Quei nostri giovani con "desiderio di futuro" indebolito
L'adolescenza è uno dei periodi dello sviluppo umano in cui è molto raro avere dei riferimenti chiari. Perfino la letteratura scientifica non è allineata sulle fasi entro le quali ci si possa dire "adolescenti" o "giovani adulti".
Per alcuni, l'adolescenza è un periodo non finisce mai.
I wanna be forever young.
Guardare al passato
Nelle società antiche, ciò che ci si aspettava dai cittadini era ben definito da regole ed aspettative collettive.
Nell'antica Grecia, per esempio, gli adolescenti erano chiamati a sopravvivere fuori dalla polis per un certo periodo di tempo, allontanandosi dalla famiglia, affrontando sfide nei boschi di notte ed essendo esposti a veri e propri riti di passaggio al mondo adulto, superati i quali la società poteva reintegrarli e riconoscerli come cittadini "adulti".
Credo che "evaporazione del Padre" sia, invece, la frase di Recalcati che meglio definisca il periodo storico che stiamo vivendo. Il Padre (inteso come colui che promulga la Legge e si assicura che venga rispettata) rappresenta tutte quelle Istituzioni totali che fino a qualche anno fa erano una certezza (lo Stato, la Scuola, ecc.) e che oggi non vengono più rispettate e ascoltate, poiché viene meno il patto simbolico fiduciario, ovvero l'alleanza fra popolo e istituzione.
Siamo nell'epoca della modernità liquida, per dirla con Bauman.
Fra età (all'anagrafe) e diploma di "maturità"
In effetti, è evidente che gli esami di maturità e la laurea non possano essere gli unici riti di passaggio all'età adulta della nostra società, poiché l'adultità poco c'entra con l'età anagrafica o con l'acquisizione di un diploma di istruzione presupponendo, invece, l'aver acquisito determinate competenze (cognitive, emotive, affettive, sociali, culturali, relazionali) che talvolta non sono riscontrabili con le verifiche scolastiche. Del resto, non è naturalmente vero che persone non alfabetizzate non diventino adulte...
Neppure elementi di passaggio come il matrimonio e la genitorialità abilitano automaticamente l'acquisizione di competenze da "adulti", sebbene siano esperienze che presuppongano un certo grado di maturità.
In questo senso, essere adulti non è neppure una questione di età. Spesso, negli adolescenti "anagrafici" si può trovare una saggezza spiazzante, un'intelligenza lucida, una riflessione profondissima e un'affettività delicata che il mondo adulto non sempre ricorda.
Nel turbino biologico e psicofisico, vi è dunque quello sociale: l'adolescente sperimenta un delicato percorso di co-costruzione con la società della propria identità, durante il quale non si è ancora "adulti" e non si è più "bambini", in una società che non li vede e non li valorizza a sufficienza.
Sentirsi "un voto" a scuola e "un numero" all'università, non percepire di avere particolari talenti, seguire esempi performanti per risultare "vincenti a tutti i costi" sui social, nel mondo dell'istruzione, dello sport, dello spettacolo, aumenta ancora di più il senso di inadeguatezza dei nostri adolescenti.
La testimonianza che trasmettiamo come adulti
Sebbene oggi vi sia più tolleranza per l'errore e il fallimento, tuttavia la paura del giudizio degli altri permane (inclusi i professori, con i loro modi di comportarsi, relazionarsi e parlare con i ragazzi). L'esperienza da counselor mi ha fatto constatare che scaricare le proprie insoddisfazioni su una classe di adolescenti non è per nulla, a mio avviso, segno di maturità né di adultità. Ma neppure di "adolescenza".
Eppure, ha sicuramente un legame con l'esperienza che gli insegnanti fanno durante la loro adolescenza ed infanzia. Il mestiere di insegnare è un'arte ma, a differenza di tutte le altre arti, certe cose (come il rispetto e l'ascolto) non si possono improvvisare.
Al contempo, cresce nei ragazzi la sensazione di vivere in un mondo non sicuro, inquinato e senza protezioni solide. Secondo l'OMS, la salute mentale di bambini e adolescenti sta peggiorando, identificando nel mettere fine alla propria vita la seconda causa mondiale di decesso fra gli adolescenti (15-29 anni).
Una nuova, silenziosa, strage degli innocenti.
Consigliati da LinkedIn
Ci sono cronache universitarie che non vogliamo mai più sentire.
E in questo non voler sentire, spesso, non si sa ascoltare.
Ad esempio, è molto difficile vedere relazioni di fiducia fra scuola, studenti e famiglie: relazioni fatte di dialogo, di rispetto, di comunione di intenti e di valori condivisi. Relazioni dove tutti hanno ruoli, diritti, doveri e responsabilità.
In questa assenza di relazione armonica, gli adolescenti vivono in una fase liminale dove scuola e famiglia possono essere due realtà anche molto contrastanti.
Come nei casi in cui i pazienti con più patologie vanno da diversi medici specialisti diversi che, non comunicando fra loro, lasciano il paziente fra dubbi e incertezze in un percorso di cura frammentato, similmente gli adolescenti vivono questo scisma fra scuola e famiglia facendo riferimento a due "leggi - o nomi - del Padre" talvolta molto differenti.
Che cosa aiuta?
Amo confrontarmi spesso con i miei amici counselor sul senso di quello che facciamo, interrogandoci e riflettendo su cosa possiamo fare concretamente per le persone che incontriamo nei servizi.
Uno dei "sintomi" più frequenti che vediamo è quello che Ersilia Vaudo definirebbe "desiderio di futuro indebolito".
La sfiducia nei confronti delle possibilità di avere un lavoro (quantomeno decente), una stabilità per cominciare a progettare la propria vita, delle prospettive di crescita, dei mentori in cui credere, indebolisce la visione del futuro dei ragazzi. Dunque la fiducia.
Ne consegue il ritiro sociale. Basti pensare agli hikikomori e ai NEET.
A questo desiderio indebolito di futuro si affianca un altro tipo di movimento interiore, che è la rabbia desiderante. Spesso, alimentata dall'incessante domanda che i nostri ragazzi rivolgono a chi è adulto: una testimonianza di "vita ben vissuta".
La diffidenza verso il mondo degli adulti, talvolta, è una richiesta di presenza (non pervasiva né inquisitoria) affinché essi possano diventare un riferimento per i ragazzi, per essere "visti" e riconosciuti nella loro autenticità.
La domanda quindi è: ma gli adulti, hanno davvero voglia di essere un riferimento per i ragazzi? Oppure anche loro sono presi dal turbinio della personale sempiterna adolescenza esistenziale?
Forse, allora, la risposta sarebbe più semplice di quanto sembri, anche in una società destrutturata come la nostra.
Perché alla fine il desiderio di futuro si potenzia se qualcuno ti vede, ti accoglie, ti aiuta a rielaborare e dare un senso ai tuoi vissuti, senza giudizio.
Il desiderio di futuro si alimenta se qualcuno si fa testimonianza che la vita sia degna di essere vissuta, trasmettendo con l'esempio il desiderio, direbbe Recalcati.
Perché, come afferma il pedagogista Danilo Dolci: "ciascuno cresce solo se sognato".
Marika D'Oria, PhD
--
1 meseGrazie Marika. Molto bello
🙌