#removie "I mostri: molti vizi e nessuna virtù dell'Italia non solo com’era”
20 folgoranti episodi per raccontare, prevedere, stigmatizzare, “sfottere” ma non troppo l’Italia degli anni Sessanta. È “I mostri” film del 1963 di Dino Risi, regista e sceneggiatore della pellicola con la premiata ditta Age & Scarpelli, il sagace Ettore Scola e Ruggero Maccari.
Con una lucidità quasi documentaristica, chissà forse eredità della sua formazione di medico, Risi mette in scena i molti vizi di una società, quella italiana, negli anni del boom economico.
Ne “I mostri” Risi è impietoso, risolve a suo modo, facendosene beffe, l’equazione di sapore cattolico poveri/brava gente, ricchi/ipocriti e truffatori. Nessuno si salva dall’inganno, dal cinismo, dalla doppiezza.
In “Che vitaccia!” Gassman è un baraccato romano disperato perché non può pagare il medico per il figlio malato, ma capace di spendere gli ultimi soldi per andare a vedere la Roma; ne “I due orfanelli” uno dei due questuanti rifiuta l’intervento che potrebbe ridare la vista al suo compagno di sventure, senza nemmeno dirglielo per continuare ad approfittare della sua cecità.
Si ride, ma è un riso amaro. I dispositivi che Risi e la sua squadra di sceneggiatori mettono in campo sono quelli tipici della commedia all’italiana, il ribaltamento, la sorpresa, la capacità di trattare in modo leggero temi drammatici, e di affidare alla comicità, anche involontaria, grandi interrogativi, a cominciare dal titolo: chi sono infatti “I mostri” citati? Gli assassini della prostituta ne “Il povero soldato” o lui stesso che intende speculare sulla morte della sorella? L’assassino catturato ne “Il mostro” o i due poliziotti con evidenti difetti fisici che si fanno fotografare o ancora i paparazzi che lo fanno?
“I mostri” è stato inserito nella classifica dei 100 film da salvare a buon diritto. C’è tutto Risi, qui dentro: la sua capacità di fotografare il presente, la sua rivoluzione che fu quella di tagliare il lieto fine alla commedia, il suo sguardo indagatore e la sua capacità di restituire in bozzetti un’italianità furbetta, cinica già dal primo episodio, “Educazione sentimentale”.
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Il film è anche un pezzo di bravura dei due protagonisti, Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman: anche se la critica riconosce a Tognazzi di essere decisamente più “nelle parti”, l’interpretazione in panni muliebri di Gassman nell’episodio “La musa” è un piccolo capolavoro: mai sopra le righe, non una parodia, ma una vera prova d’attore en travesti.
Da rivedere, per riderci e pensarci su, e per non dimenticarci, noi “diversamente giovani” che non è mica vero che era meglio prima, che i difetti di oggi e di ieri alla fine si incardinano su un’italianità fatta anche di mezzucci, furfanterie e vanità.
Insomma, i mostri di ieri non sono poi diversi da quelli oggi, perché si sa l’arte, quando è autentica, ha in sé qualità di preveggenza!
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