Le verità dicibili

Le verità dicibili

Oggi è l'anniversario di un giorno tragico ed una data fatale nella traiettoria della nostra democrazia.

Il tempo passa. Anni e decenni. Forse il tempo sta sfuggendo. Ma non per questo deve essere motivo per desistere nel cercare una verità storica e politica che, grazie al lavoro di pochi, tal volta sembra affiorare.

L'affaire Moro fu per noi quello che per gli Stati Uniti fu il "caso Kennedy".

Attorno allo statista democristiano vennero a convergere le attenzioni e le preoccupazioni di diverse centri di potere nazionali e non.

Come noto in quegli anni si flirtava con l'idea del compromesso storico. Un avvicinamento del PCI all'area di governo. Un appoggio dimostrato espressamente con il voto di fiducia.

Erano anni di crisi violenta e di timori che il banco democratico potesse saltare. Una base largamente maggioritaria a favore del governo poteva forse mettere al riparo l'Italia da tentazioni di soluzioni alla cilena.

Ma da più parti, spesso opposte, si riteneva che questo fidanzamento sarebbe stato meglio evitarlo. E certi avvertimenti, in quegli anni e non solo, non si ricevevano per telegramma.

Lo stesso segretario comunista Enrico Berlinguer, sostenitore anch'egli di un inedito e clamoroso avvicinamento del suo partito all'area di governo, scampò miracolosamente ad un attentato inscenato da incidente stradale durante una sua visita in Bulgaria nel 1973. La sua auto fu travolta da un camion militare e lui uscì vivo per miracolo dalla carcassa.

Noto, allo stesso modo, l'episodio in cui Aldo Moro, in visita ufficiale all'alleato americano, fu colpito da un malore a seguito di un colloquio movimentato con il Segretario di Stato Henry Kissinger, il quale, fedele al suo modo spiccio e diretto, pare arrivò a minacciare personalmente Moro se avesse continuato con la balzana idea di portare i comunisti nelle stanze del potere.

Insomma. Questo era un matrimonio che non aveva da farsi.

Il memoriale Morucci. Questo testo, redatto in maniera irrituale dall'ex brigatista dopo alcune sospette visite in carcere da uomini dei Servizi, divenne la verità ufficiale per tutti e ridà una versione edulcorata dei famigerati cinquantacinque giorni del sequestro. Ma per fortuna il tempo che passa non sempre affievolisce la tempra di chi non si accontenta di una verità consolatoria.

Troppi i conti che non tornano a leggere gli atti della Seconda Commissione Parlamentare d'Inchiesta Moro.

In primis. A via Fani, quella mattina del 16 Marzo c'erano "anche" le Brigate Rosse.

Poi l'oscuro bar Olivetti, dalle aiuole del quale, sbucarono i brigatisti vestiti da avieri. Perché, un esercizio così ben avviato e, non dimentichiamolo, frequentato da uomini dediti a loschi traffici di armi, chiuse, senza apparente motivo, pochi mesi prima dell'eccidio della scorta per poi riaprire poco tempo dopo?

La Mini Morris parcheggiata malamente in via Fani quasi a restringere la carreggiata e che certo non aiutò un eventuale tentativo di fuga, è davvero riconducibile ai Servizi come viene ventilato dalla Commissione?

È verosimile che uomini poco addestrati e armati parzialmente con pezzi vecchi scaricassero una pioggia di colpi che ridusse la macchina della scorta di Moro in una groviera, senza riuscire a non scalfire minimamente il presidente? Qualcuno nel gruppo di fuoco aveva una esperienza ed un pedigree criminale diverso dai brigatisti, che erano soliti sparare pochi colpi a bruciapelo e spesso vigliaccamente alle spalle?

È vero che era abitudine dei servizi d'ordine anticipare la colonna di macchine di Moro, per una operazione chiamata di bonifica tesa a verificare eventuali minacce, e che quel giorno questo servizio non fu attuato?

È vero che uno degli uomini della scorta del presidente fu sostituito la sera prima del 16 marzo e che quest'uomo era un compaesano di un malavitoso il quale volto compare tra la folla nelle foto scattate subito dopo la sparatoria?

Il Colonnello dei Servizi che si trovava sulla scena del massacro, non era in netto anticipo sulla tabella di marcia, se realmente si trovava nei pressi dia via Fani angolo via Stesa perché invitato ad un pranzo a mezzogiorno?

Perché le macchine utilizzate dai brigatisti vennero trovate alla spicciolata, una dopo l'altra, nei giorni seguenti, nelle vicinanze di via Fani, in luoghi già controllati dalle forze dell'ordine? C'era realmente un garage a disposizione del "partito armato" nei pressi di via Fani? Forse, come più volte ventilato, proprio in quella via Massimi, crocevia di poteri?

Lo stato di salute di Aldo Moro, la sua muscolatura non deperita, la sua igiene personale e la sua pelle leggermente abbronzata, come emerso dall'autopsia, sono compatibili con il racconto di un prigioniero chiuso in un minuscolo stanzino senza finestre per cinquantacinque giorni?

Se la sabbia ritrovata nell'abito dello stagista fu posta per depistare gli inquirenti, cosa dire della stessa sabbia, ignorata dalle versioni dei brigatisti, che parrebbe sia stata rinvenuta sugli pneumatici della tristemente famosa Renault 4 rossa, che fu la prima bara del presidente della Democrazia Cristiana?

Molti i dubbi che portano a pensare che la versione consolatoria consegnata all'opinione pubblica ed alla verità giudiziaria non combaci con la storia reale di quei maledetti giorni che misero così a dura prova i nervi di un Paese già affaticato da una decina d'anni di violenza diffusa.

Il caso Moro e il suo tragico epilogo cambiarono sicuramente per sempre la Storia del nostro Paese. Non si sa in che senso.

I più onesti sono pronti ad ammettere che era ancora in forse il voto del PCI al governo Andreotti che si presentava alle Camere quella mattina per riceverne la fiducia.

Certo si sa del decennio successivo. Del dilagare di una corruzione e di un malaffare che divenne prassi. Di un debito pubblico che cominciò a crescere a dismisura per pesare, come noto, sulle generazioni future. Sappiamo poi dello tsunami di Mani Pulite. Delle stragi che nuovamente insanguinarono il nostro Paese nel 1992 e 1993.

Non abbiamo la controprova che un allargamento democratico avrebbe in parte mitigato tutto ciò e in che modo.

Tutto quello che sappiamo è che non sappiamo tutto.

E prima che gli ultimi protagonisti di quegli anni efferati vengano a mancare uno dietro l'altra, ci uniamo a chi, più autorevolmente di chi scrive, invita ad accettare un compromesso che, a distanza di quasi cinquanta anni e di una guerra forse definitivamente conclusa, ci pare sensato ed umano.

Indulgenza contro Verità.

Andrea A.

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