Like a Rolling Social Fail?
Mentre leggiamo le note d’agenzia che riportano le parole di Luciano Bernardini de Pace, editore di Rolling Stone Italia, il quale conferma l’importanza strategica del digital e l’impegno su diversi canali social come Facebook e Twitter, ecco che c’imbattiamo nell’ennesimo post sulla pagina Facebook dove la rivista viene travolta dai commenti negativi degli affezionati lettori.
Se dunque da una parte si può felicemente constatare l’utilizzo up-to-date del digital, in particolare del canale Twitter, come ad esempio la serie d’interviste in diretta Periscope, o il successo del format "@DivanoRolling", dall’altra non si può fare a meno di soffermarsi a riflettere sulla gestione di altri canali come Facebook.
I commenti a cui mi riferisco non esprimono soltanto disapprovazione e malcontento. Sono delle vere e proprie stroncature accompagnate da intenzioni di divorzio, sia dalla pagina FB che dalla rivista.
Il post incriminato, uno dei tanti, è quello dell’intervista fatta a Nicki Minaj, “superdiva hip hop”, esibitasi l’8 luglio a Milano. Per l’occasione la redazione rispolvera l’intervista apparsa sul numero cartaceo di Marzo dove la cantante si lascia andare a sofisticate auto-analisi, come quella in cui ammette orgogliosamente di essere “una fottuta culona”.
La diatriba non è legata semplicemente a questo post ma nasce dal riposizionamento della rivista attuato negli ultimi tempi di cui danno testimonianza due commenti al post suddetto:
E fu così che tolsi il mi piace. E io che pensavo che Rolling Stones fosse una rivista seria e alternativa.
Io ste critiche non le capisco sinceramente.. Rolling Stones è un giornale che parla di musica a 360 gradi
Ecco. Passato e presente che si scontrano. Da un parte la rivista “seria e alternativa”, dedicata principalmente a tutto quello che è “rock” (o forse semplicemente buona musica?), dall’altra il nuovo corso della rivista, non più solo musica ma anche lifestyle, non più solamente rock ma anche pop e dintorni. Ossia tutto, forse troppo.
Insomma a monte viene contestata la deriva “commerciale” che poi si riversa anche nei contenuti social.
Tale deriva, a guardare meglio, riguarda solo alcuni aspetti, il più critico dei quali è certamente la scelta del pezzo di copertina (e il personaggio musicale annesso). Ancora una volta i commenti ci aiutano, questa volta attingendo dal post dedicato alla copertina di Jovanotti, un altro caso che ha generato parecchie contestazioni:
Il taglio della rivista è sempre stato questo, dalla notte dei tempi. James (un altro commentatore ndr), ti do una notizia: la copertina serve (principalmente) per vendere. Dentro il giornale trovi i contenuti.
E infatti i contenuti ci sono (quelli legati alla musica “vera” e meno ai personaggi di richiamo). La cover e il relativo articolo servirebbero principalmente a conquistare un target più allargato e a costruire l’immagine di un magazine più “pop”.
Però, come ha ben detto Jay Baer “social media doesn’t create negativity, it uncovers it”. E allora vien da chiedersi, perché proporre su FB proprio quei contenuti che stanno generando così tanti mal di pancia e addii da parte dei lettori abitudinari? Perché non condividere contenuti che appagherebbero lo zoccolo duro di lettori dimostrando così anche la propria riconoscenza a chi ti è stato sempre fedele? Perchè non provare almeno a differenziare le audience nel momento in cui si sceglie di condividere un post su FB?
Oltretutto non sembra che i “nuovi” lettori, quelli conquistati con il nuovo corso editoriale, stiano dando battaglia sulla pagina Facebook di RS per difendere la “loro” rivista. Non troverete commenti di persone che si scagliano a favore di RS per aver pubblicato un contenuto riguardante Nicki Minaj, Jovanotti o Fedez (altro casus belli).
Dando una veloce scorsa agli analytics della pagina nelle ultime due settimane, si può constatare come quasi la metà dei commenti con più like è costituita da giudizi negativi sulla tipologia di contenuto condiviso da RS.
Contestualmente, i post con più alto rate di total engagement sono stati quelli che riguardavano argomenti in linea con la “vecchia” linea editoriale (solo per citarne alcuni: The Doors, Dave Grohl, Iggy Pop, David Bowie, Kurt Cobain) oppure temi di cultura pop o di attualità che però non riguardavano l’ambito musicale (il sequel di Top Gun, l’approvazione della legge sui matrimoni gay in America, ecc…).
Perché dunque iniettare del veleno in una community? Allargare la fan base sembra essere l’unico obiettivo plausibile. Ma oggigiorno ha ancora senso limitarsi a questo kpi e non curarsi delle conversazioni che poi si generano?
Già perché in tutto questo la politica di gestione dei commenti negativi adottata da RS sembra essere quella di non rispondere. “Haters gonna hate”, ignoriamo chi ci contesta, qualcuno avrà pensato.
Il problema è che quelli che ti contestano non sono hater, anzi, sono i tuoi veri Lover. Ed è ignorandoli che li trasformi in hater.
Let’s discuss.
Pietromaria
#lacommunityringrazia
International Sales Manager SENDO CONCEPT | EMBA
9 anniPur condividendo a pieno quello che tu scrivi, provo a ribaltare il problema da un altro punto di vista: se siamo d'accordo che in Italia non ci sia più bisogno di RS come rivista, forse c'è ancora bisogno del brand RS? Per come la vedo io RS è nata in un periodo e in una nazione, l'America, dove rappresentava essenzialmente una nicchia ben riconoscibile di persone e allo stesso tempo uno stile di vita molto chiaro: da qui nasce la storia e la leggenda della rivista. Oggi non mi sembra che si possa fare più questo discorso: le nicchie non esistono più (o se esistono durano il tempo di una stagione) e dunque la rivista tende ad aprirsi, secondo me giustamente, a tutto ciò che fa/riguarda/è musica in Italia, senza per forza essere solo R&R puro. Ecco che allora parte la polemica dei vari fans "della prima ora" delusi perchè in copertina non ci sono più Janis Joplin o Jimi Hendrix ogni mese e dall'altra parte invece ci sono i fans che apprezzano i contenuti perchè colgono l'originalità di alcune iniziative editoriali e se ne fregano del "tradimento" degli antichi valori. Il mondo in cui è nata la rivista non esiste più ma forse c'è ancora posto per il marchio RS?
Brand and Communication Strategist
9 anniIgor, grazie del commento, sicuramente oggigiorno il web offre moltissimi spunti soprattutto provenienti dalla coda lunga (vedasi Netlabelism Magazine ad esempio) che non possono essere ricoperti dalla stampa mainstream. Non credo che sia un problema esclusivamente di RSItalia, piuttosto è una situazione che riguarda tutta l'editoria e più in generale i media tradizionali al confronto con le nuove logiche dell'informazione. Saluti
Account Manager & Communication Specialist
9 anniSecondo me non c'è molto da discutere. Le osservazioni ed i dubbi che esprimi dal punto di vista comunicativo, Pietromaria, sono assolutamente condivisibili. Provando a non risultare troppo prolisso, però, mi chiedo se una rivista come Rolling Stone abbia davvero cambiato linea editoriale nel tempo. Da grande appassionato di musica (nonché redattore di interviste e recensioni in passato), mi ricordo di avere comprato il primo numero in salsa tricolore, anche perché campeggiava in copertina il mitico Jimi Hendrix. Beh, dopo avere sfogliato le pagine di quell'esordio ed essermi imbattuto in ben 7/8 annunci pubblicitari prima dello scialbo editoriale, seguito poi da numerosi pubbliredazionali di prodotti che potremmo ascrivere alla sfera del rocker di "tendenza" (quello che ha conosciuto gli AC/DC solo negli ultimi anni e che si precipita al concerto di Imola perché è un evento "cool", oppure che ignora i primi 4 capolavori dei Metallica perché non si è mai degnato di scovare le radici di una band dopo averla scoperta grazie alle hit planetarie...potrei andare avanti con altri mille esempi, ma penso di avere reso l'idea), mi pareva evidente la linea editoriale...quella che punta ai grandi numeri, agli artisti di tendenza, senza discettare troppo sulla buona musica. Un discorso analogo, IMHO, si potrebbe tranquillamente fare per MTV. Ma non voglio rubare altro tempo. Per concludere il mio intervento aggiungo solo che, in un'era dove si possono facilmente reperire, grazie al web, articoli e retrospettive di grandi conoscitori/divulgatori del rock (dagli albori ad oggi), un magazine come Rolling Stone si può sintetizzare in un'unica parola: superfluo!