli indicatori finanziari si possono anticipare i sintomi della crisi di un’azienda con 24 mesi di anticipo (questa è anche la ratio del nuovo “Codice della crisi e dell’insolvenza”) perché allora nessuno o quasi si cimenta in questa pratica virtuosa?
Se provassimo ad individuare le principali cause di una crisi d’impresa o di un’azienda avviata al fallimento attraverso un’indagine fra manager, imprenditori e addetti ai lavori le risposte più frequenti sarebbero probabilmente le seguenti:
● mercati in flessione e riduzione del fatturato;
● investimenti sbagliati;
● clienti insolventi;
● difficoltà di accesso al credito;
● limiti del sistema Paese (elevata tassazione, troppa burocrazia, ecc.);
● dissidi tra i soci.
Se fosse effettivamente cosi, sarebbe abbastanza semplice individuare preventivamente lo scoppio di una crisi attraverso l’analisi dei dati, e di conseguenza adottare velocemente gli strumenti necessari per risolverla. Ma non è così. E provo a riassumere questa affermazione attraverso il grafico che segue.
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La mia esperienza professionale mi porta quindi a conclusioni radicalmente differenti. Mi sono infatti reso conto che nella maggior parte dei casi la (vera) causa di una crisi deriva da un “errore logico” commesso dall’imprenditore o dal manager, un errore di valutazione che lo porta a prendere scelte sbagliate e irrazionali che talvolta vengono perseguite (nonostante i tentativi di persuasione di chi vive accanto all’imprenditore e cerca di fargli cambiare strada) fino al fallimento dell’azienda
In psicologia questo “errore logico” è definito “dissonanza cognitiva”, un concetto introdotto da Leon Festinger nel 1957 (e ripreso in seguito da Milton Erickson nell'ambito della psicologia clinica) per descrivere la situazione di complessa elaborazione in cui credenze, nozioni e opinioni relative a uno specifico tema si trovano in contrasto “funzionale” tra loro. Ed è, nel nostro caso specifico, la conseguenza di un “bias cognitivo”, e cioè un giudizio (o un pregiudizio) sviluppato sulla base dell'interpretazione delle informazioni in possesso che porta a un errore di valutazione o alla mancanza di oggettività nell’esprimere un giudizio, o ancora a cercare solo le informazioni relative alle opzioni prese in considerazione e a trascurare le possibili alternative.
La dissonanza cognitiva, sintetizzando i concetti di cui sopra, deriva dal conflitto mentale che un individuo subisce quando si trova di fronte all’evidenza di una sua convinzione errata. Per contenere le sensazioni spiacevoli che derivano da tale dissonanza, spesso si adottano comportamenti irrazionali, evitando per esempio di acquisire nuove informazioni o ignorando quelle che non corrispondono alla propria visione del mondo, oppure sviluppando contorte argomentazioni utili a mantenere valide le vecchie opinioni.
Questo fenomeno colpisce prevalentemente le persone più sicure di sé o comunque tutti quelli che si definiscono esperti in un determinato campo o settore e che, basandosi su modelli di analisi collaudati, si fidano ciecamente delle indicazioni di questi ultimi, trascurando le informazioni che provengono dal mondo esterno.
Molti imprenditori rientrano pienamente in questa categoria di individui per una serie di caratteristiche ricorrenti:
● sono persone sicure di sé;
● si definiscono esperti;
● operano sulla base di modelli e comportamenti consolidati che li hanno portati (in passato) ad avere successo ritenendo che quel tipo di processo sia valido anche per il futuro;
● ascoltano il loro istinto e non si fidano delle opinioni esterne;
● costruiscono spesso una storia intorno alle origini e allo sviluppo della loro azienda.
È mia opinione personale che questo atteggiamento sia da considerarsi comprensibile e non necessariamente sbagliato, proprio perché oggi decidere di fare (o di continuare a fare) l’imprenditore è una scelta (oggettivamente) irrazionale. Questo “modus operandi” conduce però a rapidi successi solo se è coerente rispetto alla realtà e al contesto competitivo in cui l’impresa opera, portando ad altrettanti veloci fallimenti se questa coerenza viene a mancare o a comprimersi ai minimi termini.
La realtà ci dice che, molto spesso, il contesto competitivo attuale - determinato e influenzato da globalizzazione, digitalizzazione, nuovi modelli relazionali e al- non è più coerente rispetto a quelli passati e presenta semmai un’oggettiva discontinuità rispetto agli schemi precedenti.
Perché la Data Science può essere un antidoto alla dissonanza cognitiva
“Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé”. E ancora: “Il nocciolo di ogni strategia? Scegliere cosa non fare”.
Queste due citazioni, la prima di Fëdor Michajlovič Dostoevskij (il grande scrittore e filosofo russo), e la seconda di Michael Porter (noto economista statunitense e direttore dell’Institute for Strategy and Competitiveness alla Harvard Business School), credo siano parecchio indicate per avvalorare il messaggio che ho iniziato a raccontare all’inizio di questo testo, introducendo il tema dei dati intesi metaforicamente come il nuovo petrolio.
La dissonanza cognitiva che prelude a possibili fallimenti va affrontata consci del fatto che, anche in un contesto aziendale, meno parametri si hanno da osservare e più si è liberi di agire secondo l’istinto. Quando qualcuno ci obbliga a fare qualcosa non in linea con le nostre idee e i nostri principi, possiamo essere disturbati e frustrati, ma non proviamo dissonanza cognitiva, perché questa si manifesta generalmente subito dopo una scelta.
Quali sono quindi gli antidoti alla dissonanza cognitiva? Credo profondamente nel “potere dell’azione”, soprattutto quando questa è focalizzata, costante e determinata. L’agire ha inoltre anche un altro vantaggio: più lo procrastiniamo e più alta è la probabilità che inizieremo a convincerci di nozioni non veritiere per limitare il disagio prodotto dalla nostra dissonanza interna. Se portiamo questo concetto in ambito aziendale, non siamo troppo lontani dalla filosofia alla base modello organizzativo Agile, che prevede l’agire e lo sbagliare velocemente per gestire il cambiamento rispetto all’obiettivo di migliorarsi a ciclo continuo.
Lo scopo specifico degli strumenti di Data Science, intelligenza artificiale in primis, è a mio avviso quello di portare informazioni e competenze per rendere meno fallibili le decisioni aziendali, creando per l’impresa e l’organizzazione un reale e tangibile "vantaggio informativo”.
Ecco quindi che il cerchio si chiude: utilizzare i dati per prendere decisioni rapide, sperimentare, commettere errori (indotti dalla dissonanza cognitiva, che non può essere eliminata) ma senza farsi troppo male ed evolvere a livello personale e di organizzazione in un ciclo continuo e infinito. La strada da intraprendere per raggiungere lo status di azienda “intelligente” è mettere in connessione algoritmi e persone rispetto a un modello che vede i dati al centro e intorno ad essi un percorso virtuoso circolare che nasce dall’azione, si consolida attraverso gli errori, porta allo sviluppo di metriche per misurare la qualità del processo di trasformazione e si conclude con la definizione di una strategia. Conn
Economista D'Impresa/Dott.Commercialista| Ambassador Finance Atena #AI| WeInvest
2 anniGeorge Bernard Shaw " Se tu hai una mela, e io una mela e ce la scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un'idea, ed io ho un'idea, e ce la scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee." Tiziano ........ Persone&Algoritmi è il risultato di Persone & Persone Non sei d'accordo?.... o meglio non siete d'accordo? ✌🌎
Marketing Director TOYOTA Material Handling Italia | Lean & Industry 4.0 | Automazione | Intralogistica & Supply Chain | Consigliere AISEM Federata Anima Confindustria | Consigliere MUDETO Museo Design Toscano
2 anniEh si Tiziano, è proprio vero, prima degli algoritmi ci sono le persone 🙂, per fortuna.