Personal Branding: per fama o per fame?
La pratica del Personal Branding è esplosa in Italia almeno da un lustro: cioè dalla pubblicazione dei primi libri sull'argomento quali "Personal Branding" di Luigi Centenaro e Tommaso Sorchiotti e "Fai di te stesso un Brand" di Riccardo Scandellari.
Citando da Wikipedia - così non facciamo un torto a nessuno degli autori - per Personal Branding si intende:
L'attività con cui prima si consapevolizza e poi si struttura il proprio brand ovvero la propria marca personale.
In pratica, la propria figura professionale (e personale) viene trattata alla stregua dell'immagine e dei valori di un'azienda e strutturata per essere visibile al meglio per vendere i propri prodotti - o nella gran parte dei casi - i servizi.
Questo perché si tratta di un'attività utile ai consulenti per vendersi e a chi lavora come dipendente, di mostrare al meglio la propria figura in caso di "cambio di casacca".
Personal Branding: non come ma perché lo fai?
Molti vedono il Personal Branding italiano così. Una sorta di allegra baracconata per s-vendere sé stessi con un sapore piuttosto kitsch-retrò.
Ora, questo è dannatamente vero nella maggior parte dei casi in cui non si identificano i propri valori e li si rendono congruenti con i propri servizi e soprattutto alle buyer personas che si vuole raggiungere.
In più, nella mia umile visione (non sono mica l'Occhio di Sauron indagatore), noto una sorta di appiattimento verso un modello di Personal Branding wannabe-startup-digital-growth-qualcosa che sembra rendere tutti dei piccoli Steve Jobs di provincia.
Personalmente cerco di fare emergere il lato più grezzo, cinico ma anche verace di quella che è la vita da consulente, sia perché non sarei credibile come piccolo risvoltinato (ma mi hai visto?), sia perché il vissuto lavorativo da freelance italiano è tutto tranne che segway e Silicon Valley ma, anzi, strade bucate e tasche ancora di più se non si sta attenti alle specificità del nostro mercato.
Il cuore del tema è un altro: "ma alla fine questo Personal Branding lo si fa per FAMA o per FAME?"
Da circa una settimana lo sto chiedendo un po' in giro, partendo dal gruppo Lo Spaccio di MS, dove sono emersi i primi spunti per questo post.
Personal Branding per fama
Me lo chiedo perché si rischia l'onanismo auto-promozionale: incastonati in un settore auto-referenziale che neanche il circo del wrestling, si indossa tutti una gimmick - comportamento studiato per interessare il pubblico - molto simile e si fa tutta la serie classica di attività di Personal Branding in modo tecnicamente ineccepibile ma con il solo scopo di accrescere il proprio consenso sociale.
Credo sia argomento di altri post quello di approfondire come le reti sociali spingano a un comportamento così da MedioEDO(nismo) e ciò si ascrive a quella che è la Captologia, ovvero lo studio di come le tecnologie sono progettate per esesere persuasive.
Quello che qui mi interessa sottolineare è come sia poco produttivo, in my humble opinion, essere visibili per il puro gusto di essere accettati in un ecosistema.
Citando in ordine sparso gli amici "spacciatori" del gruppo: "fame di fama", "cazzolunghismo e narcisismo formato pixel".
Personal Branding per fame
Infatti, il Personal Branding dovrebbe tornare alla sua definizione: la strutturazione della propria marca personale al fine di VENDERE dei servizi o dei prodotti. Per soldi non per like.
Sempre dal gruppo Lo Spaccio di MS: "la gente compra quello che vede/ricorda, compresi i professionisti".
In questi casi, mi piace citare un imprenditore fittizio ma che dice una cosa molto vera. Il buon Bruce Wayne - l'identità civile di Batman - nel ciclo di HUSH si rivolge così ad una cena con una sua nuova fiamma.
La reputazione è la nuova valuta internazionale.
La reputazione, il primo misuratore di una buona attività di Personal Branding, è una valuta. Quindi un mezzo per raggiungere qualcosa, non il suo fine.
Altrimenti si rischia di ritrovarsi come un altro miliardario della fantasia, Paperon De' Paperoni, ma con un deposito pieno.. di nulla.
Tu per cosa fai Personal Branding?
Se il Personal Branding è per me un'attività utile per aumentare un certo tipo di visibilità atta ad aiutarmi a staccare più fatture dei servizi di consulenza che offro (e quindi fare la spesa tutti i mesi), ti chiedo:
Cosa è per te?
International SEO Expert
6 anniCondivido totalmente il punto di vista espresso nell'articolo. La fama (come il SEO) non può essere fine a se stessa.
Esperto progetti formativi ed educativi | Formatore | Sociologo
6 anniPersonalmente, ho un profilo Linkedin solo perché devo averlo. Non trovo alcuna gratificazione dal consenso spicciolo attraverso i likes. Linkedin mi serve per non perdere interessanti occasioni e risparmiarmi la trafila del CV da inviare. Ma, credimi, mi pesa più condividere ciò che faccio ogni giorno che studiare e lavorare. Ma mi rendo conto che la mia visione è viziata dalla persona che sono, dai miei valori e dai miei studi.
Pubblico i libri che vorrei leggere in Flaco Edizioni
6 anniAvevo deciso di fare personal branding online (online va aggiunto) senza sapere cosa fosse, ho iniziato spontaneamente. Ho avuto la necessità perché avevo capito che il mio profilo Facebook rappresentava il mio brand molto più della Pagina aziendale. Se io commentavo o postavo in un Gruppo (voglio ricordare che ai tempi sui Social mi chiamavo Enrico Flaccovio e lavoravo per Dario Flaccovio Editore) era il brand a parlare attraverso me. A quel punto ho capito che il mio profilo poteva essere anche "consultato" e che la mia bacheca doveva mostrare sia contenuti legati alla vita quotidiana sia contenuti che esprimessero valori aziendali. Ho trovato un mio stile... molto semplicemente essere me stesso sui Social, miscelando vita privata e vita lavorativa in modo equo. Quando ho iniziato a studiare Web Marketing e avevo deciso di aprire la collana, ho iniziato anche a condividere articoli sul mondo digital, perché la mia bacheca (quindi il mio brand) doveva parlare anche di questo. Quando ti ho chiesto l'amicizia, probabilmente sei entrato nel mio profilo pensando "ma chi cazzo è questo?", poi hai visto che avevo condiviso anche post tuoi o di tuoi amici o che parlavano la tua lingua, e hai pensato "È uno noi antri, me pare 'n bravo racazzo. Eddamoglie l'amicizia!". Poi, per puro caso, il primo libro che ho pubblicato era quello di Skande, e quando ho letto la bozza ho pensato "Ma io queste cose le faccio già, non con questo ordine e questa pulizia logica ma sono sulla buona strada!", quel libro mi aiutò moltissimo. In sintesi, per me, fare personal branding online significa scegliere i canali digitali in cui essere se stessi. Non in cui promuovere se stessi o vendere se stessi. La gente che si trapianta sulla nuca il codice genetico di Montemagno, Skande, Merenda, eccetera mi fa un misto tra pena e tenerezza. Bel post, Benito, mi sei piaciuto
Inclusione, sostenibilità umana e innovazione ☆ Attivista SDG, ESG e IDG ☆ Coach, facilitatrice e consulente per persone, team e organizzazioni che vogliono avere un impatto positivo per sè e per il Mondo
6 anniPer fame di fama che sazia la fame :) Con i like non ci si mangia e nemmeno con il SSI. E tuttavia senza visibilità e senza un'identità precisa (=rispondente a chi realmente sei e a ciò che realmente fai) non si può emergere dal mare di "scatole vuote ma brandizzate bene"e quindi lavorare e guadagnare con la propria professionalità.
consulente indipendente marketing strategico
6 anniPer FAMA o per FAME comunque consente di aprire porte NUOVE. Cito un esempio. Per l'esercito di consulenti che spaziano in un loro mercato di base prigionieri di Players con I loro servizi. Come distinguersi e creare un bacino di nuovi contatti? Il personal branding crea questo POSIZIONAMENTO. Pochi messaggi distintivi legati anche al territorio o il percorso professionale. Dentro ci metto storytelling smart. E' tra le poche cose in cui puo' sviluppare. Alla portata di tutti.