(L)ODE ALLA TROIKA

(L)ODE ALLA TROIKA

Si è atteso lo spirare del 2018 per vedere l’esito dello spettacolo avutosi a livello (inter)nazionale rispetto la legge di "bilancio". Non si esprimeranno giudizi specifici se non l’augurio che, la prossima generazione governante, possa rappresentare una nuova classe dirigente italiana a tutto tondo: focalizzata, istruita, capace, degna ed onesta. Europea.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

La citazione (putativa) degasperiana de «Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione» dovrà infatti fungere da stella polare delle esigenze del Paese ad affrontare il quanto più impellente, grande, gigantesco (infinito?) tema del debito (sovrano).

In questi anni (decenni!) se n’è sentite di ogni al fine di affrontare e rendere sostenibile il suo ammontare pel nostro Stato. Tra gli altri menzionando en passant l’“invito” del sottosegretario alle infrastrutture Armando Siri (di optare per un “buy-back” dei titoli di debito pubblico italiano attraverso i quattromila miliardi di euro in risparmio privato), trovando poca credibilità se non susseguito da massive azioni spontanee o "spintanee" dei risparmiatori e, in quest’ultimo caso potrebbe pericolosamente suonare a proposta protosocialista sudamericana, più che da Stato democratico-sociale, liberale e di diritto. Alcune recenti sofisticate soluzioni di interrelazione tra ricchezza privata e debito pubblico nonché modo di coinvolgimento sono pervenute ad opera di Ruggero Magnoni, quale sottoposizione dei PIR(P) o della Moneta Fiscale (Biagio Bossone et alii). Soluzioni strumentali che potrebbe disvelarsi come cartucce (nella peggiore delle ipotesi a salve; nella migliore per armi corte) da spararsi nel medio periodo ancorché, presumo, nient’affatto, nonostante tutto, panacee degli atavici e profondi mali del Bel paese. Per quest’ultimo punto preme urgentemente sottolineare: anche e specificatamente quanto, tra gli altri, precipuamente menzionano Phil Cuneo, Tortuga e molto più duramente Franco Debenedetti. Più di tutti, però, merita quivi di essere celebrato il maestro e vero punto cardine della cultura rigorista nostrana nel tenere a bada il deficit nonché più serio economista italiano internazionale abbracciante la filosofia conservativa, Carlo Cottarelli (pure la realtà femminile ha la sua eccellente rappresentante, di medesima matrice, con Veronica De Romanis).

Il problema del debito pubblico è sistematico tanto da essere endemico (e pindaricamente: neppure considerando quant’è solo quello italiano bensì mondiale), quindi assolutamente non risolvibile con trovate più o meno scientificamente geniali (e gli italiani in ciò sono maestri!) bensì con la seria perseveranza dell’austera costanza.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine


Il direttore di Business Insider (Italia), Giovanni Pons, scriveva che «Il problema [di una certa classe dirigente] è che continua ad invadere il dibattito pubblico con proposte non ponderate, destinate ad acchiappare il consenso momentaneo della gente ma senza basi concrete per la loro realizzazione.» Proprio per questo risulta necessario tornare nel seno del senno. E l’illuminata ragione con la teoria corroborata dai fatti, dimostra come non esistano scorciatoie al rientro dell’esplosione del debito statale, se non con: tagli. Tagli. Tagli.

Portogallo, Irlanda, Spagna, Cipro e Grecia sono cinque esempi di estrema diversità concettuale e/o applicativa di rigore ma con minimo comune denominatore di successo unanime. In alcuni casi la cura fu draconiana, al limite del tangere la prerogativa sovrana di un’entità statuale (Grecia), finanche brutale: ma vitale.

Proprio le condizioni di partenza ed arrivo delle Nazioni suddette dimostrano come il ritorno ad un debito sostenibile, prima esploso, da una base inizialmente modesta rappresenti un airbag a tutto quanto sta di contorno (rispetto la situazione globale); accade (sfiducia; speculazione e timore) e si sta operando (tipologia di politica di spesa governativamente intrapresa).

Persino il considerevolmente cospicuo rapporto percentuale debito-PIL portoghese, con la sua primavera finanziariamente inaugurata, esemplifica, pragmaticamente, i successi della parsimonia. Per non dire della Grecia: che ebbe a conseguire il falso in bilancio statuale più rilevante della Storia postcontemporanea nei riverberi consequenziali della crisi finanziario-economica statunitense del 2007-2008. Non fossero stati governanti, ma privati: sarebbero finiti tutti in galera a seguito di un giusto processo penale.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Si è pertanto intimamente convinti che non si sia colto, con la retorica antieuropea e contra-austerità, della mastodontica e salvifica operazione conseguita a livello eurocratico: la non bancarotta di uno Stato occidentale che falsificò per decine di miliardi di euro, in anni, i propri bilanci; nel mezzo della crisi terrestre più importante dalla Seconda guerra mondiale; fornendo, l’Europa, l’esempio a tutti gli altri Paesi adottanti la moneta unica dell’operatività europea a 28 o 19 membri, attraverso le Istituzioni eurounioniste (Banca centrale europea), nuove (Meccanismo europeo di stabilità) e mondiali (Fondo Monetario Internazionale) nonché colla partnership di investitori privati (hair-cut). Scongiurando scenari, nella migliore delle ipotesi, argentini o, ben peggio, venezuelani. Ovviamente pretendendo rigoroso rigorismo in tempistiche urgentemente emergenziali (la Troika fu il combinato disposto di Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale che prese parte al controllo ed al salvataggio di quei paesi dell'Unione europea che ne fecero richiesta).

La Grecia sta meglio di nove anni fa semplicemente perché, allora, era destinata al collasso. Ora no, o perlomeno con prospettive finanziarie che le permetteranno, se sarà seria, di poter riagganciarsi alla postmodernità. Brillantemente l’allora presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, disse che la solidarietà «ha anche degli obblighi, non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto.» Soltanto recentemente intervistato tradirà il rammarico di aver chiesto troppo in così poco tempo, alla Grecia. Lacrime di coccodrillo? No: più semplicemente è l’appannamento del ricordo rispetto i nitidi fatti del passato per cui si doveva conseguire una dura, inflessibile e necessaria condotta al singolo per non disgregare il tutto. La Grecia non è un successo per non essere stata espulsa o fuoriuscita autonomamente dall’euro a dispetto del 3% di suo PIL a livello continentale che valeva. Essa lo è per tutto quello che l’Unione europea non ha fatto capitare proprio non pompando illimitatamente, irragionevolmente e inefficacemente centinaia di miliardi nelle casse elleniche. Perché poi sarebbe toccato ad un altro, quindi il prossimo, sino ad avvitare il sistema ad un moral hazard inusitato e fatale. Ed all’opposto e parallelamente alimentando il vero malcontento nordeuropeo sulle presunte ragioni mediterranee nel contesto comune. Sovente si ode la Grecia ad esempio del medico annunciante la riuscita operazione ma col decesso del paziente. Retorica errata e subdola: la Repubblica Ellenica è ancora lì con prospettive di crescita, sufficiente sostenibilità nel medio periodo ed un apparato burocratico-complessivo migliore di dieci anni or sono. Certamente con l’epidermide escoriata e finanche la carne viva incisa ma, attenzione, non gli organi che le permetteranno di poter non dico neanche sopravvivere, ma vivere. Il paziente è qui, da poco neanche più sedato (ritorno sul mercato) cui ora necessiterà di essere lungamente monitorato, sorvegliato e, perché, no, forse persino nuovamente curato. Eppur vive: la Grecia si è (ri)alzata e sta camminando.

Il debito non è, in generale, il male: ma se finalizzato a qualcosa di produttivo e sostenibile. Investimento, produttività, (s)lancio: è razionale avere debiti, ma sono onerosi. Non possono essere accesi a pioggia e neanche spesi senza ritorni. Ritorni anche materiali. Bisogna dirlo senza vergogna: il debito, poderoso com’è nel mondo, sarà il male del XXI secolo.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

L’allora presidente della Repubblica popolare cinese, Hu Jintao, acquistò grandissime percentuali del debito federale statunitense. Perché? In quanto da allora in poi, al tavolo delle decisioni, quelle che contano, ci sarebbe sempre stata (anche) lei, la Cina (a cui Donald Trump è molto più legato di quanto non si voglia far vedere). Il debito se piazzato è ambivalente: da una parte ricchezza (futura) per chi lo compra ma finanche credibilità agli occhi del mondo per la ritenuta affidabilità del venditore (nonché sua possibilità di spesa immediata). Il problema è che l’Italia ha uno dei più elevati debiti pubblici ma non è l'altrettanta economia e potenza globale. «Il nostro non è per nulla il Paese della finanza allegra», diceva il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria. Ma sta tornando ad esserlo. Inoltre, se si è fortunosamente scampati all’ignominia dell’esercizio provvisorio di bilancio, lo si è fatto incappando, se possibile, in cosa peggiore: arrivando allo scontro frontale con Bruxelles riparato in extremis e conducendo ad un (potenziale) vulnus costituzionale sbocciante in conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, giusto in calcio d’angolo salvato una tantum dalla Corte costituzionale. Nell’amara consapevolezza di bruciarsi le fiche ottenute dalla fiscale, ancorché temporanea, parsimonia del triennio italiano del 2011-2013.

Si dice di come vi sia bisogno di «proposte nuove» (per estinguere il debito), ma, ammesso che l'austerità sia cosa vecchia: l'inedito non sempre è meglio dello status quo. Quanto più per una sana finanza.

Il deficit per estinguere il debito è un po' come l'artificio impiegato pei pozzi petroliferi in fiamme: produrre una detonazione più grossa dell'incendio medesimo così da spegnerlo, ma qui, con un debito pubblico di più di duemila miliardi (ben oltre il 130% del PIL) c'è il rischio che la detonazione stessa fagociti la casa. Che in questa circostanza è nientemeno che la beneamata madre patria Italia.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

L’allentamento quantitativo (by Super Mario Draghi) è giunto al termine, il prossimo presidente della Banca centrale europea verosimilmente sarà un falco (qualcuno ha detto Jens Weidmann?), i tassi d'interesse sul dollaro in rialzo e aleggia la prospettiva di (hard?) Brexit imminente.

Ma qualsiasi cosa accadrà sarà responsabilità nostra.

Non esiste alcun glorioso passato italiano cui poter o dover tornare: figurarsi quello della (de)lira e dei "magnifici anni Sessanta" in cui lo Stivale era la Cina industrial-produttiva d'Occidente ed il mondo, da allora, è cambiato più di quanto non sia successo dall'epoca Romana sin quell’istante. Anche perché: dovessimo riecheggiare il passato, non si capisce perché accontentarsi di quella realtà anziché quell’altra, un tantino più pomposa, dell'Impero (mondiale).

Rispetto la vulgata di anni or sono, s'è capito di come e quanto, ancora oggi, un'economia prestante non sia affatto, sola, basata sui servizi (che in particolare in Italia sarebbe turismo e non finanza) ma da un'economia di post-produzione il che vuol non vuole dire post-produttiva: semplicemente, ora, il valore aggiunto sta in particolare prima (ideazione e progettazione) e dopo (implementazione), rispetto la costruzione (meglio: assemblaggio). Ma ora, anche quest'ultima componente sta acquisendo nuovo rilievo grazie la sofisticata robotizzazione, intelligenza artificiale e stampanti 3D (si è già intravisto, infatti, il fenomeno di de-delocalizzazione).

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Non esiste artifizio finanziario che possa (ri)sollevare le sorti nostrane se non il pedissequo applicarsi in rigida politica di spesa (che non vuol dire miope) e tandem economico (produzione e servizi, quanto più 4.0). La produttività è rimasta la medesima nel tempo per gli ultimi due decenni, ma in una realtà che corre: è come tornare indietro. L'Italia, pertanto, parimenti ad una rigida dieta finanziaria deve non farsi sfuggire quel che già oggi si sono disvelati come i prodromi della Quarta rivoluzione industriale. Se non da player protagonista, almeno come fruitore produttivo dei suoi frutti: senza scomodare la Silicon Valley, la Norvegia è tale non solo per le sue inusitate risorse petrolifere (di contrappasso infatti c’è il Venezuela) ma per le proprie innovative startup. Israele detiene la palma del primato tecnologico mondiale, non solo per la maestosa possanza del suo esercito ma per una cultura cosmopolita, floreale, effervescentemente innovativo-digitale. Molto del PIL reale italiano dipende dal, variamente inteso, settore pubblico (60%). Quel che davvero manca all’Italia è la componente privata (per quanto si sia una potenza manifatturiera tra le più performanti al mondo; ancorché la produttività stenti).

Si può anche concordare di come, teoricamente, più spesa pubblica comporti più PIL: proprio per questo, però, è meglio stringere le cinghia, ora, per prepararsi al davvero peggio che addiverrà (prevedibilmente o meno; prima o dopo).

La verità è che il debito pubblico italiano non è un problema (tra l’altro: il più alto del mondo fra quelli espressi in una valuta non controllata dallo Stato stesso), è una condizione patologica che necessita, ora (!), di cure: è il problema.

Ciclicamente si tornerà a parlare di questo ̶t̶e̶m̶a̶ problema. È necessario abbatterlo con la ricetta che certamente è la più saggia, sicura, vera e seria: i tagli. Di una spesa pubblica che, per essere incisivamente ridotta, bisogna avere l’onestà di dirlo: inciderà anche sulla carne proprio del welfare. Le privatizzazioni, infatti, per quanto possano essere efficienti ed auspicate e, se ben fatte, redditizie: non rappresentano che poche decine di miliardi neanche in grado, per dire, di “colmare”, il fabbisogno di debito di un intero anno italiano (saranno 400, i miliardi collocati nel 2019).

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Ovvietà: fosse una società privata, l’Italia, col debito che ha e per come lo si vorrebbe allocato, si sarebbe detto: avrebbe già portato i libri in Tribunale. Essa però è un’entità statuale: quindi gode di ovvie eccezioni che le permettono, da decenni, seppur tra non poche traversie (nell’ultimo quarto di secolo: 1992-1993 e 2011-2012) di barcamenarsi nello scacchiere mondiale. La Penisola assieme ad un gruppetto di altre diciotto nazioni, inoltre, si avvale di una moneta che non può direttamente controllare, quindi la specialità è ancora più accentuata (e no: non è vero che creando moneta illimitatamente vi sarebbe la soluzione a tutti i mali, il Venezuela è l’attualissimo esempio più lampante al mondo a testimoniare l’esatto contrario).

Si diffidi della vulgata per cui il debito pubblico assoluto e (quanto più) percentuale del Paese non interessi a nessuno o sia un finto (falso?) problema. Perché così è, forse, nei periodi buoni ma la prospettiva statuale deve essere lunghissima. Nonché previsionalmente prepararsi ai momenti di (vera) crisi, finanche poi per dover spendere: se ho l'acqua alla gola ma è bel tempo, infatti, magari a pochi interessa; se inizia a gocciare, qualcuno potrebbe alzare il sopracciglio; in caso di tempesta, l’annegamento è certo. 

Il debito non è in generale ed in tutti i casi il Moloch, ma un debito storico eccesivo, quanto più per spesa corrente, è follia. Il XX è stato il secolo dell’inflazione (come opportunità-pericolo); il XXI secolo sarà quello del debito (pubblico e privato).

La brutta notizia è che l'austerità è la via. La buona? Funziona.

Perseguiamola in autonomia, finché s'è in tempo e non arrivi a via Venti Settembre un alto funzionario da Francoforte. O si finisca a carte quarantotto.

È esattamente quel che ha fatto la Germania quando, in piena crisi finanziario-mondiale, ha salvato pubblicamente le sue banche (ancora era legittimo), incrementando improvvisamente il proprio debito pubblico, per poi rimettersi precipitosamente in rigore finanziario conseguendo risultati unici nel globo (riduzione del debito; surplus di bilancio e, addirittura, nonostante tutto, sgravio fiscale): già preparandosi al prossimo venturo, (in)aspettato, tsunami.

È vero, gli italiani sono ricchi. Attenzione, però, a come lo si “vende” nel contesto interpretativo del consesso politico internazionale operando il vero ma pericoloso giochino aritmetico per cui la ricchezza privata italiana superi del doppio il debito pubblico nazionale. Perché il governo che fece più di tutti discorsi simili al Consiglio europeo portò i nordeuropei ad operare considerazioni in perifrasi giustamente agghiaccianti, ossia: ma se così è (e così è), allora, perché desiderate la condivisione del debito pubblico a livello continental-europeo e non trovate, invece, una soluzione interna (in soldoni: aspirare la ricchezza privata italiana per arginare il debito pubblico)?

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Infine, con l’apertura di questo nuovo anno, di chiusura del decennio Dieci del XXI secolo nel III millennio, farò vanto personale di ringraziare l’italiana più vituperata di questa decade, colei che, da sola, si prese le colpe di una riforma salvifica dell’Italia intera: la Chiar.ma Prof.ssa Elsa Fornero che fece in una notte quel che avrebbe richiesto centinaia di ore di studio, scrittura, analisi e ponderazioni (dovendo gli effetti spalmarsi sui successivi decenni ma, ma chi si ricorda la Lega Nord, nella persona dell’allora leader, Umberto Bossi, nel luglio 2011 scongiurare ciascuno e tutti i ritocchi pensionistici che pur erano, già da tempo, evidentemente necessari?).

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Prof.ssa Fornero, sappia che c’è forse non una maggioranza, magari anche (in)giustamente silenziosa, che la tributa. Tanto i padri quanto più i figli, questi ultimi cui anche il sottoscritto appartiene: di quell’Italia europea, seria e patriottica che riconosce l’inusitata opera, per quanto drastica, da lei principiata. Perché la Storia, colla s maiuscola, è data dalle minoranze consapevoli, illuminate ed organizzate che vincendo l’insipienza e l’inerzia delle maggioranze paralitiche e disorganizzate portano il mondo verso un nuovo o vecchio ordine. Lo teorizzò nientemeno che Gaetano Salvemini qual maestro di democrazia cui era.

Peso specifico. #AvantiTutta.

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate