Quando calpestavo quel pietrisco
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Quando calpestavo quel pietrisco

La strage di Brandizzo mi ha colpito in modo particolare. Si tratta del lavoro che facevo agli inizi della mia carriera, quando come geometra Capo tecnico mi occupavo della manutenzione dei binari.

Per diversi anni ho calpestato il pietrisco della massicciata ferroviaria, ho trascorso notti gestendo gruppi di lavoro sui binari, ho respirato l'odore delle traverse in legno che trasudano olio di creosoto, ho scambiato comunicazioni con i Dirigenti movimento delle stazioni e dei posti di manovra per proteggere cantieri. Era la seconda metà degli anni '80.

Successivamente, per quasi dieci anni, ho realizzato corsi di formazione sui temi della protezione dei cantieri ferroviari, e facevo parte della commissione che abilitava le persone a organizzare tale protezione. Conoscevo praticamente a memoria l'"Istruzione per la Protezione dei Cantieri".

Ormai da più di 20 anni ho lasciato le Ferrovie, e in questi decenni ho approfondito molti altri campi attinenti alla sicurezza a all'affidabilità. Ancora oggi mi occupo di FU&O (fattori umani e organizzativi) in ambito ferroviario; lo faccio con chiavi di lettura che nel tempo si sono aggiunte e che hanno integrato quelle che possedevo allora. Ora non posso fare a meno di traguardare il sistema ferroviario con la visione e le competenze dello Psicologo delle organizzazioni, dell'Ergonomo, dell'esperto di sicurezza sistemica.

Ma avere calpestato il pietrisco per anni, credetemi, aiuta a capire meglio certe situazioni.

Non voglio commentare il disastro, poiché si sa poco o nulla, solo ricostruzioni mediatiche. Sì, certo, alcuni contorni iniziano a prendere forma. Ma non è di questo che vorrei parlare.

La strada tecnologica e i suoi limiti

Un po' mi stupisce che a distanza di alcuni decenni la protezione dei cantieri avvenga, almeno nella sostanza, ancora nel modo in cui la facevamo allora.

Sono convinto d'altro canto che la strada della tecnologia, per quanto da perseguire ove possibile, difficilmente sarebbe risolutiva.

In un'azienda di mia conoscenza hanno adottato una splendida procedura LOTO per allinearsi alle migliori prassi nell'evitare riavvii accidentali di macchine. C'è tutto: procedura, lucchetti, etichette, formazione fatta, modulistica, ecc. Però se l'intervento manutentivo è breve, talvolta la procedura non viene applicata "perché per fare questo lavoro ci vogliono solo cinque minuti".

L'elemento umano è sempre fondamentale. Il sistema è "sociotecnico", non esiste una soluzione che sia gestibile solo tecnicamente, poiché per gestirla occorrono le persone.

E sono lontani i giorni in cui gli esperti (quelli veri) pensavano che il contributo umano fosse un limite del sistema. Il contributo umano non soltanto è ineliminabile, ma spesso è un punto di forza del sistema.

Qualcuno dirà: "Sì, ma la sicurezza oggettiva è sempre migliore di quella che si basa sul contributo dei soggetti". C'è sempre un momento in cui la comunità sociale gestisce quella sicurezza oggettiva che, pur essendo in genere migliore di quella soggettiva, alla fine non è perfetta.

Chi pensa che adottare una procedura più stringente basata su una tecnologia (tipo LOTO) risolverebbe il problema della sicurezza dei cantieri ferroviari probabilmente trascura come funzionano le decisioni nel mondo reale.

Il mito dell'errore

In genere se si esclude un problema tecnico, si conclude dicendo che si è trattato di un errore umano. Altrettanto spesso si tratta di una lettura estremamente sommaria e profondamente sbagliata, per diversi motivi:

  • l'errore materiale di una persona è il prodotto di un sistema, non della persona; più corretto allora sarebbe parlare di "errore organizzativo", ma è decisamente più scomodo e meno comprensibile ai più. Chiama in causa la moltitudine di attori presenti e non presenti che hanno avuto un effetto su un evento negativo, e il contesto organizzativo in cui operano
  • la definizione di "errore" dovebbe essere riservata agli episodi in cui la persona non è consapevole di allontanarsi dagli standard attesi. Molto spesso è più opportuno parlare di "violazioni", in cui la persona è consapevole di allontanarsi dalle regole che dovrebbe seguire. Un mondo completamente diverso dagli errori, se non nelle conseguenze, almeno nella prevenzione possibile
  • la distinzione tra "errore" e "violazione" da sola non ci spiega che a volte ci sono sinergie tra errori e violazioni (come ad esempio quando durante una violazione qualcosa viene gestito erroneamente).

Le radici delle violazioni

Nel corso che ormai tengo da anni sull'analisi degli eventi negativi incontro una resistenza (fra tante) particolarmente forte a esprimere i concetti in positivo. Occorre descrivere ciò che è accaduto, e non ciò che sarebbe dovuto accadere. E' sbrigativo e rassicurante dire: "Non avrebbe dovuto fare quello che ha fatto", e attribuire la causa al comportamento errato. Più complesso è spiegare che cosa è stato fatto in realtà e soprattutto perché; l'analisi delle cause dovrebbe essere questo.

Il concetto di violazione è intriso di categorie etiche e giuridiche. Per un corretto inquadramento concettuale rimando al modello della "just culture" di J. Reason, dove la dimensione sistemica e organizzativa viene salvaguardata senza negare che possano esservi responsabilità da individuare e da ripartire a seconda del caso.

Le violazioni hanno radici complesse, che spesso si annidano nelle pieghe dell'organizzazione, nelle relazioni e nei rapporti di forza (anche informali) tra i vari attori di un teatro organizzativo.

A volte le relazioni non sono in equilibrio tra le funzioni aziendali. Può capitare che vi sia una cultura in cui la manutenzione è vista come "asservita" alla produzione, per cui la cosa davvero importante è che gli impianti di produzione marcino, oppure che i treni passino. L'interruzione della produzione per motivi manutentivi può essere vista allora come una "concessione", in qualche modo sgradita, invece di essere vista come una necessità che serve soprattutto alla produzione. Questo stato di cose e di relazioni può giocare a favore di prassi accondiscendenti o scorciatoie di diverso tipo. So che chi legge queste righe avendo avuto esperienza di aziende con una cultura evoluta, in cui la manutenzione è considerata un fattore strategico, potrebbe far fatica a comprendere, ma sono cose che accadono.

Altre volte le relazioni e i rapporti di forza sono in disequilibrio nell'interfaccia con appaltatori. Si tende a considerare che l'appaltatore abbia meno "peso politico" poiché non gioca in casa propria, deve in qualche modo sottostare alle richieste dell'appaltante. E questo spesso è vero.

Una lettura diversa potrebbe essere la seguente. Un giovane Capo tecnico mi ha confidato che vi erano appaltatori così potenti nella sua azienda, e così vicini ai dirigenti più alti e prossimi al vertice, che lui poteva fare poco o nulla per imporre delle prassi sicure; gli conveniva decisamente non ostacolare quelle che erano prassi "tacitamente consentite", comode per massimizzare la produzione (nessun riferimento viene qui fatto ad aziende specifiche o situazioni particolari).

Appaltatore "debole" o "forte" che sia, si tratta di situazioni che si prestano a facilitare scorciatoie e violazioni di ogni tipo.

E poi è chiaro, c'è la relazione all'interno della linea gerarchica, per cui se ti dico che devi andare in mezzo al binario, tu ci devi andare, e non chiederti se stiamo applicando tutte le procedure in modo efficace. Il principio è corretto solo se alla base c'è un senso etico e una leadership della sicurezza che giustifichino la fiducia nel management.

La complessità delle situazioni non è fatta solo da strutture, impianti, organizzazione, procedure, situazioni sempre diverse.

La complessità delle situazioni reali è fatta anche da relazioni e comportamenti collettivi, da una soggettività che costituisce il terreno su cui tutto il resto si svolge. Soggettività che va compresa e influenzata attraverso gli strumenti (ormai un po' logori) della cultura di sicurezza, di un'efficace safety leadership, di un senso civico applicato alla gestione dei rischi per la collettività.

E attraverso una chiave di lettura complessa che consideri che i comportamenti sono il risultato visibile del modo di funzionare di un sistema.


Materiale a libero uso con citazione della fonte

Carlo Bisio ha realizzato negli ultimi 20 anni progetti in più di 250 organizzazioni, tra cui aziende o società di consulenza leader mondiali nel campo della sicurezza. E' stato docente a contratto presso l'Università di Milano Bicocca e altri atenei. Psicologo delle Organizzazioni, ha acquisito il NEBOSH International Diploma in Occupational Health and Safety (IDip), il Master biennale in Ergonomia presso il CNAM di Parigi. E' ergonomo europeo registrato (Eur.Erg.). E' Graduate Member of IOSH, socio AIAS, socio SIE. E' autore di più di 60 scritti scientifici o professionali (con più di 120 citazioni da parte di altri autori, verificabile su Academia.edu). Consulente, formatore, ghost writer.

Negli anni '80-'90 ha lavorato prima come Capo tecnico, poi formatore, presso le ferrovie, conoscendo quindi molto bene il mondo ferroviario e della manutenzione. Ancora oggi si occupa di FU&O (fattori umani e organizzativi) nel settore ferroviario.

www.carlobisio.com

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lucia bartolini

LAZIOCREA SPA presso CENTRO PER L'IMPIEGO CIVITAVECCHIA

1 anno

Finalmente un quadro reale di come si continua a morire sul lavoro. Sui binari come sotto il muretto dell'ATER. È su questo che bisogna lavorare.

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere - Consulente di Direzione per Sicurezza sul Lavoro e Tutela dell'Ambiente

1 anno

Ottima disamina. Le regole sono sempre esistite ma non si è mai tenuto conto delle condizioni che possono portare alle violazioni che, a differenza degli errori (atti involontari), sono atti volontari. Si propone come la "soluzione" al problema l'adozione dei soliti protocolli comportamentali. Magari fosse così semplice. Se non si interviene anche a livello sistemico, creando le condizioni affinchè un certo modo di pensare e di agire diventi patrimonio stabile degli individui, basterà una piccola variazione di una delle tante variabili esterne che influenzano il comportamento di un essere umano perchè tutto quello che è stato costruito lavorando sui comportamenti, finisca nel dimenticatoio. In altre parole, non possiamo pensare che un'organizzazione (e gli individui che ne fanno parte) sia un microcosmo assolutamente impermeabile e resistente alle pressioni che arrivano dall'esterno. Ecco perchè si deve lavorare su entrambi i fronti. Nel caso del post, se la violazione è incentivata, ad esempio, dai tempi di attesa, non posso lavorare solo sulle persone ma devo intervenire prima sull'organizzazione del lavoro creando le condizioni affinchè questi tempi si riducano al minimo proprio per disincentivare la violazione della regola.

Simone Bottinelli

Quadro - Research Manager

1 anno

Splendido articolo Carlo. Purtroppo è complicato far capire come il fattore legato alla consapevolezza situazionale (di tutte le figure che compongono l'organigramma della sicurezza) sia fondamentale. Troppo spesso ci si limita ad analizzare superficialmente gli eventi, senza indagare quelle che sono realmente le cause radice degli eventi.

avv. Rolando Dubini

Avvocato penalista cassazionista

1 anno

Il treno non deve muoversi se ci sono 5 persone sui binari. Nel 2023 non è accettabile. Punto. Esiste la tecnologia per garantire il rischio mortale azzerato nelle ferrovie. Se vuoi fare profitti muovendo mostri come i treni che possono maciullare le vite non puoi fare sicurezza con i fonogrammi, devi usare una tecnologia a prova di errore umano. Lo prevede la legge vigente: articolo 2087 del codice civile, obbligo datoriale della massima sicurezza tecnicamente fattibile Tecnologia per la sicurezza nel settore ferroviario Ciò che serve è una tecnologia in grado di prevedere guasti imminenti e inviare avvisi in anticipo, consentendo agli operatori di fermare i treni mentre c’è tempo per agire. Paradossalmente, i dati necessari sono già archiviati nei rilevatori a bordo rotaia: semplicemente non vengono raccolti e analizzati continuamente. Una combinazione di tecnologie esistenti può affrontare tre sfide chiave nella risoluzione di questo problema: come raccogliere i dati, come organizzarli e come analizzarli. La buona notizia è che il costo per l’implementazione di queste tecnologie è modesto https://lnkd.in/dRZf5rKA

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