Piccola guida dei luoghi del cuore (3)
La forma delle foglie.
Il terzo giorno mi sono svegliata con questa frase nella testa, e ho quindi deciso di iniziare le mie esplorazioni parigine partendo dal Jardin des Plantes. In realtà ho fatto una breve escursione in zona Métro Convention, prima, ho preso un orrendo caffè espresso con un amico, e poi la metro, che mi ha lasciata alla Rue Monge. C’era una luce meravigliosa, e la mia passeggiata (di 15 chilometri, circa, a piedi, a fine giornata) è iniziata qui, e alle Arènes de Lutèce, dove un signore sconosciuto e forse un po’ perso – come me -, mi ha invitata ad entrare. Mi ha guardata da testa a piedi, soffermandosi sui grossi pois della mia gonna e poi mi ha esortata, dicendomi, con un lieve sorriso: “C’est magnifique madame, il faut visiter”. Ho seguito il consiglio, e sono entrata per qualche minuto, lui invece è andato via, come se fosse lì solo per indirizzare le persone un po’ indecise sul percorso, guidandole verso questo giardino antico e molto calmo, pieno di luminose porzioni di cielo.
Parigi è una città dagli incontri estemporanei: in questo terzo giorno – ma anche nei precedenti – mi è capitato di essere fermata per strada più volte, per piccole chiacchiere, da gente di ogni genere, età, stile, colore. È sempre una cosa che mi piace moltissimo: alcuni condividono con me un istante comune, altri mi prendono in giro, e mi fanno ridere, altri ancora chiedono qualcosa, o si lamentano e mi fanno sorridere, perché i parigini si lagnano sempre di un non so che e a volte si perdono la bellezza struggente che li circonda.
La forma delle foglie, dicevo: sono arrivata quindi al Jardin des Plantes, orto botanico grande, rigoglioso, pieno di alberi e sentieri, dove c’è anche un piccolo labirinto realizzato con le siepi, e degli edifici maestosi un po’ trasandati, insieme a quello, imponente, del Musée national d'histoire naturelle. Sono andata a visitare le Grandes serres, passeggiando nell’umido della piccola foresta ricostruita nei padiglioni, e guardando le foglie. Ho immaginato di ricostruirle disegnando, di farle diventare enormi tracciandone le linee, di riempire pareti e soffitti di rami rigogliosi, di verde e sfumature di verde, di imprimerne le venature nei polpastrelli.
Poi, come sempre accade, è solo al di fuori dei sentieri battuti che ho trovato la suggestione più bella: seduta sotto un albero maestoso, ho scorso un’umile foglia di ginkgo sul selciato, ormai gialla, che pareva un piccolo oggetto dorato: mi sono rannicchiata per terra per osservarla meglio e mi sono resa conto di aver trovato la forma della foglia che cercavo.
Ho quindi lasciato il Jardin des Plantes e mi sono infilata nella Grande Mosquée de Paris, che si trova proprio accanto: ho visitato ogni angolo consentito, ma ricordavo ci fosse un caffè prima, all’interno, dove avevo bevuto un dolcissimo tè alla menta. Niente più caffè, ma una sosta sul gradino nel giardino interno per decidere dove dirigermi. Sulla suggestione dell’acqua delle fontane e dei piccoli canali interni, ho deciso di partire alla volta del Canal St. Martin.
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Ho scelto un percorso che non conoscevo, per arrivarci, e uscita dalla metro mi sono ritrovata all’incrocio di vie mai viste, secondarie, poco battute. Questo mi ha messo di buon umore e mi ha fatta approdare in una piccola libreria di quartiere, affascinante, con commessi gentili e calmi, dove ho interrotto per poco la mia passeggiata da flâneuse (termine caro a Baudelaire, al maschile – poeta che potrete salutare al Cimetière de Montparnasse, se ne avrete voglia, cft. “Piccola guida (2)”), declinato al femminile da un’autrice americana, in una sua particolare accezione – interpretazione che ho scoperto proprio mentre scrivo questo breve testo.
La zona del Canal St. Martin è stupenda: piena di botteghe colorate sul canale composto da chiuse per la navigazione di piccoli battelli, e di ponti dai quali si scorge ogni brillio dell’acqua, è un luogo dove mi piace perdermi osservando l’art de rue ovunque, prorompente, ironica e irresistibile, e dove ho passato ore immergendomi nelle illustrazioni di una libreria specializzata, dalla facciata rossa e dall’interno leggermente scomposto e molto silenzioso. Il contrasto tra edizioni colorate e illustrazioni di vari artisti, tra la vivacità visiva di ogni dettaglio e il silenzio costante mi ha avvolta, e forse anche consolata dai tanti pensieri senza soluzione che, inevitabilmente, porto in viaggio con me.
Sono uscita dalla libreria con una borsa in tessuto bianca e rossa, qualche illustrazione di Maliv, ho allungato le gambe sul canale, senza scarpe, e ho osservato l’acqua e le persone per un po’ di tempo. Mi sono arrischiata a prendere poi un altro espresso noisette (macchiato) in un piccolo caffè a bordo strada gestito da ragazzi un po’ alternativi che mi hanno ispirata molto, con tutta la cura che mettevano nelle loro preparazioni e in quel modo un po’ strascicato di chiamarmi “madame”; ma quanto al caffè espresso, evitatelo in ogni sua forma, è davvero terrificante. Il barista invece mi ha accompagnata quando sono andata via, fermandosi a chiacchierare con me sul marciapiede per qualche secondo, sorridendomi con gentilezza inaspettata e molta grazia.
Ho lasciato il Canal – mio malgrado, perché dopo la forma delle foglie, la mia immaginazione è rimasta inchiodata alla forma delle nuvole che si vedevano con una prospettiva unica, dalla banchina – e sono rientrata verso il 20° arrondissement, dove ho alloggiato. Gambetta è la prima e ultima tappa di questa mia breve flânerie, e vi consiglio di passarci, se potete, e di allungarvi verso il 19° arrondissement, ma questa è un’altra passeggiata, e ve ne parlerò prossimamente.