Perchè tutti amano l’Atalanta di Gasperini

Perchè tutti amano l’Atalanta di Gasperini

“Chi lo avrebbe mai detto!”

Quante volte avete sentito fare un’esclamazione del genere nei contesti più vari, incluso quello lavorativo? Eh già, non importa quale sia il contesto, capita spesso che qualcuno da cui non ci saremmo aspettati alcun successo, riesca ad emergere e costruirsi una propria strada mettendo a frutto le competenze acquisite, sia per una nuova attività, sia per contribuire ancora alla crescita di chi gli aveva dato fiducia.

In questo articolo provo ad esprimere questo concetto attraverso la metafora calcistica dell’Atalanta che abbiamo visto eccellere sul campo nella scorsa stagione.

L’Atalanta non era - sulla carta - la migliore squadra del campionato e non aveva neanche la presunzione di volerlo essere: lei era la squadra rivelazione, e questo le bastava. Non puntava di certo a vincere la serie A e sarebbe rimasta soddisfatta anche di un posizionamento in Europa League o semplicemente di una salvezza raggiunta con largo anticipo.

Di fatto, però, la stagione 2019-2020 dell’Atalanta è stata ampiamente sopra le aspettative. Nel pensiero comune le squadre di media classifica sono composte da giocatori mediocri, good elements, diremmo noi. Questo perchè “good”, nel linguaggio anglosassone e nella terminologia HR, ha un valore leggermente inferiore a quello che noi in italiano tradurremmo con buono.

La realtà dei fatti, invece, è che spesso ci sono anche ottimi giocatori, che magari altrove non sono riusciti ad esprimersi, vuoi per quegli schemi di gioco troppo rigidi, che mal si adattavano a fantasisti dal carattere introverso e – alle volte – spigoloso, vuoi per eventuali problemi con l’allenatore.

Lo stesso Gasperini, in passato, aveva avuto l’occasione di allenare l’Inter, la mia squadra del cuore, ma le sue idee di calcio e la messa in scena della difesa a 3, mai troppo amata dalla dirigenza, hanno fatto sì che la sua esperienza non durasse più di 73 giorni.

E la stessa Inter per anni ha cercato un nuovo allenatore, quando il migliore lo aveva avuto, ma senza apprezzarlo pienamente. L’Inter, infatti, per ragioni che neanche a me che ne sono tifoso sono del tutto chiare, faceva un ottimo calciomercato, ma poi non riusciva a giocare da squadra. Grandi nomi, ma senza una vera identità di team.

L’Atalanta, dal canto suo, ragionava da squadra, capendo che il valore del collettivo avrebbe avuto un valore maggiore della mera sommatoria dei singoli. Inoltre, proprio perché l’Atalanta non poteva permettersi grandi nomi, si ritrovava ad essere un team spesso composto proprio dai refusi di altre squadre, arrivati magari last minute, a seguito di trattative di calciomercato con grandi club sfumate all’ultimo.

Ma era proprio la diversità – diametralmente opposta all’omologazione dei TOP club – che ne faceva una ricchezza. Era un pò come se in un team di lavoro confluissero a lavorare persone con l’intraprendenza tipica di chi viene dal marketing e altre con quell’empatia tipica di chi viene dalle Risorse Umane; persone che si erano arricchite interiormente girando il mondo e altre che, con la loro longevità in azienda, erano ormai pronte da tempo per evolversi ad uno step successivo.

E per quanto, se visti dall’esterno, potevano sembrare troppo diversi tra loro, la realtà dei fatti è che dalla loro cooperazione si generava un output nuovo, e ognuno arricchiva l’altro col proprio different background.

L’inter, dal canto suo, avrebbe avuto tanto da imparare dall’Atalanta in merito alla gestione del team, ma avrebbe banalizzato dicendo che l’Atalanta non era una squadra con grandi ambizioni, e che era questo che le permetteva di esprimere quel gioco così spettacolare.

La realtà dei fatti, invece, ha dimostrato il contrario: in serie A, l’Atalanta è arrivata in terza posizione, dietro all’inter solo di 4 punti, ma con un budget di gran lunga inferiore. Viceversa, in Champions League, nel grande palcoscenico europeo, se l’Inter non è riuscita neanche a superare i gironi di qualificazione, l’Atalanta è stata tra le prime 8 in Europa, venendo estromessa dalla partecipazione alla semifinale solo negli ultimi minuti di gioco, e contro una squadra, il Paris Saint Germain, tra le più ricche del mondo.

Pertanto, ciò che distingueva davvero Inter e Atalanta era il modo di gestire i suoi calciatori. Se la prima li intrappolava in precisi dogmi calcistici, la seconda li valorizzava: maggiore tolleranza, comprensione, trasmissione di valori… Tutti fattori che hanno portato i suoi calciatori a impegnarsi oltre modo. E’ il riporre fiducia nell’altro che permette la trasformazione della passione in eccellenza.

E il risultato raggiunto era che quel calciatore in quella settimana si sarebbe allenato ancora più intensamente, mosso dal sentimento più alto e nobile nei confronti della sua dirigenza: la gratitudine.

In questo modo, un giocatore come Ilicic, talentuoso ma discontinuo ai tempi della Fiorentina, arriverà ad essere uno dei migliori centrocampisti d’Europa sotto la guida del Gasp. Oppure un Papu Gomez, che se avesse giocato nell’Inter avrebbe fatto sempre panchina, nell’Atalanta era arrivato a meritarsi la convocazione nella nazionale argentina, al pari di “mostri sacri” come Messi e Aguero.

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E chi lo sa, magari un giorno uno di questi calciatori, ultimata la carriera sul campo, potrebbe tornare nel suo Paese a fare scouting di giovani talenti per la sua passata dirigenza o per altre squadre della serie A. Non si può essere calciatore a vita, ma questo non esclude che possano esserci altre forme di collaborazione per mandare avanti un rapporto tanto umano quanto lavorativo.

Alla fine, la chiave giusta consiste nell’innescare quel pizzico di motivazione nel proprio team, amore per la squadra e attaccamento alla maglia. La libertà, se dosata, porta a responsabilizzazione, e non a ribellioni o conferenze stampa di addio al veleno.

Io, di mio, resto comunque un tifoso dell’Inter. Credo abbia in squadra giocatori validi, almeno un paio eccellenti, e spero di cuore riesca a fare quel salto di qualità che merita un team del suo livello. Penso che con l’arrivo di Conte sulla panchina e di Zhang alla dirigenza, siano sulla strada giusta per ritornare ai fasti della lunga epoca Moratti.

Che poi, come dicevo in apertura, il calcio è un pò come la vita: a volte si vince, a volte si perde. L’importante è trarre insegnamento dai propri errori e trovare la propria dimensione, concentrandosi più su quanto possiamo migliorare in noi stessi e con il nostro lavoro, piuttosto che limitarsi a denigrare o dare colpe a chi è dall’altra parte, anche quando sappiamo di aver subito un torto.

Nella peggiore delle ipotesi, così come accaduto all’Atalanta, potremo dire di essere arrivati ad un passo dalla semifinale di Champions League. Ci avreste mai scommesso?

Un caro saluto,

Massimiliano

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