Parthenope e la maledizione della bellezza - con un appello ai brand.
Parthenope mi ha fatto l'effetto che spesso mi fa l'arte contemporanea: non so se è bella, non so se la capisco, ma uso i miei organi della percezione e del sentire per entrare in risonanza.
Alla fine del film mi sono commossa, perché mi ha lasciato il senso di un profondo dolore che mi è sembrato interessante interrogare, anche come osservatrice della cultura contemporanea. Alla connessione con il contemporaneo ci arriveremo, parlando però prima di Parthenope e di quella che potremmo chiamare la maledizione della bellezza.
A interessarmi non è stata tanto l’allegoria di Napoli, quanto il significato psicologico di una storia che sintetizzerei così: la storia di una persona che seduce ma non ama - né è mai davvero amata.
In questa storia la bellezza è una maledizione perché scatena ammirazione ma non apre all’intimità emotiva né alla connessione autentica. Come dice il personaggio struggente e disperato dello scrittore interpretato da Gary Oldman, "beauty is like war, it opens doors". La bellezza non viene in pace. Come un sortilegio, la bellezza frappone tra noi e l'altro un velo invisibile ma infrangibile di distanza, perché forgia rapporti fondati non sull’autenticità ma sulla seduzione.
Parthenope non si svela mai davvero a nessuno, mai totalmente. Sempre simulacro di sé stessa, Parthenope è desiderata per la propria immagine ed è solo questa immagine che sembra mettere in gioco di sé nelle relazioni con l'altro.
Il suo sé più autentico lo vediamo solo con due personaggi che sono, non a caso, speculari: da un lato il professore, con cui c'è una sintonia spirituale e intellettuale ma scevra di qualsiasi aspetto erotico; dall'altro il cardinale, come lei un seduttore, con cui Parthenope può intrattenere un rapporto ludico che le alleggerisce l'anima.
Fuori da queste parentesi (entrambe mancanti di qualcosa), c'è manipolazione più o meno consapevole, disallineamento delle intenzioni, incomunicabilità, distanza emotiva pur nell'intimità fisica, gioco di potere e performance.
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Nelle relazioni, Parthenope non è mai vera o se lo è (come con il professore o il cardinale) non è "intera”.
Perché questa storia tocca in noi delle corde? E quali?
Credo che Parthenope possa (anche) essere interpretata come una meditazione sull'inautenticità delle relazioni nel contemporaneo, sempre mediate dalla nostra immagine ben controllata e da tutti quei dispositivi che mettiamo in campo per “sedurre” (in senso lato) l’altro, orchestrando una performance che il più delle volte impedisce una vera connessione.
La maledizione della bellezza di Parthenope ci riguarda da vicino perché, in un modo o nell’altro, siamo ossessionati dalla bellezza (e più in generale dall’immagine). Anche se della bellezza diamo narrazioni che appaiono opposte, ma che finiscono per ricongiungersi. Da un lato la bellezza perfetta e artefatta degli standard irrealistici proposta per esempio dai social media; dall’altro quella che tenta di ribellarsi facendo appello alla ricerca di autenticità, all’accettazione di sé, alla body positivity, ma che implica la stessa preoccupazione di fondo su come si arriva all’altro attraverso la propria immagine. La rivendicazione ostinata della non conformità è l’altro lato, speculare, della performance, che vede nel controllo di come si appare una condizione necessaria per relazionarsi con il mondo.
Professionalmente, è da tempo che percepisco nelle persone, nei consumatori, stanchezza nei confronti di questo filone (percorso da tanti brand), dell’autenticità, del togliersi le maschere, dell’imperfezione. Non dubito che questo filone corrisponda a una tensione vera e genuina generata dalla gabbia degli standard di bellezza e di performance. Ma al di là dell’effetto noia di quando un trend diventa maturo, penso che le persone si siano rese conto, inconsciamente, dell’inganno sottostante e soprattutto della fatica a cui si accompagna: non è vera libertà, ma è una battaglia contro uno spettro che è ancora lì imperterrito, e come tale presente in tutta la sua forza.
In un certo senso (qui provoco) trovo rinfrescante che la moda, nelle ultime sfilate, abbia messo da parte la foglia di fico delle modelle con i corpi difformi. Affrontiamola la maledizione della bellezza. Tra la tesi della performance e l’antitesi dell’autenticità “posata”, la sintesi culturale dobbiamo ancora trovarla.
Fare impresa con "filo.sofia”: dal prodotto al marketing
1 meseQuando si abusa del marketing viene meno l’autenticità ma soprattutto la spontaneità. Complimenti per aver condiviso una profonda riflessione che indipendentemente dalle posizioni di ognuno, dovrebbe stimolare la riflessione.
Digital & Media Manager | Data Scientist | Teacher of Social Media Management, Digital Strategy, Media strategy
1 meseTotalmente d’accordo con la tua interpretazione. Dovremmo interrogarci sulle connessioni emotive nella nostra vita personale ma anche nel nostro incessante “patinare” i brand rendedoli solo seducenti e poco autentici. Grazie 🙏
Consumer Insight Lead at Beko Europe
1 meseGrazie perr la bella e profonda riflessione! Purtroppo le nuove generazioni sembrano imbrigliate da modelli che di bellezza ahimè ne esprimono poca.
Non ho visto ancora il film, ma leggendo quello che hai scritto, mi è venuto in mente il conflitto di quale parlava Jung: Persona Vs.Io. La Persona è funzionale all'adattamento, incarnare un ruolo, soprattutto se questo è socialmente condiviso, aiuta a semplificare le relazioni....La Persona non è reale, è un compromesso tra individuo e società, ma che cosa succede se la Persona mette a tacere L'Io? Nasce una frustrazione profonda,la coscienza del tempo impiegato non per far vivere se stessi ma per sopravvivere all'interno di un'etichetta predisposta....quindi il vero senso della vita per me è far emergere L'Io...in tutte le relazioni, ma per questo ci vuole lavoro, impegno, capire prima Il True Self...e poi difenderlo nel momento quando non è conforme...
What if… fossero un grande gioco di specchi la bellezza… e la tua (bella) riflessione?