Quando un dipendente lascia l'azienda
Qualche giorno fa in occasione del pranzo di Santo Stefano, ho avuto modo di parlare e scambiare opinioni con mio cugino in merito a come le aziende gestiscono le dimissioni di un dipendente che lascia l’azienda dopo un certo numero di anni, il termine usato da mio cugino è stato: “ammortizzano”, le aziende ammortizzano l’uscita di un dipendente.
Questa parola mi ha colpito a tal punto che riflettendoci, ho deciso di scrivere qualcosa.
Quando ho iniziato a lavorare, ed un collega decideva di lasciare il suo posto, il suo ruolo, l’azienda si attivava immediatamente per trovare un sostituto sul mercato del lavoro e concordava con il dipendente dimissionario una durata del periodo di preavviso (quando possibile) per trasferire le competenze alla nuova risorsa.
Il confronto con amici che lavorano in realtà diverse sull’argomento e per la mia esperienza, sono portato ad affermare che le cose oggi un po' cambiate.
Prima di tutto, non è cambiato il momento di confronto con il dipendente per conoscere le motivazioni personali e/o lavorative della scelta e dove vi fossero dei problemi, la necessità di intervenire fosse anche solo a vantaggio di chi rimane; ma poi e non voglio generalizzare (sono sempre aperto ad un confronto per capire e conoscere, così come fatto con chi ho affrontato l’argomento), quando un dipendente lascia il proprio posto di lavoro, le aziende si muovono oggi secondo altre priorità.
Le altre priorità sono quelle di trovare ad esempio, una risorsa interna che possa candidarsi a ricoprire la mansione lasciata libera del dimissionario (la logica della coperta corta), oppure aggiungere i compiti e responsabilità del dimissionario su una o più altre risorse in azienda (vedi l’immagine delle palline di tennis trovata su Linkedin, subito piaciuta e postata) ed infine cercare una nuova figura sul mercato del lavoro possibilmente con una RAL inferiore a chi l’ha preceduto.
Certo è che il modus operandi è diverso tra PMI e grande azienda o multinazionale.
Le variabili: tempo e costi sarebbero oggetto di un’analisi più approfondita.
Cosa sembra essere sparito dalla procedura?
Il dipendente che lascia è in primis una persona, con le sue competenze, le relazioni con i colleghi, fornitori e/o clienti, con la sua conoscenza delle procedure e dei meccanismi che regolano la vita aziendale e queste sono tutte cose difficilmente quantificabili.
Ma le aziende ammortizzano!
Consigliati da LinkedIn
Certo si osserverà che: “tutti servono ma nessuno è indispensabile”, giusto, ma mi sento di aggiungere che in quelle aziende che ho visitato o conosciuto, e nelle quali si respirava un’atmosfera positiva, l’imprenditore (oppure l’HR manager) mi confermava che arrivava raramente o mai, al punto di dover usare la frase virgolettata di cui poc’anzi.
Ecco questo è il focus del mio ragionamento: le motivazioni che stanno dietro la scelta di cambiare lavoro così come le motivazioni che fanno decidere ad una azienda di operare scelte diverse nella sostituzione, sotto tutte lecite, condivisibili o meno, criticabili o corrette, ma la cosa importante è quella di adoperarsi nel creare un ambiente di lavoro nel quale le persone lavorano bene e non hanno desiderio di cambiare ( e le aziende non devono ammortizzare).
Credo si sia ormai capito che la parola “ammortizzano” non mi piace, a questa ne preferisco altre quali ad esempio:
creare una cultura e valori aziendali;
un business più consapevole e orientato alla sostenibilità umana, ambientale e di sistema;
sviluppare un team empowerment.
Concludo questo mio libero pensiero con una frase molto bella di Richard Branson, che mi ha colpito e fatto riflettere ”I clienti non vengono mai primi! I dipendenti sono al primo posto. Se ti prenderai cura dei tuoi dipendenti, loro si prenderanno cura dei tuoi clienti”.
Buon lavoro.
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