A PROPOSITO DELLA CARENZA DI MEDICI NEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
Si parla tanto, da qualche tempo, della crisi del sistema sanitario e della carenza di Medici nelle postazioni di pronto soccorso (ma non solo). In proposito mi vengono in mente alcune riflessioni, essendo in qualche modo coinvolto in questo ambito.
Punto uno. Dopo essere stati osannati (insieme ad altre figure sanitarie) durante la fase emergenziale determinata dal Covid-19 assistiamo ad una generalizzata amnesia da parte della classe politica, che pare aver perso memoria degli impegni presi negli ultimi due anni finalizzati a potenziare le strutture sanitarie pubbliche (specie le terapie intensive) e a valorizzare il ruolo di questi Professionisti, che tra mille difficoltà (turni massacranti, aggressioni varie, disorganizzazione delle strutture di governo del sistema sanitario, prenotazioni esami diagnostici a lunghissimo tempo, etc..) riescono nel miglior modo possibile a garantire un servizio ai cittadini, certamente migliorabile.
Ma a fronte della carenza di medici si preferisce costruire nuovi ospedali. Ne abbiamo davvero bisogno? Che senso ha aver ristrutturato interi padiglioni di ospedali già funzionanti e poi abbandonarli al loro destino o smantellarli? Gli esempi si sprecano, ad iniziare dalla nostra beneamata Regione Puglia.
Punto due. Paradossale è che nonostante la carenza di personale sanitario si continua a mantenere il sistema del numero chiuso per gli accessi alle facoltà di medicina, vanificando le legittime aspettative di tanti giovani vocati alla nobile professione, ma che sono costretti ad imbattersi in test che ti buttano fuori se non rispondi correttamente alla domanda di chi ha vinto il campionato di calcio del 66. Non sarebbe opportuno valutare con pesi adeguati, come si fa nelle aziende serie, il background formativo e la reale motivazione dei candidati, data la particolare natura della professione medica? E perché mai i giovani dovrebbero essere costretti di fatto ad andare all’estero, in Romania, Albania o Repubblica Ceca per studiare? Una volta era esattamente il contrario perché l’Italia attirava studenti proprio di quei Paesi; tantissimi sono, ad esempio, i medici greci che si sono formati in Italia. Osservando i dati del mio territorio, negli anni settanta Bari vantava la quarta università d’Italia per numero di studenti (circa 90.000 iscritti, se non ricordo male, tra Politecnico e Università). Adesso è relegata ad un ruolo di secondo piano.
Punto tre. Ormai anche le università sono entrate a pieno titolo nel mondo del business. Ranking di posizionamento, rette costosissime e anomalie nella distribuzione di fondi pubblici hanno ormai decretato la fine delle piccole università di provincia, una volta prezioso bacino di approvvigionamento di professionisti della materia. È poi paradossale scoprire che proprio alcuni di essi oggi rivestono ruoli prestigiosi all’estero, spesso in ospedali e centri di ricerca all’avanguardia in Europa e negli Stati Uniti.
Consigliati da LinkedIn
L’Italia, si sa, “non è un Paese per giovani”, parafrasando al contrario il titolo di un celebre film dei fratelli Cohen.
Fino a quando continueremo a gestire i concorsi pubblici privilegiando parentele e vicinanza a questo o quel partito piuttosto che la meritocrazia non ne verremo fuori. Non vedo speranza per il futuro a meno di rivoluzioni culturali che certamente non faremo, per lo meno nel breve periodo.
Punto quattro (conseguenza del tre). Assenza di meritocrazia e un sistema fiscale cannibale stanno dando il colpo di grazia al sistema sanitario, costringendo molti medici ad una fuga verso migliori lidi, all’estero. All’assenza generalizzata di meritocrazia nella progressione delle carriere (non è però una specialità del sistema sanitario, ne siamo campioni anche in altri settori!) si somma la presenza di un sistema fiscale vorace che farebbe mancare il respiro a chiunque. Sapete a quanto ammonta il prelievo fiscale globale sull’attività di un medico che svolge la libera professione intramuraria? Parliamo di una percentuale tra il 73 e il 77 per cento. Si, avete capito bene, per ogni 100 euro guadagnata, lo Stato, direttamente (IRPEF) o indirettamente (quanto si lascia nelle casse delle ASL) te ne prende, diciamo 75, e te ne lascia netti si e no 25. Ovviamente ti restano tutti i rischi: aggressioni, denunce per risarcimento dei danni (non mi riferisco a quelle per responsabilità grave accertata dei Medici, naturalmente), rischi per la propria salute. All’estero certamente non è tutto oro quello che luccica ma la situazione è decisamente diversa.
Punto cinque. Il peso del costo della sanità pubblica è pensantissimo per le casse dello Stato ma del costo totale registrato per il settore una buona parte deriva da sprechi ed inefficienze. È da qui che occorrerebbe partire a mio avviso, concentrando l’attenzione su questi temi e creare le condizioni per riequilibrare la carenza di personale negli ospedali.
Ma per fare questo occorrono onestà intellettuale, competenza e capacità di governo nelle Pubbliche Amministrazioni e controlli adeguati, merce sempre più rara e di cui oggi ne abbiamo un gran bisogno.