Massimo Troisi e le generazioni a confronto
Massimo Troisi

Massimo Troisi e le generazioni a confronto

“Eppure un sorriso l'ho regalato” scrive Massimo Troisi nei suoi diari, pagine scoperte grazie al film di Mario Martone che porta sul grande schermo i spezzoni del cinema di Troisi con Laggiù qualcuno mi ama, uscito nel 2023 come lettera d’amore ad un grande autore napoletano. L’attore comincia nel 1981 a scrivere e a fare cinema dopo tanto teatro off a San Giorgio a Cremano, interpretando il ruolo di un ragazzo impacciato, che si mette “scuorno” (vergogna) dei propri sentimenti, un po’ fanfarone, ma modesto quanto maldestro. L'attore della Smorfia rappresenta quella generazioni di uomini che sotto sotto temono le donne forti, ma ne sono altrettanto attratti e ammirano senza mostrare di ammirare, comunicando a stento e con difficoltà le proprie emozioni. Massimo Troisi disegna con l'arte del cinema l’intera generazione italiana dei genitori dei millennials, i boomers per intenderci, che sono cresciuti conoscendo Troisi facendo la fila per prendere il biglietto al cinema. Al contrario, i figli dei nati negli anni ‘60 oggi restano affezionati a quel mondo diversamente napoletano di Troisi visto in tv, che accomuna tutti ed è fuori da ogni cliché. Sì, perché Troisi me lo ricordo sul divano della cucina con mio padre che guardava ancora per la millesima volta i suoi film e rideva ancora delle stesse battute. E io ridevo con lui. Ma alle battute di Troisi non si risponde con una risata normale, no. La risata è diversa da quella che ti fa fare un attore napoletano. "L'attore napoletano è eccessivo in tutto, esagera e a volte forzatamente”, dice Troisi a Ettore Scola, rivelando di aver voluto togliere di proposito il Vesuvio dallo sfondo dell’ultima scena del film Pensavo fosse amore...invece era un calesse. Delle sue battute ridi perché ti vedi interpretato, lì come un anti- eroe fallibile, imbarazzato dalle proprie mancanze, confuso e impedito. Ridi del tuo lato umano scoperto, messo a nudo e colto dall’imprevisto. “Non ha senso dire tutte le cose, se uno capisce capisce”, risponde Vincenzo (Troisi) alla domanda di Anna (Giuliana De Sio): Perché non me lo dici se ti piace? (nel film Scusate il ritardo).

Ecco, noi ragazzi negli anni ‘90 siamo cresciuti con il non detto, il taciuto, il silenzio rimproverante, con la comunicazione non verbale degli occhi incrociati di tua madre che ti fulminano e le sopracciglia ingrugnate dallo sguardo fisso di tuo padre sulla tua nuca abbassata.

Lì, in quel momento c’è il muro da non oltrepassare, il limite tra le generazioni a confronto che non usavano le parole per comprendersi meglio. E allora ci pensa Massimo a farfugliare e a farci capire che non era colpa di nessuno se il dialogo non veniva considerato importante… “Se uno capisce, capisce”.


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