Medicina digitale: cura dei pazienti o corsa ad ostacoli?
Durante la pandemia di Covid-19, gli operatori sanitari hanno fatto riscorso a soluzioni di telemedicina per poter garantire, seppure in modalità remota, ai loro pazienti la necessaria assistenza medica e riabilitativa. Nella maggior parte dei casi questa "digital revolution" ha ottenuto dei riscontri molto positivi, ma il SSN italiano non sembra essere pronto per gestire al meglio tale opportunità. Per approfondire questo tema, MioPharma Blog è lieto di pubblicare il contributo della Dottoressa Lucia Pannese, CEO di imaginary S.r.l., che, prendendo spunto dalla sua esperienza personale, offre un quadro d'insieme dei piccoli grandi ostacoli che oggi impediscono un impiego efficiente ed efficace della tecnologia in sanità
Che il Covid nella sua drammatica rivoluzione delle nostre vite abbia spalancato le porte alle soluzioni digitali in medicina è cosa oramai nota e consolidata.
Lavorando per un’azienda che ha fatto della tele-riabilitazione mediante il gioco interattivo il suo prodotto di punta, REHABILITY, questa tendenza si tocca con mano oramai quotidianamente da diversi mesi e in maniera sempre più concreta: aumentano le richieste di informazioni, di dimostrazioni e l’interesse a sperimentare e a comprendere come inserire in maniera efficiente ed efficace una tale soluzione nella routine clinica è sempre più tangibile. Sì, perché il punto non è solo l’esistenza di una soluzione adeguata, sicura, disponibile, versatile: innanzitutto la si deve trovare e conoscere e poi si deve riuscire ad integrarla in processi di lavoro che in buona parte vanno ridisegnati, perché l’adozione non è immediata.
Fino ad oggi nessuno nel mondo clinico si è posto il problema di come seguire la riabilitazione di un paziente che non fosse fisicamente presente nella palestra della clinica. Ora è questa una delle domande a cui dare una risposta. E per farlo in maniera adeguata va impostato un nuovo processo di lavoro. Talvolta poi l’esigenza va anche oltre: la tele-riabilitazione è da abbinare ad un tele-consulto e anche ad un tele-monitoraggio. Però, ovviamente, come mi ha detto recentemente uno specialista, loro vorrebbero continuare ad occuparsi del lato medico-scientifico e dei pazienti, non trasformarsi in tecnologi. Corretto, per questo ci siamo noi infatti.
Curiosamente però proprio il contesto clinico nel quale gli specialisti si muovono, sembra essere l’elemento che troppo spesso impedisce loro esattamente questo: occuparsi “solo” dei pazienti. Vedo costantemente team interi di specialisti (medici, fisioterapisti, psicologi) che dedicano intere pause pranzo, con doppia mascherina per ovvi tristi motivi, pur di riuscire a seguire la dimostrazione di REHABILITY. Tanto di cappello, specialmente pensando quanto avrebbero bisogno di quella pausa col lavoro che fanno, e per di più nelle condizioni di oggi aggravate dalla pandemia.
Poi scopriamo che pur di connettersi, si sono anche dovuti organizzare con mezzi propri: uno di loro è riuscito a portare da casa il proprio PC e la connessione internet, perché dall’interno della struttura in cui lavorano internet è bloccato. Nel 2021? Forse c’è dietro qualche fantastica preoccupazione legata alla privacy e alla sicurezza, risolta con il principio “blindiamo tutto così non abbiamo problemi”, soluzione semplice e spesso commisurata ad un servizio IT interno, che purtroppo è rimasto indietro di un’era (tecnologica) vuoi perché sottodimensionato o sotto finanziato. Perché lo staff medico non ha il supporto necessario per poter lavorare in maniera moderna e snella? E nonostante questo (per fortuna!), la voglia di andare avanti, di aggiornarsi professionalmente e di cercare delle soluzioni per poter offrire poi nuovi servizi per i loro pazienti è talmente grande che organizzandosi con mezzi propri riescono a bypassare i limiti posti dalla burocrazia e dall’inerzia che li circondano. Però gli sforzi così diventano titanici.
Probabilmente sono gli stessi specialisti che durante il lockdown lo scorso anno si sono attrezzati in piena autonomia con vari sistemi di videoconferenza su telefonini e computer: “siamo riusciti a parlarci con whatsapp” o “abbiamo usato skype/zoom”, “ha funzionato benissimo, non avrei mai pensato…” mi raccontano. Lo hanno fatto pur di riuscire a vedere e a parlare coi loro pazienti, certo, usando soluzioni che non rispettano il GDPR (regolamento generale sulla protezione dei dati), cosa che farà senz’altro infastidire qualcuno, ma in questo caso di emergenza, seguire alla lettera tutte quelle belle regole teoriche, bollini e certificazioni, avrebbe significato abbandonare serenamente i pazienti al loro destino. Anche loro, in aggiunta a tutti quelli che non hanno potuto ricevere cure e trattamenti, spesso critici e delicati. A chi inorridisce a pensare a queste soluzioni “social”, io vorrei chiedere: se fosse stato uno di loro ad aver bisogno, che cosa avrebbe preferito, la compliance o l’abbandono?
I medici mi raccontano queste storie con orgoglio, per aver affrontato difficoltà tecniche, resistenze al cambiamento talvolta proprie (“non avrei mai pensato che sarei riuscito a fare una cosa simile, non lo avevo mai usato, non sapevo come funzionasse”) ma anche di alcuni pazienti e sono felici di aver scoperto che quella barriera tecnologica, che spesso in realtà è solo mentale, sono riusciti a superarla e che i loro pazienti si sono sentiti seguiti anziché abbandonati. E ora che sanno che riescono, che si può fare, che viene accettato e apprezzato, vogliono continuare su questa strada organizzandosi bene. Certo, anche badando a privacy e protezione dati. Ma per capire come fare ad affrontare il nuovo, ecco piuttosto che niente l’incredibile barriera di accedere ad internet. Poi superata questa, arriva il prossimo ostacolo nella corsa: “se però per acquisire il sistema devo preparare un bando di gara con la nostra amministrazione ci mettiamo un paio di anni”. Certo, perché la burocrazia non ha fretta… il Covid sì però.
La tecnologia c’è, la voglia di adozione anche; vorrei comunque tranquillizzare i lettori: REHABILITY è GDPR compliant e la versione NEURO è già anche certificata come dispositivo medico. Va tutto bene e ha tutto senso nell’ambito di un’organizzazione complessa ad ampio respiro, però nel 2021 non possono esserci burocrazia, carte e bollini al centro, ci deve stare il paziente! Non possiamo permetterci di fermare il progresso e di togliere a troppe persone il diritto alla salute. Ciò che dovrebbe facilitare e rendere sicura l’erogazione di un servizio di cura, troppe volte finisce per rallentarlo ed impedirlo: queste complicazioni sono da snellire e smantellare, le forze vanno unite lavorando di concerto per dare ai pazienti il meglio. Riusciamo a fare in modo che ciò che deve necessariamente stare a contorno della cura con lo scopo di migliorarla e renderla efficiente, non finisca al centro di questa, trasformando inevitabilmente l’entusiasmo e gli sforzi di chi opera in prima linea in un’inutile corsa ad ostacoli?
Voglio unire la mia voce a quella di tanti specialisti che hanno bisogno di lavorare in condizioni più moderne e a quella di tanti pazienti che chiedono cure più semplici da ottenere e da organizzare, liste di attesa più brevi, risposte più rapide e più snelle. Usiamo la tecnologia per semplificare, progettiamola bene, mettiamo a punto dei processi di lavoro organizzati per rendere scalabile il servizio là dove possibile e abbattiamo con coraggio i troppi ostacoli che ci tengono legati a schemi inevitabilmente obsoleti.
Lucia Pannese
CEO di imaginary S.r.l.
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