Legge elettorale: si va in Aula mentre Mdp e Pisapia si lasciano

Legge elettorale: si va in Aula mentre Mdp e Pisapia si lasciano

Da domani giornate decisive per il “Rosatellum 2.0” alla Camera, tra incertezze e nuove forti polemiche. Pesano i precedenti e la questione potrebbe riaprirsi in futuro… 

Avrà inizio domattina l’iter del cosiddetto “Rosatellum 2.0” nell’Aula della Camera. Dopo il via libera, arrivato nella giornata di sabato, della Commissione Affari Costituzionali, la legge elettorale mista maggioritaria-proporzionale rilanciata dal Partito Democratico è dunque arrivata al momento della verità.

Rispetto alla versione originaria del testo, la prima Commissione di Montecitorio ha approvato non poche modifiche sotto forma di emendamenti, tra le quali spiccano l’aumento da 102 a 109 dei collegi uninominali previsti per il Senato, il dimezzamento delle firme da raccogliere per poter presentare le liste, l’introduzione di un “tagliando anti frode” da applicare alle schede elettorali e la fissazione su base regionale dell’alternanza di genere (in scala 60-40%) dei candidati. Al contrario, sono stati respinti i tentativi di prevedere la possibilità del voto disgiunto tra collegi e listini proporzionali o di impedire che persone non eleggibili vengano indicate come capi politici di una formazione (una proposta emendativa del Movimento 5 Stelle puntava infatti a “colpire” Silvio Berlusconi).

Come si diceva poc’anzi, a partire da domani finirà la fase delle schermaglie dialettiche tra i partiti e inizieranno a contare le singole scelte che verranno compiute in Assemblea. Considerato il precedente del naufragio, nel giugno scorso, della legge elettorale simil tedesca sotto i colpi dei voti segreti, sarà in primo luogo da vedere se l’intesa tra Pd, Alternativa Popolare, Forza Italia, Lega Nord e verdiniani reggerà davvero o se peseranno i calcoli e le tensioni che stanno contrassegnando questo finale di Legislatura. Senza contare, poi, che il ritorno delle coalizioni nel “Rosatellum 2.0” ha riacceso forse in modo decisivo il dibattito sull’unità del centrodestra e, soprattutto, del centrosinistra.

Difatti, dopo l’intervento di Matteo Renzi nella Direzione dem di venerdì scorso, nel quale l’ex premier ha per la prima volta espresso la volontà di costruire uno schieramento largo in vista delle prossime Politiche, è esplosa ancora una volta la divergenza tra Mdp e Giuliano Pisapia sulle strategie da seguire nei prossimi mesi. Nella giornata di ieri si è addirittura arrivati a toni da rottura finale, dopo che Roberto Speranza in un’intervista al Corriere della Sera ha chiuso la porta all’ipotesi di qualunque accordo con il Partito Democratico e evidenziato l’urgenza di procedere in tempi rapidi alla creazione di un soggetto alla sinistra di Renzi, ricevendo come risposta dall’ex sindaco di Milano un secco “buon viaggio a Speranza e al suo partitino del 3%“. Le prossime ore diranno se sarà possibile un’ennesima ricomposizione, ma in questo caso appare chiaro che il segretario e i vertici del Pd hanno saputo sfruttare al meglio le incertezze della sinistra sul grado di alternativa da offrire al renzismo.

In questa settimana si vedrà se il Parlamento saprà dare un primo colpo di coda per evitare l’onta di non riuscire a sciogliere un nodo fondamentale come le regole per il suo rinnovo. In ogni caso, anche se il tentativo in corso dovesse avere successo (in caso contrario, o interverrà la Corte Costituzionale o gli elettori torneranno al voto con due leggi diverse per Camera e Senato) va evidenziato che il “Rosatellum 2.0” presenta dei vizi politici di non poco conto. Arrivando a ridosso dello scioglimento delle Camere, è inevitabile il sospetto che dietro i contenuti della riforma vi siano le convenienze dei partiti che la sostengono e la volontà di penalizzare il comune avversario (si pensi al rifiuto delle coalizioni da parte dell’M5S), ma soprattutto il suo essere un sistema ibrido tra proporzionale e maggioritario tradisce il corto respiro dell’operazione, che pare più rispondere all’esigenza di colmare un vuoto normativo che a quella di dare al Paese una legge in grado, come avviene nei principali Paesi europei, di durare nel tempo. Non va infatti dimenticato che siamo di fronte alla possibile approvazione del quinto sistema elettorale dal 1948 a oggi, e non è detto che i deputati e i senatori della prossima Legislatura non saranno chiamati a mettere di nuovo mano alla questione.

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