"L'INFANZIA NEGATA"
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Aquilinus s’infilò in uno di quegli stretti itinera, più impraticabile che mai, con la pioggia, girando e rigirando i sassi nelle piccole mani arrossate dal freddo: un mese assai freddo e piovoso, il giugno di quell’anno.
Non voleva darlo a vedere, ma in realtà quell’episodio lo aveva irritato e reso aggressivo.
“E’’ dolce la stagione della raccolta…” continuava a cantare, in un crescendo sempre più elevato, fino a squarciagola. Svoltato l’angolo si fermò, per consentire, forse, a un’improvvisa idea di farsi avanti nel cervello, poi tornò indietro. Estrasse la fionda da sotto la tunica, vi infilò un sasso e mise a punto un tiro che centrò in pieno Brutus il barbiere, tornato al suo cliente ancora seduto sull’uscio della bottega.
“Prendi, sfilapidocchi!” urlò, dandosi a fuga precipitosa.
“Piccola peste! Se ti prendo…” urlò quello lasciando il posto di lavoro; quando sbucò sulla strada, però, di Aquilinus non c’era traccia. Si guardò intorno: era impossibile scomparire a quel modo su un piazzale aperto su cui si affacciavano solo Templi, Palazzi e grandi statue. C’erano l’immenso vestibolo della Domus Aurea, la Meta Sudans e la statua di Nerone, un colosso di bronzo alto più di trentacinque metri, opera dello scultore Zenodoro.
“Ma dove è finito? - sempre più furente, le mani che gli prudevano, il barbiere si fermò ai piedi del grande pilastro che reggeva la colossale statua. - Dove è finito quella disgrazia del genere umano?... Non può essere svanito nel nulla...”
Se solo fosse riuscito a disciplinare un pò meglio le proprie emozioni, l’irascibile barbiere avrebbe, forse, udito un respiro affannoso proprio sopra la sua testa, provenire dall’interno del colosso: Aquilinus era rannicchiato lassù.
Il barbiere continuò ancora a guardarsi intorno; alzò perfino gli occhi sul colosso, poi si girò per tornare indietro.
Quel monumento grandioso, espressione della perfezione tecnica e della purezza lineare, improntato a una maestosità quasi divina, raffigurava Nerone nelle vesti di Apollo. Altissima, superba e stagliata contro il cielo, quella statua, nell’aspirazione dell’artista e del modello, ambiva eguagliare il colosso di Rodi. E forse qualche somiglianza l’aveva perfino con quella meraviglia dell’estro umano, ma il popolo la degnava appena di qualche sguardo distratto e qualcuno, nell’euforia dell’avvento di un nuovo assetto sociale, già ne auspicava l’abbattimento.
Anche lo sguardo del barbiere la sfiorò appena, prima di decidersi a tornare alla bottega, sempre imprecando, tra un brivido e l’altro. Aveva ripreso a piovere e faceva freddo.
Quel colosso, o più esattamente, il possente torace, era diventata la nuova tana di Aquilinus. L’aveva scoperta quasi per caso e subito adottata. C’era un’apertura sul retro del polpaccio della gamba sinistra: stretta e bassa, ma sufficiente a farvi passare un uomo. Aveva visto un giorno un operaio infilarvisi e scomparire al suo interno e da quel momento, quel simbolo di potere e grandezza imperiale, era diventato la sua nuova “casa”.
Inaspettata utilità della megalomania di un Cesare!
Ne aveva tante altre di tane sparse per la città. Tutte sotterranee, in fornici, cloache e cisterne, ma quella, che si elevava verso il cielo, lo appagava ed inorgogliva più di ogni altra.
Per il piccolo derelitto quella non era solamente una casa, non era solo il posto ove riporre refurtiva, ripararsi dal freddo, mangiare, dormire e non era neppure il luogo dove smaltire malinconie, sbronze occasionali e qualche lacrimuccia traditrice: quella era la rivincita contro la società che lo aveva ripudiato. Era la conquista. Era l’occupazione: scacciato ed emarginato, rifiutato e allontanato, egli si appropriava della cosa pubblica.
A Cesare, quell’ammasso armonioso di travi e legno ricoperto da lastroni di bronzo, serviva per realizzare un’idea di grandiosità e immortalità, per il piccolo rifiuto della società era un rifugio contro il freddo, il fango, la neve, la pioggia, la notte, la gente!
“Per le Sacre Bevute di Bacco! - esclamò sentendo allontanarsi i passi del suo occasionale nemico - Ho temuto proprio che quell’impiccione scoprisse il mio rifugio. Ah!.. non è facile seguire le tracce di Aquilinus! Brutto cane rognoso di un cavapidocchi!..”
Un lungo sospiro, poi il ragazzo si mosse. Si arrampicò su per la scala a chiocciola che dall’interno della gamba portava fino al bacino dell’immensa statua. Qualcosa, però, ad ogni gradino che saliva, forse quel sesto senso, il senso della sopravvivenza, così sviluppato in ogni naufrago della vita, lo avvertì di non essere solo, là dentro. Lo mise in guardia.
Qualcuno aveva scoperto il suo segreto: qualcuno, di sopra, che aveva preso a tossire e che respirava così affannosamente da sembrare l’ansimare di un animale ferito.
Si compiacque con se stesso per aver conservato uno dei sassi e continuò a salire. Lentamente e con circospezione, ma decisamente.(continua)
brano tratto da "LA DECIMA LEGIONE" vol. II
scontato e con dedica personalizzata a chi ne fa richiesta
"L'OTTAGONO" Engineering Consulting (Renewable/Conventional Energies Power Plants)
5 anniLibro stupendo, ho richiesto tutti e 3 i volumi e li ho ricevuti con grande gioia e soddisfazione! Grazie anche per la dedica, Maria!
GLOBAL GOODWILL AMBASSADOR ALMA MATER UNI SUSSEX UNI SIENA LEWES COLLEGE BERLITZ. ERASMUS GENERATION , WS INSTITUTE
5 annieccellente narrazione