Ricci d'Oro: adattamento vs trasformazione

Quando cambiamo lavoro, città o anche semplicemente mansione, ci ritroviamo un po’ come la protagonista della fiaba Ricci d’Oro e i tre orsi: persa in un bosco in cerca di riferimenti.

Il racconto in realtà si distingue dagli schemi classici delle fiabe di magia e risulta più un percorso simbolico che illustra come, quando siamo coinvolti in un processo trasformativo, non possiamo tornare indietro, pena la rinuncia alla #crescitapersonale e professionale.

La bambina entra nella casa di papà, mamma e figlio orso: la triade rappresenta la famiglia perfetta (ma anche l’azienda perfetta o i professionisti perfetti) e il numero tre viene ripetuto spesso, come simbolo di perfezione, appunto, coesione e unità infrangibile. 

Ricci d’oro entra in casa degli orsi alla ricerca di se stessa: le su idee confuse (rappresentate dai ricci) sono come quelle di chi si trova a dover cambiare ruolo e status; la bambina prova la minestra, la sedia e il letto di ognuno dei tre e sembra che nulla vada esattamente bene per lei, né l’eccessiva durezza di papà orso, né la morbidezza di mamma orsa, né infine ciò che appartiene al piccolo orso (la sedia del piccolo si rompe sotto il peso di Ricci d’Oro).

Quando siamo in piena #evoluzione , non possiamo più adattarci a vecchi schemi e dobbiamo accettare di vivere un po’ quell’estraniante sensazione di non appartenere più e di non appartenere ancora.

La storia illustra in modo magistrale che l’adattamento agli altri non sempre è la soluzione ottimale per scoprire chi siamo e forse è un bene per Ricci d’Oro non essersi conformata gli irraggiungibili perfetti orsi tanto quanto nei nostri momenti di cambiamento è importante reggere la sensazione di essere esclusi e/o disapprovati, di non essere come gli altri ci vogliono, che durerà giusto il tempo di ristabilire ciò che è buono per noi.

Se vogliamo #cambiare dobbiamo accettare di perderci, almeno per un po'.