Ogni crisi comporta un cambiamento di visione e in prospettiva di comportamento, prepariamoci al dopo
Quale normalità?
Siamo impegnati a superare una grave emergenza, il cui obiettivo è finalmente chiaro a tutti, rallentare il contagio fino ad un livello sostenibile per le risorse sanitarie. Per farlo abbiamo dovuto interrompere ogni attività non strettamente indispensabile. #Andràtuttobene, ma siamo consapevoli di come siamo arrivati qui e cosa faremo dopo?
È una strana situazione, di persone a casa inattive a gestire una frustrante sensazione di inutilità e altre che corrono incessantemente per reperire strumenti, materiali, creare nuovi spazi per fare il proprio mestiere, se banalmente mestiere può essere considerato quello di salvare vite umane. Nel mezzo, una vita di stretta necessità si sforza di continuare tra lavoro, acquisto di generi primari troppo rincarati e scuola a domicilio.
Poi c’è anche l’inquietudine di chi non si può dar pace, forse solo due settimane fa era in piazza a manifestare il proprio coraggio contro il virus incrementando il contagio, oggi organizza instancabilmente eventi, dispensa virtuali pacche sulla spalla dicendo cose che non servono a niente, ma di cui forse tutti abbiamo bisogno.
Certo, l’emergenza lascia spazio a poche cose chiare e rigorose, non perdersi d’animo è una di queste, seguire le direttive senza troppi interrogativi, è quella principale.
Non è il momento delle polemiche, delle critiche e soprattutto delle speculazioni, ma analizzare la situazione ed orientare il pensiero al dopo, credo sia comunque importante.
Ho sentito unanime l’inno alla normalità, prima come imperativo, oggi solo come auspicio e parole come trasgressivo non fanno più tendenza. La medicina, la scienza e la competenza sembrano tornate importanti, eppure all'inizio di questa vicenda il vero obiettivo appariva quello di non allarmare le persone e, per non alimentare il panico, sono state disseminate informazioni fuorvianti che hanno causato poi l’emergenza vera.
Negli ultimi vent'anni abbiamo parlato alla pancia delle persone, per vendere prodotti, per ottenere voti, per conquistare consenso anche se privi di ragione oggettiva e ora abbiamo paura che la pancia guidi le persone verso il baratro del caos incontrollabile.
Discutiamo molto su come avrebbero dovuto essere comunicate le notizie, ma l’idea che il cosa posa essere prioritario sul come ancora ci sfugge. Di fatto siamo preoccupati che i cittadini crollino psicologicamente ed è un rischio concreto, ma personalmente mi sento abbastanza solido per non aver bisogno di sentirmi dire genericamente che #andràtuttobene, mentre vorrei intravedere un cantiere di idee per quando l’emergenza sarà passata, perché tornare alla normalità di prima mi interessa poco e non credo che sarà comunque possibile.
Dovremo diffondere maggiore competenza sanitaria, tecnologie di protezione collettiva e individuale, rivedere il modo di progettare gli edifici pubblici, i trasporti e ripensare il lavoro, perché le pandemie sono possibili, ora lo sappiamo!
Ma più in generale, vorrei ci ponessimo alcune domande: Cosa raccomanderemo ai nostri ragazzi, studiare sodo per essere utili alla società o trovare un modo rapido per ottenere il successo? Le opinioni continueranno ad essere più importanti dei fatti? La forma più della sostanza? È meglio partecipare a creare regole condivise o vivere per trasgredirle? Siamo disposti a rinunciare a parte della nostra libertà personale nell'interesse comune? Siamo disposti a contribuire tutti alle risorse necessarie per far fronte ai bisogni collettivi? Voi avete altre domande da aggiungere?