Aspetti umani della Gamification

Aspetti umani della Gamification

Non è solo una questione di punti, classifiche e livelli. Fare Gamification vuol dire prima conoscere la natura dell’uomo e saperla assecondare

 

Che l’ambito del gioco sia una delle attività attraverso la quale l’uomo incanala ed esercita la propria energia in modo costruttivo e positivo, è cosa ben nota nell’ambito filosofico e più volte affrontata e posta sotto analisi. Già a partire dalla organizzazione tecnologica e industriale della società, tema molto importante in modo particolare nella sociologia del ‘900, Marcuse ha dedicato più energie di tutti nella comprensione delle sue implicazioni.

Nelle sue teorie ritorna l'idea secondo la quale, nella trasformazione della natura e del mondo, l'uomo, lungi dall'essere libero, è sottoposto a una servitù ancora più pesante. L'uomo, sia nella società industriale, sia nella società tecnologica, è sempre e comunque alienato. Marcuse non esita perciò ad affermare che un singolo lancio di palla da parte di un giocatore, rappresenta un trionfo della libertà umana sull'oggettività che è infinitamente superiore alla conquista più strepitosa del lavoro tecnico. L'uomo è soltanto un semplice ingranaggio di un sistema enorme che lo sovrasta e del quale ne subisce il funzionamento. Ne consegue l'aspra critica che Marcuse rivolge alla filosofia neopositivistica e neoilluministica, nelle quale egli vede le espressioni ideologiche del dominio dell'apparato sociale.

L’uomo può giungere al suo proprio essere solo passando attraverso l’altro da se stesso; egli può conquistare la propria persona solo attraverso l’alienazione e l’estraniazione: quindi il gioco. Nell’insieme dell’esistenza umana il lavoro è necessario e viene sempre prima del gioco, poiché il lavoro è il risultato, il fondamento e il principio del gioco, poiché quest’ultimo è proprio uno staccarsi dal lavoro ed un rimettersi in forze per poterlo meglio affrontare.

Stante il rapporto sociale uomo/gioco, relativamente alle forme di apprendimento, secondo Marshall McLuhan le forme non coercitive sono basate principalmente sulla sfera emozionale. Tuttavia, se con i giochi interpretiamo e completiamo il significato delle nostre vite quotidiane ed escogitiamo modi di partecipazione non specialistica, da sempre si nota una diffidenza profonda nei confronti di chi, a livello formativo, propone forme ludiche di apprendimento, prescindendo dalla materia in oggetto.

Difatti i giochi costituiscono situazioni artificiose e controllate, estensioni della consapevolezza collettiva che permettono una tregua dagli schemi consueti. Non di meno, nelle società alfabetizzate, l’iniziativa individuale del gioco sembra minacciare l’intera struttura sociale. Eppure, per la nostra vita interiore, quello che è importante è la forma di un gioco, non i giocatori o l’esito. Basti pensare che in natura, i fenomeni rilevanti di gioco si riscontrano soltanto in quelle specie che vivono in sistemi sociali relativamente rilassati: in particolare, alcuni primati e, ovviamente, l’uomo. E questo permette, fra l’altro, una conciliazione fra le strategie di apprendimento mutuato dalla osservazione e gli elementi di creatività ed esplorazione tipici del gioco: le innovazioni, purché funzionali, sono ben accette. Si passa quindi dal saper fare in contesti specifici, ad una conoscenza più teorica, potenzialmente applicabile a svariati contesti differenti. Ciò comporta che spesso non è facile convertire un "sapere che" in un "sapere come", vale a dire passare dalla teoria alla prassi, poiché la decontestualizzazione dell’apprendimento e la sua crescente formalità strutturale, potrebbero rivelarsi implicitamente "anti-gioco" e "anti-fantasia". L’uso del gioco è pertanto un elemento liberatorio della reale identità dell’individuo che, in esso, esprime il suo essere profondo, scevro da condizionamenti esteriori, sperimentando e quindi adattando il proprio comportamento alle situazioni circostanti.

Questo rende il momento ludico un momento importantissimo per tutto quanto attiene alla attività di apprendimento. E se quest’ultimo ha il senso di una capacità reattiva, quasi istintuale, data dalla azione ricorsiva di modelli di insegnamento, la condivisone della regola rappresenta la base per l’adattamento e l’apprendimento sostanziale. Risulta pertanto utile nella progettazione di una azione formativa volta alla condivisione di un messaggio con un pubblico adulto, la costituzione di un ambiente sano all’interno del quale ci si possa spogliare dagli orpelli inerenti il proprio ruolo (azione), il proprio status (posizione), il giudizio degli altri.
 

Questi elementi sono stati alla base del mio intervento sul tema della Gamification, in un evento formativo svolto in Hewlett Pacakard Enterprise in collaborazione con Challenge Network, nell’ambito di una serie di momenti formativi esperienziali e multiaziendali, a cui collaboro portando le esperienze maturate nel mondo dello sviluppo e dei talenti.

Con i partecipanti abbiamo esplorato la letteratura e le teorie giungendo alla conclusione che gamification non vuol dire inserire elementi di gioco nella formazione: non bastano punti, badge, o classifiche per rendere utile una azione che voglia innescare il cambiamento emotivo dell’apprendimento. La strada da seguire è piuttosto uno riprogettazione dell’intero impianto formativo, tenendo conto del target di riferimento e delle azioni/reazioni che si desiderano innescare, favorendo quindi i comportamenti naturalmente già presenti, mediante la premiazione degli stessi con elementi di gioco.

C’è bisogno di studio e di riflessione. C’è bisogno di una azione di pensiero strutturato. Solo così si realizzando azioni di Gamification tali da portare risultati concreti. Poiché pensare che la tecnologia possa muoversi al di fuori della conoscenza dell’uomo, è un modo miope di pensare di chi, dell’uomo, non si è mai veramente occupato.

Renato Geremicca

Founder & Art Director - GereBros

9 anni

la parola d'ordine del 2016 è #personacentrico :-)

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